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Castelvolturno: Dalla strage alla rivolta. Una ricostruzione. Le parole degli immigrati.

La strage dentro e fuori una sartoria a Varcaturo. I killer, forse quattro, avrebbero fatto irrruzione con le pettorine della polizia e poi preso a sparare a due mani con pistole e Kalashnikov. Esplosi almeno 120 colpi. Una allucinante mattanza dalle modalità inedite in questa terra dove si uccide molto ma in genere in maniera meno fragorosa. Restano colpite sette persone, sei morti e un ferito ancora ricoverato in difficili condizioni. Sono tutti immigrati, ghanesi, togolesi, liberiani. La lettura immediata di inquirenti e mass media segue le strade più scontate: una ritorsione legata al traffico della droga e al mondo dello spaccio. Ma c’è anche chi ricorda poco tempo fà l’assassinio del gestore di un lido che si er a rifiutato di pagare il pizzo. E l’ipotesi investigativa che un gruppo di fuoco dei clan del casertano abbia scelto una strategia violenta e clamorosa per giocare la propria partita nelle gerarchie e negli indirizzi dell’organizzazione. ‘Propaganda armata’ a fronte delle titubanze e del disorientamento dei capi storici pressati dai processi. Una strategia che spingerebbe ad azioni esagerate e sanguinarie. Secondo la testimonianza del fotografo Ansa che è stato sul luogo della strage: ‘Qualunque fossero le motivazioni dell’agguato è difficile credere che si sia trattato di assassini mirati per tutti. L’impressione, per le modalità folli della sparatoria, è che se i killer avessero trovato in zona venti persone ne avrebbero ammazzate venti…’. Non tutte le vittime sono dentro la sartoria. Alcune sono in strada, un ragazzo è colpito in macchina, la cintura di sicurezza ancora allacciata;
Il Riot Una ricostruzione a partire dai resoconti di antirazzisti del centro sociale ex-canapificio di Caserta, che da anni supportano immigrati e rifugiati che vivono in quest’area e che sono accorsi oggi a Castelvolturno Il corteo di protesta parte nella tarda mattinata. Presto si trasforma in rivolta perchè la rabbia trabocca. Quando arrivano gli attivisti dell’Ex Canapificio lungo la Domiziana si sono formati ormai diversi blocchi, con barricate e fuochi, macchine ribaltate e segnaletica stradale divelta. In strada ci sono anche figli, mogli e parenti di alcune delle vittime, tantissimi amici e connazionali. Molte centinaia di persone. Le motivazioni di quest’esplosione stanno sicuramente nell’emozione e nel dolore della strage, ma anche in un insieme complesso di altre componenti. Provo a ricostruirle dal raccont o di Mimma dell’ex-canapificio: ‘Anzitutto sostengono l’estraneità delle vittime rispetto alla camorra. In realtà ci sono molti che ne conoscevano specificamente una o un’altra e rivendicano la dignità della sua memoria. Ci sono ad esempio tante persone con una fotografia di Kwame Antony Julius Francis, che di mestiere faceva il muratore e da pochi giorni era tornato da Milano. Kwame era in Italia da sei anni come richiedente asilo, fino al riconoscimento di uno status di protezione umanitaria. Altri ricordano il proprietario della sartoria, El Adji Ababa, di cui anche i vicini di casa italiani difendono la reputazione. Vicinissima alla sartoria c’è un agenzia della Western Union: diverse persone frequentano quel posto per inviare denaro ai parenti. E’ il caso probabilmente di Akey, una delle vittime che lavorava a Napoli come barbiere. In strada è presente la moglie, che ieri lo ha aspettato invano per or e prima di sapere della tragedia’. Ma ancora più forte è l’indignazione per un sentimento di discriminazione molto diffuso, che si mescola alla paura e all’incertezza del futuro: tanti temono che passata l’onda della notizia la polizia si dimenticherà della strage. E che l’impunità dei colpevoli fissi il prezzo della vita di un immigrato in questa zona. Non sarebbe la prima volta. Molti qui ricordano la morte di Job Augustine, nigerino, gambizzato nella vicina Giugliano per ‘futili motivi’ e deceduto poi in ospedale. Una morte senza colpevoli, come altre morti o sparizioni che a volte non vengono neppure alla luce. ‘Appena siamo arrivati – continua Mimma – in tanti gridavano che se fosse morto Berlusconi domani ci sarebbe il colpevole. Invece per sei neri non succederà niente’. Un episodio simile, seppur minore, c’è stato a Napoli un anno fà. Dopo il ferimento alle gambe di due ragazzi immigrati, gambizzati probabilmente per una festa troppo rumorosa (..!!). I loro connazionali si riversarono in piazza bloccando le strade con i cassonetti. Il motivo della protesta stava nell’impressione di inerzia avuta dalla volante della polizia che loro stessi avevano allertato (audio intervista a un immigrato presente). Protagoniste erano le stesse comunità dell’africa occidentale, soprattutto ghanesi e nigeriani. Un sentimento di frustrazione e di discriminazione che si sta quindi radicando, con l’impressione di essere compressi nel difficile status di persone senza diritti di cittadinanza e insieme oggetto dei peggiori stereotipi. Quando invece la stragrande maggioranza conosce il pane duro del lavoro sfruttato e non garantito nei tanti cantieri in nero dell’edilizia, nelle autorimesse, nelle piccole offici ne. Una frustrazione ancor maggiore perchè il sentimento di insicurezza e di abbandono si combina con la percezione che lo stato italiano sia vessatorio solo quando si occupa del loro diritto di soggiorno. In una parola sola ‘razzista’, come il grido che risuona più spesso nella giornata. ‘In molti – aggiunge ancora Mimma – denunciano violenze o minacce dai padroni di casa che cercano di cacciare con la forza gli immigrati, perchè temono il sequestro dell’immobile dopo le nuove norme del ‘pacchetto sicurezza’. E dicono che spesso i Commissariati di zona si rifiuterebbero di raccogliere le loro denunce, soprattutto se l’immigrato è senza documenti’. Storie diffuse: proprio in queste settimane è venuta fuori quella di Angel, una donna sola con la sua bambina, che è stata picchiata a sangue dal proprietario di casa. Angel sostiene di essere andata dalla polizia con gli abiti anco ra sporchi di sangue, ma che si sarebbero rifiutati di raccogliere il suo racconto.In questo mix di rabbia, dolore, furia, indignazione e paura, i blocchi sono andati avanti fino alle dieci di sera. Intanto una delegazione di migranti ha incontrato il sindaco di CastelVolturno. Hanno chiesto la sua mediazione con le altre istituzioni perchè non ci sia impunità, perchè la verità venga a galla e siano valutate tutte le ipotesi, come ad esempio quella ‘estorsiva’. Hanno chiesto di riavere quanto prima i corpi delle vittime e di ricevere supporto rispetto all’ondata di azioni aggressive di chi vuole cacciarli dalle case. Il sindaco dal canto suo ha garantito che non avrebbe abbandonato mogli e figli delle vittime (vedremo…). Una parte della comunità immigrata ha annunciato così che domattina contribuirà a pulire le strade come segno di riconciliazione con gli altri abitanti ‘autoctoni’ di Castelvolturno :’perchè e grave; non protestiamo contro tutti gli italiani’. Ma la tensione resta alta, mentre dall’altra lato della città gruppi di residenti italiani protestano già per gli effetti del riot. Per domani è annunciato l’arrivo degli ambasciatori, in particolare di quello del Ghana. Un fatto non apprezzato da tutti. Temono che in nome della ‘diplomazia’ possa sminuire le ragioni della protesta. Sembra che in passato non abbia dato prova di grande coraggio. Un dimostrante sintetizza così:’il governo italiano deve considerarlo un ottimo scendiletto’.

fonte: InsuTv