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CASO UVA. I carabinieri ridevano: "Uva stanotte è debole lo teniamo senza problemi"

Due carabinieri che scherzano al telefono, si preoccupano dei quotidiani che non si trovano, poi commentano i fatti di quella notte, a Varese, tra il 13 e il 14 giugno 2008, quando Giuseppe Uva viene trattenuto per due ore in caserma e poi muore all’ospedale di Circolo, fotografato dalla sorella pieno di lividi e macchie rossastre. Una telefonata che sembra smentire la ricostruzione dei carabinieri che hanno sempre parlato di “atti di autolesionismo” per giustificare le ferite di Uva. I loro colleghi, nella telefonata per la prima volta pubblica, descrivono Uva come un ragazzo “debole”, che “fisicamente si può tenere”.

Sono le 7 e 54 minuti. Giuseppe è in ospedale. Per un minuto e mezzo, i militari del Radiomobile ridono, si scambiano battute, poi parlano di due ragazzi fermati.
Carabiniere 1: “Paolo era impegnato con Uva Giuseppe, stanotte”.
Carabiniere 2: “Si, si..”.
C1: “E poi io gli ho portato qua anche il F. B. Gliel’ho detto a Mario, non so chi è tra i due.. chi è il migliore. Non lo so, Uva..”.
C2: “No, no.. Uva fisicamente lo puoi tenere, tanto è debole”.
C1: “Ah..”
C2: “Il B. era intenibile”.

La registrazione è contenuta nel fascicolo del procedimento perché la procura aveva acquisito agli atti le registrazione di 112, 113 e 118. È così che spunta la telefonata che l’amico di Uva, Alberto Biggiogero, fa al 118. Seduto su una panca nella caserma di via Saffi, vede “il via vai di carabinieri e poliziotti”. Sente “le urla di Giuseppe che echeggiano per la caserma e i colpi dal rumore sordo”. Chiama il 118. “Stanno massacrando un ragazzo”, dice all’operatore che chiama in caserma e chiede se deve mandare un’autoambulanza. “No, no sono due ubriachi – rispondono – ora gli togliamo i cellulari”. Alberto mette a verbale di aver “udito le urla incessanti di Giuseppe per circa un’ora e mezzo ancora”. Uva arriva al pronto soccorso solo molto dopo, alle 6.03. Qui prende i farmaci che lo portano alle 11.10 alla morte – secondo la procura, che ha indagato per omicidio colposo due medici – perché incompatibili con l’alcol in corpo.

“La telefonata tra i militari – dice l’avvocato degli Uva Fabio Anselmo – mina alla base la versione data dalle forze dell’ordine, che sostengono che Uva si sia procurato le ferite da solo”. Nella relazione di servizio il brigadiere P. R. e l’appuntato scelto S. D. B., raggiunti in caserma da sei colleghi delle volanti, scrivono che in quelle ore “Uva è in forte stato di agitazione”, che “si buttava dalla sedia, si divincolava, resisteva, dava calci contro armadio e scrivania, procurandosi lesioni lievi ed escoriazioni agli arti inferiori”. Nell’audio – un loro collega cita per nome uno dei militari che ferma Uva – Giuseppe è descritto “debole”, facilmente gestibile sul piano fisico, tanto che è l’altro fermato, F. B., ad creare più problemi. D’altronde lo stato fisico di Uva è uno dei tanti enigmi: il tasso alcolico di 1,6 registrato dall’autopsia, è compatibile con l’autolesionismo o provoca – come dice la letteratura medica – “sonnolenza molto intensa”?. Per questo, da tempo, la difesa chiede una nuova autopsia: la mancanza di esami radiologici ha impedito di individuare fratture. Una verifica che oggi può essere fatta solo con la riesumazione del corpo.

fonte: La Repubblica