Un bambolotto di colore, alto circa un metro, senza abiti, infilzato come un crocifisso sulle sbarre del cancello del Cam, il Contemporary Art Museum di Casoria. E’ questo lo spettacolo inquietante che si sono trovati di fronte stasera il direttore del museo Antonio Manfredi e i suoi collaboratori, arrivati per gli ultimi ritocchi all’allestimento della grande mostra “AfriCam” dedicata all’arte contemporanea africana, che apre il 5 dicembre. Con loro c’erano anche due artisti arrivati per l’occasione per esporre i loro lavori, il ganese Narku Thompson Nii e l’egiziano Mohamed Alaa, che sono rimati impressionati.
“E’ stato un chiaro gesto intimidatorio ma certo noi non ci scoraggiamo e andiamo avanti – dice Manfredi, che è andato subito dai carabinieri – Non a caso oggi è uscito l’annuncio della mostra sul giornale locale di Casoria. E’ stato un gesto di razzismo vero e proprio. E’ stato comunque uno shock, perché è vero che noi siamo abituati come museo a Casoria a stare sempre in lotta per sopravvivere, ma nell’arte non ci aspetteremmo mai azioni di questo tipo che testimoniano una volontà razzista. Nell’arte non pensiamo mai alle ghettizzazioni, noi vogliamo stare al di sopra di queste diversità. L’obiettivo della mostra infatti è di mostrare che anche in situazioni di difficoltà la cultura vince, permane e dà la forza per andare avanti. Tutte le opere in mostra vogliono raccontare che l’Africa non è solo fatta di immigrati disperati, ma ci sono anche artisti e intellettuali. Che magari fanno sculture con la carta riciclata dalla spazzatura, o che lavorano in atelier-baracche. Ma portano colori straordinari in posti fatti di nulla e cenere. L’arte dell’Africa aiuta l’immagine dell’Africa”.
Dalla periferia del mondo alla periferia di Napoli. A dar fastidio, forse, la mobilitazione di associazioni e comunità di immigrati e rifugiati africani che il Cam ha attivato. Dall’associazione dei Rifugiati di Napoli, a Ltm Laici Terzo Mondo O.N.G. di cooperazione internazionale, l’Ufficio Diocesano Migrantes, la Comunità di S. Egidio, Medici senza Frontiere, l’Uffico Immigrati della Cgil, il Centro Sociale Autogestito “EX-Canapificio”, l’associazione Terra Buona Onlus (con la quale gli artisti Narku Thompson Nii e Mohamed Alaa parteciperanno domani mattina a un laboratorio di pittura creativa e una tavola rotonda con gli studenti delle scuole del territorio dell’area a Nord di Napoli).
“Tutte queste associazioni – sottolinea Manfredi – hanno portato il nostro messaggio agli africani con cui hanno contatto. Noi vogliamo che nella nostra mostra gli africani immigrati vedano l’arte del loro paese, che sentano l’appartenenza ad uno stesso continente attraverso le opere in mostra. Vorremmo che il Cam diventasse con la mostra un punto di contatto per una consapevolezza della loro identità. E per l’inaugurazione saranno presenti tutte le associazioni e tutti gli immigrati africani, dagli ambulanti ai responsabili degli uffici di rifugiati, dalle persone ai limite della società a quelle più inserite. Tutti devono venire e capire che appartengono ad una stessa identità e attraverso la cultura questo è possibile”.
Una mostra “impegnata”, quella del Cam, costruita da Manfredi con un anno di viaggi in Africa tra Kenya, Ghana, Nigeria, Egitto, Burkina Faso, a tessere una rete di contatti con gli artisti più interessanti direttamente sul posto, anche i più remoti, dove non esistono intermediazioni di gallerie o collezionisti, per scoprire l’espressione più libera dell’arte africana svincolata da interventi economici di privati e da influenze occidentali che spesso condizionano l’originalità delle produzioni artistiche. Le difficoltà sono state enormi. In Kenya Manfredi è stato anche arrestato perché aveva fotografato un commissariato. “La paura degli attentati è fortissima lì – racconta – alle nove di sera scatta il coprifuoco, non si può più girare”.
“E’ stato un chiaro gesto intimidatorio ma certo noi non ci scoraggiamo e andiamo avanti – dice Manfredi, che è andato subito dai carabinieri – Non a caso oggi è uscito l’annuncio della mostra sul giornale locale di Casoria. E’ stato un gesto di razzismo vero e proprio. E’ stato comunque uno shock, perché è vero che noi siamo abituati come museo a Casoria a stare sempre in lotta per sopravvivere, ma nell’arte non ci aspetteremmo mai azioni di questo tipo che testimoniano una volontà razzista. Nell’arte non pensiamo mai alle ghettizzazioni, noi vogliamo stare al di sopra di queste diversità. L’obiettivo della mostra infatti è di mostrare che anche in situazioni di difficoltà la cultura vince, permane e dà la forza per andare avanti. Tutte le opere in mostra vogliono raccontare che l’Africa non è solo fatta di immigrati disperati, ma ci sono anche artisti e intellettuali. Che magari fanno sculture con la carta riciclata dalla spazzatura, o che lavorano in atelier-baracche. Ma portano colori straordinari in posti fatti di nulla e cenere. L’arte dell’Africa aiuta l’immagine dell’Africa”.
Dalla periferia del mondo alla periferia di Napoli. A dar fastidio, forse, la mobilitazione di associazioni e comunità di immigrati e rifugiati africani che il Cam ha attivato. Dall’associazione dei Rifugiati di Napoli, a Ltm Laici Terzo Mondo O.N.G. di cooperazione internazionale, l’Ufficio Diocesano Migrantes, la Comunità di S. Egidio, Medici senza Frontiere, l’Uffico Immigrati della Cgil, il Centro Sociale Autogestito “EX-Canapificio”, l’associazione Terra Buona Onlus (con la quale gli artisti Narku Thompson Nii e Mohamed Alaa parteciperanno domani mattina a un laboratorio di pittura creativa e una tavola rotonda con gli studenti delle scuole del territorio dell’area a Nord di Napoli).
“Tutte queste associazioni – sottolinea Manfredi – hanno portato il nostro messaggio agli africani con cui hanno contatto. Noi vogliamo che nella nostra mostra gli africani immigrati vedano l’arte del loro paese, che sentano l’appartenenza ad uno stesso continente attraverso le opere in mostra. Vorremmo che il Cam diventasse con la mostra un punto di contatto per una consapevolezza della loro identità. E per l’inaugurazione saranno presenti tutte le associazioni e tutti gli immigrati africani, dagli ambulanti ai responsabili degli uffici di rifugiati, dalle persone ai limite della società a quelle più inserite. Tutti devono venire e capire che appartengono ad una stessa identità e attraverso la cultura questo è possibile”.
Una mostra “impegnata”, quella del Cam, costruita da Manfredi con un anno di viaggi in Africa tra Kenya, Ghana, Nigeria, Egitto, Burkina Faso, a tessere una rete di contatti con gli artisti più interessanti direttamente sul posto, anche i più remoti, dove non esistono intermediazioni di gallerie o collezionisti, per scoprire l’espressione più libera dell’arte africana svincolata da interventi economici di privati e da influenze occidentali che spesso condizionano l’originalità delle produzioni artistiche. Le difficoltà sono state enormi. In Kenya Manfredi è stato anche arrestato perché aveva fotografato un commissariato. “La paura degli attentati è fortissima lì – racconta – alle nove di sera scatta il coprifuoco, non si può più girare”.
Notizie utili – “AfriCam”, dal 5 dicembre al 28 febbraio, CAM_Casoria Contemporary Art Museum, Via Duca D’Aosta 63/A Caloria (Napoli), Tel/Fax: +39 0817576167, martedì- mercoledì- giovedì- domenica 10.00/13.00; sabato 17.00/20.00.
Informazioni:
info@casoriacontemporaryartmuseum.com
fonte: La Repubblica
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guardate che “belle” cose si trovano sulla rete: http://www.youtube.com/watch?v=U-dyeZ0KA-k