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Carlo Saturno, da 4 anni s’attende la verità per la sua morte nel carcere di Bari

Si attende la verità per la terribile fine del giovane ventitreenne nel carcere di Bari: chiesta per due volte l’archiviazione. Era il 30 marzo del 2011, quattro anni fa. Dopo uno scontro fisico con un agente di polizia penitenziaria, alla presenza di altri agenti e di detenuti, Carlo Saturno, un ragazzo di soli 23 anni, veniva rinchiuso in una cella di contenimento del carcere di Bari e, dopo poco meno di un’ora, veniva ritrovato soffocato con un lenzuolo legato al collo e già in condizioni disperate. Il 7 aprile Carlo moriva.

Nel 2010, era stato testimone in un processo penale a carico di agenti di polizia penitenziaria minorile imputati per lesioni, abuso dei mezzi di correzione, lesioni gravi ed altri reati. Carlo, come altri ragazzi, detenuti in quell’istituto minorile, veniva pestato, vilipeso, sbeffeggiato, costretto al silenzio, messo in celle di isolamento, legato nudo alle reti metalliche dei letti. Allora Carlo, come i suoi compagni di sventura, aveva appena 14,15 anni.

Con enorme coraggio, si era fidato della Giustizia ed aveva denunciato quei fatti. Con altrettanto coraggio, poi, si era presentato in aula ed aveva testimoniato tutto ciò che aveva subito. Ma la denuncia, sofferta, rabbiosa e solitaria di Carlo non avrebbe prodotto alcun risultato. Si sa, a volte, la giustizia si fa ancora più lenta e il processo penale, scaturito dal dolore di Carlo, nel giugno del 2011 si è prescritto.

Dal 7 aprile 2011 ad oggi la Procura di Bari ha richiesto ben due volte l’archiviazione e ben due volte è stata rigettata dal gip dietro opposizione dell’avv. Tania Rizzo, difensore dei due fratelli, Ottavio ed Anna. Necessarie nuove indagini. Imprescindibile ascoltare i testimoni, scrive il giudice nell’ordinanza con cui rigetta la seconda richiesta di archiviazione del pm Isabella Ginefra.

“Le indagini non risultano complete” afferma il gip. Tra le anomalie del tutto senza spiegazione, rileva anche la circostanza che incredibilmente un soggetto che era considerato fragile e assumeva psicofarmaci, dopo uno scontro fisico con alcuni agenti di polizia penitenziaria, era stato lasciato solo, in una cella asfittica dove, forse da solo, aveva avuto la possibilità di stringersi una corda al collo.

Agli atti del pm che chiedeva l’archiviazione, non c’erano i verbali delle sommarie informazioni rese dagli altri detenuti presenti quel giorno nel carcere di Bari, né le cartelle mediche e psichiatriche del ragazzo che ne attestavano la condizione psicologica determinata dalle violenze in passato subite, né erano state raccolte le dichiarazioni dei medici che lo avevano visitato dopo il pestaggio, né di quelli che lo avevano accompagnato in ospedale dopo il tentativo di suicidio, né della sua educatrice cui, a quanto pare, non era stato consentito di incontrarlo sebbene Carlo, dopo quanto accaduto, ne avesse chiesto la presenza perché era in stato di grande agitazione emotiva.

Una inspiegabile voragine investigativa a fronte della notizia di reato elaborata: istigazione al suicidio. Un’ipotesi, in realtà, già oltremodo circoscritta che esclude l’accertamento sulla dinamica del suicidio ed allontana il sospetto sulla eventuale responsabilità di terzi nella drammatica morte del giovane sebbene una perizia disposta dalla Procura ed eseguita dal medico legale Francesco Introna, abbia stabilito che i segni intorno al collo sarebbero compatibili sia con un salto nel vuoto che con un eventuale strangolamento da parte di altri.

Quattro anni di indagini, dunque, all’esito dei quali, tuttavia, non c’è ancora un’iscrizione nel registro degli indagati presso la Procura di Bari. Non si conoscono i nomi di coloro che picchiarono Carlo, che lo condussero a forza nella cella di isolamento, che lo lasciarono morire. È un procedimento a carico di ignoti ed ancora giace sulla scrivania del pubblico ministero. Carlo era in carcere per furto, sottoposto a pena preventiva, detenuto in custodia cautelare. Non colpevole, fino alla sentenza definitiva di condanna. Così è morto in carcere. Non colpevole, non ancora!

Ristretto come “giovane adulto”, aveva avviato le richieste per essere assegnato ad una casa famiglia al nord nella quale avrebbe potuto imparare ad occuparsi dei più bisognosi e avrebbe potuto studiare. Ma i giudici della Corte di Appello avevano rigettato la richiesta pur corredata della disponibilità piena della casa famiglia ad accoglierlo anche in carcerazione preventiva.

Extrema ratio, il carcere, quando ogni altra misura cautelare risulti inadeguata. Oggi Carlo sarebbe vivo. Ma tant’è! Da quattro anni la vita di un giovane adulto è ferma su una scrivania. Inutili i solleciti del difensore dei due fratelli: ad oggi non è pervenuta nessuna novità dalla Procura di Bari. Sospese sono le lacrime dei familiari, la loro incredulità, la loro attesa di verità, la loro speranza di giustizia.

Maria Brucale da il Garantista