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Cassazione, al 41 bis i divieti devono essere motivati

Il pericolo del collegamento con la criminalità organizzata deve essere concreto per rigettare un reclamo. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza di annullamento con rinvio numero 4413 del 2018. A dire il vero è stata già la Corte Costituzionale che, con numerose decisioni, ha a suo tempo chiarito che il regime del 41 bis non è costituzionalmente illegittimo solo nella misura in cui viene interpretato nella piena sindacabilità del Tribunale di Sorveglianza, adito con reclamo, e nella valutazione caso per caso. Sentenze che a suo tempo recepì per primo l’ex ministro della Giustizia Giovanni Conso, quando decise – facendo, appunto, singole valutazioni – di non prorogare nel 1993 il 41 bis a 334 detenuti.

La Cassazione con questa pronuncia, accoglie il ricorso e rinvia al Tribunale di Sorveglianza per un riesame, ritenendo fondata la doglianza sull’assenza di motivazione. Scrive la Corte che il Tribunale dovrà provvedere «dando conto delle determinazioni assunte, con adeguata e specifica motivazione». Ha infatti osservato che, il Tribunale di Sorveglianza dell’Aquila – nel rigettare il reclamo contro il tratte-nimento della missiva contente un vaglia postale, indirizzato ad una detenuta in regime di 41 bis ritenendo che la missiva agevolasse il pericolo del mantenimento del collegamento con l’organizzazione criminale esterna non aveva fornito alcuna motivazione in merito alla «concretezza del paventato pericolo», mancando ad esempio di indicare la somma oggetto del vaglia e la specifica provenienza dello stesso, così che la prospettazione del pericolo rimanesse «una mera asserzione astratta», priva dei necessari ancoraggi alla situazione posta in esame. Ancora una volta la Cassazione si impone al Giudice di merito, perché argomenti nel concreto la paventata sussistenza del collegamento con la criminalità organizzata, come motivo di rigetto alla fruizione dei diritti fondamentali. Solo la concretezza e attualità del collegamento per la Corte giustificano il rigetto: diversamente la Corte impone al Tribunale di motivare nel concreto le sue determinazioni.

In effetti non esiste scritto nessun divieto in tal senso. La Circolare 3676/ 6126 del ministero della Giustizia del 2/ 10/ 2017 era intervenuta ordinando una disciplina di dettaglio con riferimento all’istituto del carcere

duro ed in particolar modo al contenuto di tale istituto, con l’intento di uniformare le regole per tutti i penitenziari che ospitano le sezioni del 41 bis. E tra le regole, c’è scritto nero su bianco che sono previste limitazioni a somme, beni ed oggetti che possono essere ricevuti dall’esterno: è vietata la spedizione e ricezione di denaro e valori all’interno della corrispondenza ordinaria, però i detenuti possono ricevere denaro solo in occasione dei colloqui visivi o tramite, appunto, un vaglia postale. Ed è questo il motivo per il quale la detenuta al 41 bis ha fatto ricorso.

A proposito delle corrispondenze al 41 bis giova però ricordare un’altra sentenza della Cassazione, quella n. 28309 del 5 aprile 2018, che aveva ritenuto legittimo il trattenimento di una missiva indirizzata dal detenuto ad una congiunta, precisando che «è sufficiente il ragionevole timore di un pericolo per l’ordine e la sicurezza degli istituti». Nel caso concreto «aveva chiesto a B. di inviare una somma di euro 200 al proprio legale per la iscrizione al Partito Radicale; in realtà era quasi certo che la somma fosse indirizzata a sostenere l’associazione “Nessuno tocchi Caino”, in aggiramento del divieto imposto da una circolare del Dap». I supremi giudici avevano respinto il ricorso perché, come appunto ribadito, è «dettata da ragioni di sicurezza e di ordine nelle carceri in aderenza a quanto permesso dall’ordinamento penitenziario». Per Rita Bernardini, Sergio D’Elia ed Elisabetta Zamparutti di Nessuno Tocchi Caino si è trattata di una «sentenza inaudita e senza precedenti, che dice l’opposto di quel che siamo e che nega tutto ciò che abbiamo fatto in questi anni».

Damiano Aliprandi

da il dubbio