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Carceri, 13 morti e un gran silenzio: come nelle dittature sudamericane

13 detenuti deceduti nel corso delle rivolte carcerarie di questi giorni, solo 10 identificati dal Garante nazionale per i detenuti. 1 solo era italiano e ben 9 stranieri. 3 di loro erano in attesa di giudizio. Il più giovane aveva 29 anni, il più anziano 42

Tredici morti nelle prigioni italiane. La cifra è incerta, forse sono di più. I nomi fino a ieri nemmeno li conoscevamo. Sono passati quattro giorni dalla strage. Ieri, sembra, i nomi sono stati consegnati al garante dei detenuti. Il quale, probabilmente, si costituirà parte civile, se ci saranno dei processi.

Pare che esista una relazione del Dap ma non si sa chi la possiede. La stampa non ha avuto neanche l’ombra di una notizia. Per la verità non l’ha neanche pretesa. Neppure il Parlamento ha ricevuto informazioni. Neppure il Parlamento, sembra, le ha pretese. Tredici persone sconosciute sono sparite e ora giacciono al camposanto.

Tredici morti sono una quantità spaventosa. Succedeva negli anni Settanta, quando c’erano le grandi stragi: Piazza Fontana, Brescia, l’Italicus. In quelle occasioni era tutto il Paese a sollevarsi, a gridare, a entrare in lutto, a pretendere (seppure inutilmente) la verità. Questa volta i tredici morti erano tutti in carcere. Nelle mani dello Stato. Consegnati alla custodia dello Stato. Possibile che una strage così non susciti un moto formidabile di indignazione e una richiesta assillante di chiarimenti?

Mi ricordo che una ventina d’anni fa ero a Genova nelle giornate terribili del G8. Fu ucciso un ragazzo di poco più di vent’anni. Abbattuto da un colpo di pistola sparato da un carabiniere. Successe il pandemonio, giustamente, anche in Parlamento. Naturalmente ci si divise. Una parte dello schieramento politico difese la polizia e il ministro dell’Interno e gettò tutta la colpa sui dimostranti, e anche sul ragazzo – si chiamava Carlo Giuliani – che aveva attaccato una camionetta dei carabinieri. Un’altra parte, e tutta la stampa internazionale, si scagliarono contro il governo, il Pds, che era allora il partito dell’opposizione di sinistra, parlò di “macelleria messicana”. Ci si divise, ma non si restò in silenzio. Si scatenò una furiosa battaglia politica.

L’altro giorno, in Parlamento, nessuna battaglia. Frasi fatte. Nessuna spiegazione, nessuna protesta dell’opposizione. Nessuna autocritica del governo. Sembrano tutti concordi sul fatto che le morti siano avvenute per l’effetto dell’assalto alle farmacie, e quindi mettiamoci una pietra sopra, come si faceva in alcuni paesi latinoamericani al tempo delle dittature (e in parte si fa ancora).  Dicono: erano drogati, erano gentaglia in astinenza perché – interrotte le visite delle famiglie – si era interrotto il flusso illegale di droga nelle celle. Sono tutti morti di overdose. Praticamente suicidi.

Non so se è così. Non so se è così per tutti e tredici. In ogni caso vorrei capire alcune cose, che magari hanno anche una spiegazione, ma occorrerebbe che questa spiegazione fosse fornita al pubblico.

Intanto vorrei sapere come mai se questi detenuti erano in overdose e in agonia si è deciso di trasferirli. Alcuni di loro risulta che siano morti durante il trasferimento. Qualcuno addirittura dopo il trasferimento. Si trasferisce un moribondo? Non è meglio portarlo in ospedale?

Seconda domanda. È vero che le tredici vittime della rivolta sono tutte straniere? È questa la ragione del silenzio? È ormai definito e pacifico che comunque la vita di uno straniero non ha lo stesso valore, né umano né giuridico né mediatico, della vita di un italiano?

Terza domanda. Se davvero, come in realtà è abbastanza probabile, le infermerie erano l’obiettivo della rivolta, almeno in alcuni di questi carceri, e se il motivo dell’assalto era procurarsi metadone da parte di prigionieri tossicodipendenti, oso chiedere: ma qui in Italia è considerata cosa normale, trovandosi di fronte a una persona evidentemente e pesantemente tossicodipendente, sbatterla in una cella anziché in una struttura adatta, in grado di aiutarla, di curarla? E questo comportamento – se effettivamente è così – è considerato compatibile con l’articolo 27 della Costituzione?

Poi ci sono le domande più generali che riguardano la politica carceraria di questi ultimi governi. Bisogna dire che il passaggio dal “verde” al “rosso” non ha cambiato molto. La linea resta la stessa, a dispetto del fatto che le truppe “rosse” di Zingaretti hanno sostituito quelle “verdi” di Salvini. Sembra quasi una maledizione: ormai su tutto ciò che riguarda la repressione la cloche è in mano esclusivamente ai 5 Stelle.

Le domande generali riguardano la costituzionalità del carcere, almeno del carcere come funziona adesso. E in particolare il problema del sovraffollamento, che rende del tutto illegali le nostre prigioni. Non volete l’indulto, perché temete di perdere qualche voto? Ho capito. Almeno prendete in considerazione le proposte ragionevolissime che abbiamo avanzato ieri, insieme alle Camere Penali, e che potrebbero portare in pochi giorni alla liberazione di circa 20 mila detenuti, e alla attenuazione del fenomeno ormai dilagante delle celle-carnaio.

Piero Sansonetti

da il Riformista