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Carceri, la mattanza continua: due suicidi in poche ore

B.S., di origine albanese.  detenuto della casa circondariale di Alba si è suicidato usando una rudimentale corda ottenuta annodando delle lenzuola della sua cella. L’uomo si è impiccato alla porta che conduce al bagno della cella stessa.
Emanuele Grisanti, 29 anni, detenuto per rapina e detenzione di droga, era ricoverato all’ospedale Sant’Eugenio di Roma per farsi operare di calcoli. Doveva scontare ancora 4 anni di carcere. Ha preferito impiccarsi nel cortile dell’ospedale. Padre di un bambino di 4 anni, da uomo libero viveva al popolare quartiere romano del Laurentino 38. Nella disperata contabilità carceraria, Emanuele è il 95° detenuto che muore dall’inizio dell’anno, il 35° per suicidio.
Non aveva le sbarre davanti agli occhi quando li ha chiusi per l’ultima volta. Ma cambia poco.
“Lo hanno lasciato solo, non lo hanno seguito, non doveva morire così”, non riesce a darsi pace la madre Angelica distrutta dal dolore. Suo figlio aveva ottenuto il trattamento di pena alternativo in una comunità per il recupero delle tossicodipendenze a Sibari, in Calabria.
“Era dimagrito di 20 chili, quando l’ho visto quasi non lo riconoscevo”, ha raccontato la madre. Dopo qualche giorno di convalescenza, Emanuele, un giovane robusto, tatuato dalla testa ai piedi, un appassionato di body building che da ragazzo aveva lavorato come idraulico, era stato di nuovo “ricoverato nel reparto psichiatrico del nosocomio romano. Prima di togliersi la vita ha parlato con la madre e con la moglie al telefono, ha salutato gli infermieri dicendo “mi fumo una sigaretta, poi me ne vado a dormire”. Alle 22,20 il personale dell’ospedale ha trovato il corpo che pendeva dal ramo di un albero.

Tre giorni fa era stato un giovane tunisino di 25 anni a togliersi la vita nel centro clinico di Regina Coeli impiccandosi con l’elastico degli slip (è stata disposta l’autopsia e si sta ricostruendo l’esatta dinamica della morte). La situazione nelle carceri italiane è sempre più drammatica. A volte i reclusi non trovano pace neanche da morti. É il caso di un detenuto morto a Regina Coeli per overdose. Dall’11 febbraio scorso la salma aspetta ancora di essere cremata, L’uomo si chiamava Tiziano De Paola, aveva solo 29 anni. Il decesso è avvenuto per un overdose dì eroina fornitagli, secondo l’accusa, da un altro detenuto attualmente sotto inchiesta. Effettuati i rilievi autoptici, la salma è stata sistemata presso il deposito cremazioni del cimitero di Prima Porta.

E lì è rimasta in tutti questi mesi. Senonché poco prima delle conclusioni delle indagini, l’avvocato difensore dell’uomo indagato per l’omicidio di De Paola, ha richiesto al magistrato competente ulteriori esami, prolungando così la permanenza della salma presso il deposito in quanto pare dovrà restare lì fino a settembre perché il magistrato competente non rientrerà dalle ferie prima del 26 agosto. La situazione sta causando anche pesanti difficoltà “ambientali” all’interno del deposito per il deterioramento organico della salma. “E l’ennesimo caso di malagiustizia – accusa il garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni – questa volta si accanisce nei confronti di un detenuto morto e della sua famiglia, una moglie con due bambini, a cui viene perfino negato il diritto di portare dei fiori sulla tomba del proprio congiunto”.
“Tra i suicidi dei detenuti e quelli della Polizia Penitenziaria – dichiara il Segretario generale del sindacato Osapp, Leo Beneduci – e visti i 5000 uomini in meno nei due anni per il blocco del turn over previsto dalla spending review, a questo punto converrebbe chiudere del tutto le carceri italiane”. Un commento amaro, quello di Beneduci, rivolto in primis al Ministro della Giustizia, Severino ed a tutto il Governo.

Comments ( 1 )

  • Anonymous

    le persone lì diventano animali veramente, e magari erano entrati in gattabuia x delle kazzate.. altrimenti c’è chi arriva a suicidarsi… r.i.p.