“caso Meredith” e “caso Bianzino”… se la morte non ha lo stesso peso e non buca il video
- ottobre 05, 2011
- in censura, emergenza, riflessioni, violenze e soprusi
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Il caso Amanda Knox e Raffaele Sollecito ha scatenato attenzioni e reazioni dagli Stati uniti alla Gran Bretagna. Anche se gli italiani si sono accontentati di un voyeurismo sensazionalista, a partire dal reggiseno con le tracce di liquido seminale, il “caso Meredith” ha scatenato una copertura mediatica monumentale. Alcune morti in effetti pesano stranamente più di altre.
Viene alla mente quella di Aldo Bianzino, un uomo che entrò sano, in quegli stessi giorni e sempre a Perugia, nel carcere di capanne e ne uscì morto. Nessuno se ne occupò (tranne qualche giornalista e i radicali) anche se quell’episodio oscuro era tinto di giallo non meno di quello che riguardava quanto accadde nell’appartamento della povera Meredith Kercher.
Come spesso accade per i fatti di cronaca, l’opinione pubblica si divide in due: colpevolisti o innocentisti. Prima, durante e dopo la sentenza. Nel caso di Amanda Knox e Raffaele Sollecito, la cosa è andata oltre i confini italiani assumendo toni e connotati da disputa internazionale. Gli americani contro la colpevolezza, i britannici a favore (anche se con maggior equilibrio). Gli italiani si sono accontentati di un voyeurismo sensazionalista, a partire dal reggiseno e dalle tracce di liquido seminale.
Per alcuni, difficile dire quanti, l’eccesso di notizie su quell’oscura vicenda deve aver però causato una forma di rigetto nonostante la pressante valanga di informazioni, indiscrezioni, dubbi (o forse proprio per questo). Che cosa ci spinga, o non ci spinga, ad appassionarci alle tenebre dei delitti resta un fatto inspiegabile, buono più per la letteratura psicoanalitica che non per gli studi di sociologia. Resta il fatto che alcune notizie, non meno gravi, non meno ‘gialle”, il video non lo bucano affatto. Anzi.
Viene alla mente quanto avvenne, grosso modo negli stessi giorni, sempre a Perugia nell’autunno del 2007, quando un ebanista che coltivava un po’ di marijuana nell’orto di casa venne arrestato dalla polizia. Il poveretto finì in carcere, prelevato, assieme alla compagna, nell’abitazione sulle montagne dove viveva con la vecchia madre e il figlioletto che, dopo aver assistito all’arresto, venne abbandonato con la parente ottuagenaria che a fatica capiva quanto stava accadendo.
Il fatto è che Aldo Bianzino, questo il suo nome, uscì di prigione per andare direttamente all’obitorio e di lì a una rapida sepoltura. Già se ne erano occupate solo le cronache locali, figurarsi quando sotto i riflettori esplose il caso Meredith e tutta la vicenda a tinte forti che ne scaturì. Il è solo uno dei tanti casi in cui un uomo entra vivo in carcere e ne esce morto in circostanze oscure.
Il secondo è uno dei pochi che sembra meritare attenzione. Sul primo calò rapidamente il silenzio e si venne a sentenza abbastanza rapidamente, nel 2009, quando per il caso del falegname di Pietralunga la procura di Perugia decise l’archiviazione, ignorando le opposizioni degli avvocati alla richiesta di escludere la possibilità dell’omicidio. Per la magistratura di Perugia, nonostante le rimostranze di parenti amici e, tra i politici, soprattutto dei radicali, Aldo Bianzino morì per cause naturali anche se entrò in carcere sano e ne uscì morto.
Qui non si vuol dar la croce addosso a questo o quel magistrato o mettere in dubbio i risultati delle indagini pur con tutti i dubbi che restano, in una vicenda o nell’altra. Vien solo da chiedersi perché alcune morti pesino più di altre. Almeno sul piatto mediatico. Quella del povero Aldo pesava davvero molto meno di quella della povera Meredith.
Emanuele Giordana da Terra
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