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Casal Bruciato, le associazioni accusano: «Inspiegabile l’atteggiamento delle forze dell’ordine»

A Casal Bruciato, attorno all’appartamento assegnato alla famiglia Omerovic, la tensione sembra calare. Il gazebo di CasaPound che stazionava ormai da tre giorni accanto all’ingresso del condominio di via Sebastiano Satta è stato finalmente rimosso. Il che contribuisce a rasserenare il clima ma non placa le recriminazioni sulla gestione dell’ordine pubblico. Le ragioni che hanno spinto le forze dell’ordine a tollerare la permanenza dei neofascisti tanto a ridosso delle abitazioni è ancora oggetto di accuse, esposti e polemiche.

Davanti all’edificio staziona ancora un blindato della polizia, ma di quelli che nei giorni scorsi hanno provato ad incendiare il quartiere non c’è traccia. I cittadini della staffetta solidale con la famiglia di Imer e Sedana, che hanno confortato gli assediati e dormito nell’appartamento incriminato assieme a loro, tirano un primo bilancio: «In questi giorni abbiamo visto qui sotto soprattutto gruppetti di militanti neofascisti – raccontano – Non vogliamo sminuire l’allarme, è vero che circolano sentimenti xenofobi e che la guerra tra poveri rischia di allargarsi. Ma alla mobilitazione che è stata presentata come opera di ’abitanti del quartiere esasperati’ hanno preso parte quelli di CasaPound e pochissimi altri». Lo stesso concetto viene espresso da un ampio cartello di associazioni antirazziste che ha presentato un esposto in procura contro CasaPound e l’impunità con la quale agisce. «Non si può qualificare come ’protesta dei residenti’ l’ennesimo teatrino messo in campo da CasaPound in una delle periferie della nostra città, sostenuto da uno sparuto gruppo di persone – affermano – Così come risulta inspiegabile l’atteggiamento delle forze dell’ordine che, non intervenendo tempestivamente contro gli esponenti di CasaPound hanno reso loro possibile agire indisturbati per più di due giorni».

Oggi sarebbe attesa un’informativa dettagliata in procura. Sarebbe stato definitivamente identificato, e riconosciuto come simpatizzante di CasaPound, l’uomo che avrebbe urlato «Ti stupro!» a Sedana Omerovic. Sul suo profilo Facebook compaiono foto di Hitler e messaggi negazionisti.

Nel pomeriggio si era sparsa, incontrollata, la notizia che Imer e Sedana avessero ceduto alla paura e deciso di rinunciare all’alloggio popolare. La voce è stata smentita subito dagli assegnatari, i quali prima di andare ad incontrare il papa a San Giovanni in Laterano hanno finalmente trovato il modo di chiedere l’allaccio delle utenze. È questo il segnale della loro intenzione di prendere possesso dell’abitazione. Anche perché rifiutare una casa popolare implica una conseguenza non da poco: si finisce d’ufficio in coda alla graduatoria delle assegnazioni. È questa la scelta drammatica che aveva fatto l’altro nucleo proveniente dal campo della Barbuta, la stessa baraccopoli che fino a pochi giorni fa ospitava gli Omerovic.

Anche loro erano stati aggrediti da CasaPound, l’8 aprile scorso a pochi isolati da via Satta.

Virginia Raggi ha scelto di schierarsi e incassato persino il sostegno dell’eterna rivale Roberta Lombardi. «Ho apprezzato la decisione della sindaca di metterci la faccia, scendendo in quell’arena a Casal Bruciato», afferma la capogruppo in consiglio regionale del Lazio. Raggi ieri ha incontrato velocemente Luigi Di Maio in via Caetani alla commemorazione per l’anniversario dell’omicidio di Aldo Moro. Dopo le indiscrezioni del giorno precedente, il leader pentastellato ha smentito ogni dissenso sulla gestione della vicenda di Casal Bruciato, assicurando che il M5S «è solidale con chi fa rispettare la legalità». La smentita, un po’ tardiva, arriva proprio perché non sono stati pochi, tra i grillini, quelli che hanno sostenuto Raggi. A

Di Maio ha dato fastidio la sovraesposizione mediatica della sindaca, che lo ha oscurato quando c’era da sventolare lo scalpo di Siri. Poi ha deciso di far rientrare tutto, valutando che una divisione interna ai 5 Stelle avrebbe amplificato una storia che i comunicatori M5S considerano compromettente e «divisiva». Troppo rischiosa in chiave elettorale.

Giuliano Santoro

da il manifesto