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Caso Uva, vogliono insabbiare anche il film

Querelati gli autori, Chiarelli e Menghini, che hanno ricostruito la storia dagli atti del processo. Grottesco il tentativo di censura.
Prima la denuncia per diffamazione alla sorella di Giuseppe Uva e a Le Iene. Adesso la stessa accusa è rivolta agli autori del film documentario Nei secoli Fedele, Adriano Chiarelli e Francesco Menghini. Con l’aggiunta grottesca della richiesta di sequestro del filmato “su tutto il territorio nazionale”. A parere dei querelanti, il filmato avrebbe leso il “prestigio e la reputazione” dei carabinieri che parteciparono all’arresto di Giuseppe Uva la notte tra il 13 e il 14 giugno 2008 a Varese. Questa è la prima delle tre denunce. Sì, perché le altre due arrivano dagli agenti di P.s. intervenuti a supporto dell’azione di fermo di Uva e Alberto Biggioggero, l’amico e testimone che il pm non ha mai ascoltato.
La stampa locale non aveva fatto mistero delle voci raccolte in Procura a Varese, secondo le quali i provvedimenti sarebbero presto arrivati a destinazione. E infatti, uno dei fascicoli era già pronto il 18 dicembre 2012. Ma le tre querele sono piombate sulla scrivania dell’avvocato di Chiarelli solo pochi giorni fa. Della questione si era già occupato Checchino Antonini su Popoff il 4 aprile scorso: «Adriano Chiarelli e Francesco Menghini avrebbero avuto il torto di ricostruire la storia per quello che hanno detto gli atti di un processo e ascoltando sia le parole di Lucia – cui toccò riconoscere il corpo martoriato del fratello – sia quelle di Alberto Biggioggero, l’amico che condivise l’ultima notte di Uva fin dentro il commissariato dove furono condotti dopo l’arresto per schiamazzi o robe del genere».
A parlare pubblicamente delle querele è stato il senatore Pd Luigi Manconi, durante la conferenza stampa sulla sentenza Cucchi, tenutasi in Senato il 6 giugno. Il parlamentare ha rilevato l’assurdità delle denunce agli autori dei documentari. Forse colpevoli di eccesso di coscienza civica, nel voler raccontare fatti di cronaca che direttamente o indirettamente coinvolgano rappresentanti delle forze dell’ordine. Ma lo scatto in avanti in questo caso è rappresentato proprio dalla richiesta di sequestro del filmato. Tentativo di censura d’altri tempi. «L’ultima volta di un caso simile risale al 1975, quando fu sequestrato dalle sale Todo Modo di Elio Petri», commenta a caldo Adriano Chiarelli, che aggiunge: «Abbiamo raccontato i fatti basandoci sugli atti processuali e sentendo i testimoni della vicenda». L’obiettivo dichiarato dei querelanti è quello di evitare la reiterazione del reato di diffamazione.
Ma qualcuno potrebbe chiedersi se non ci sia anche l’intenzione di evitare un ulteriore circolazione del filmato. Anche se così facendo il caso Uva ritornerebbe alla ribalta delle cronache e le polemiche si alimenterebbero. Soprattutto dopo la sentenza sul caso di Stefano Cucchi. Che il filmato sia allusivo o meno di un qualsivoglia giudizio nei confronti di chicchessia – come viene scritto nei testi delle denunce – lo stabilirà un giudice, se e quando riterrà opportuno rinviare a giudizio Chiarelli e Menghini. Ma di certo il tentativo di mettere a tacere un lavoro documentaristico sembra anacronistico e figlio di una cultura del silenzio, che il nostro Paese vanta da ormai troppo tempo. Troppe volte si tende ad affossare anche il diritto di cronaca. E questo vale soprattutto quando di mezzo ci sono rappresentanti della legge, sia quando le responsabilità sono giudiziariamente evidenti, sia quando non lo sono, come in questo caso.
Massimo Lauria da popoff