Ho riconosciuto mio figlio solo dalla punta del naso, il resto del volto di Giulio, quel volto che tante volte avevo accarezzato, era irriconoscibile: queste sono state le parole della madre di Giulio Regeni dopo avere visto il corpo all’obitorio di Roma.
È questa madre, sono i suoi genitori, che i giudici egiziani dicono adesso di volere incontrare. Il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha telefonato aalla famiglia di Giulio e ha definito «utili e proficui» i colloqui con il procuratore generale egiziano. Gentiloni ha auspicato che questi segnali positivi possano tradursi nelle prossime settimane in un impegno nella ricerca della verità. Siamo davvero a una svolta?
Sembra di sì: questo è il momento della verità, per le autorità del Cairo ma anche per noi, italiani ed europei.
È il momento in cui dobbiamo sapere come e perché questo giovane ricercatore sia stato non solo ucciso senza alcun motivo ma anche barbaramente torturato dalle forze di sicurezza egiziane. Lo dobbiamo alla famiglia Regeni, all’opinione pubblica ma anche ai princìpi di giustizia e di verità che quotidianamente vengono violati non solo in Egitto ma in gran parte della Sponda Sud: i nostri vicini di casa soffrono anche per le nostre omissioni, oggi come ieri, quando per decenni siamo stati compiacenti verso autocrazie e dittature che calpestavano la libertà. È anche per questo che siamo arrivati a questo punto, circondati da Paesi in guerra e disgregazione, con tutto quel che consegue in termini di sicurezza.
L’era dell’indulgenza deve finire sia nei confronti del generale Al Sisi che del presidente turco Erdogan. Se continueremo come già stiamo facendo a essere accomodanti e a giustificare i loro comportamenti prima o poi avremo altri Saddam e altri Gheddafi, forse anche peggiori perché a differenza di quelle dittature questi governi sono nostri alleati e partner in affari cui forniamo regolarmente miliardi di dollari e di euro di armi con Usa e Francia in prima linea. Pensiamoci.
Alberto Negri da il Sole24ore