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Catania: chiude l’ufficio del Garante dei diritti dei detenuti

La notizia è di queste ore: chiude a Catania l’ufficio del Garante dei diritti dei detenuti, uno dei pochi presidi di democrazia e di civiltà istituiti negli anni passati dalla Regione Siciliana.

L’ufficio, che si occupava delle carceri della parte orientale della regione, insieme a quello centrale, avente sede a Palermo, ma anch’esso drasticamente ridimensionato, essendo passato da 13 a 5 dipendenti, venne istituito con la legge 19 maggio 2005, n. 5, art. 33 e, fino al settembre 2013, ha trattato diverse migliaia di casi riguardanti detenuti nelle carceri siciliane o che fossero siciliani, anche se reclusi altrove.

Tra i risultati più importanti conseguiti dall’ufficio vi sono certamente quelli legati alle attività lavorative autonome svolte dai reclusi, quelle di carattere culturale, teatrale e sportivo, quelle di assistenza alle famiglie e ai minori, senza trascurare le centinaia di interventi compiuti per assicurare ai detenuti una corretta assistenza sanitaria e una detenzione dignitosa.

Dopo il settembre 2013, alla scadenza del mandato del Garante, il dottore Salvo Fleres, per circa 3 anni, l’ufficio è rimasto pressoché inattivo, poiché il Presidente della Regione Rosario Crocetta, ritenne di non indicare nessuno, fino a metà del 2016, quando fu nominata la dottoressa Maria Antonietta Bullara, che rimase in carica soltanto due mesi.

Poi è stata la volta del Garante in carica, il professore Giovanni Fiandaca. Il resto è storia recente, con la decisione di queste ore di chiudere la sede di Catania. Una sede, è bene precisarlo, che  operava a costo zero, mantenendo quasi del tutto immobile quella di Palermo.

Sull’argomento abbiamo sentito l’ex Garante, nonché autore della legge istitutiva, Sen. Salvo Fleres.


Salvo Fleres

Come mai questa decisione che priva una parte della Sicilia di una presenza di prossimità in un settore così delicato come quello delle carceri?

Il motivo bisognerebbe chiederlo al Presidente Crocetta e al Garante in Carica. Personalmente credo che la decisione non sia recente, anche se è stata posta in essere adesso. Penso che la scelta di o privare la Sicilia Orientale di un servizio così importante risieda nell’evidente insensibilità del governo regionale verso questo genere di problematiche, che riguardano i soggetti deboli della società. D’altra parte, se non si fosse intervenuti mediaticamente, la stessa cosa sarebbe accaduta ai disabili, da anni trascurati da Crocetta e dai suoi assessori.

Lei, da Garante, fece parlare molto i giornali per le sue iniziative che sfidarono i vertici dell’amministrazione penitenziaria e persino la Magistratura. Pensa che questo suo atteggiamento abbia pesato sulle sorti dell’ufficio?

Mi auguro di no. Non amo la dietrologia ma non posso negare che le mie iniziative, soprattuto alcune, mi abbiano tirato addosso le antipatie di molti personaggi autorevoli, poco inclini al contraddittorio.”

Può essere più chiaro?

Certo! Vede, quando lo Stato è forte ed è rispettoso delle leggi è in grado persino di contestare se stesso. L’ufficio del Garante, spesso, si scontrava contro altre istituzioni pubbliche e lo faceva a viso aperto, con i mezzi forniti dalla legge e con il rischio di perdere o di far perdere lo Stato medesimo. Insomma, era lo Stato, che può apparire troppo severo quando perquisisce corporalmente i familiari dei reclusi, che si piegava alle sue leggi quando riconosceva ai reclusi il diritto a una detenzione regolare, in spazi regolamentari, con l’assistenza prevista ecc. Quando lo Stato arretra, come nel caso della chiusura dell’ufficio del Garante di Catania, diventa il migliore alleato della criminalità organizzata e comune che, dimostrando l’inadeguatezza delle istituzioni, afferma la propria forza e torna ad essere l’unico interlocutore credibile per chi si trova in galera. Non so se sono stato chiaro!

Lo è stato certamente. Insomma lei vuole dire che la chiusura di un ufficio come quello di cui parliamo e l’indebolimento complessivo del settore fa comodo alla delinquenza. Non le pare molto dura come affermazione?

Direi proprio di no e le rispondo con due dati. Quando un recluso sconta la pena in maniera regolare, viene assistito, viene rieducato, lavora, studia, ecc. nell’85% dei casi non torna in carcere. Quando invece sconta la propria pena in maniera indegna, in spazi ristretti, senza lavorare, né studiare ecc. nell’85% dei casi torna in carcere nei successivi due anni. Credo che queste non siano opinioni ma fatti che dimostrano come la criminalità goda moltissimo della solitudine istituzionale del recluso.

Lei vuol dire che chi abbandona i reclusi a se stessi o sopprime servizi importanti come quello di cui parliamo favorisce la criminalità?

Potremmo parlare di un favore colposo, probabilmente inconsapevole, non certo doloso. Lo stesso favore che fa la scuola, quando non funziona è non si cura dell’abbandono, o altri corpi dello Stato, quando si fanno infiltrare dall’illegalità.

Lei, per oltre due anni, è stato coordinatore nazionale dei Garanti regionali dei detenuti. Cosa ricorda di quell’esperienza?

Una grande collaborazione tra tutti noi garanti e un grande rispetto da parte dei nostri interlocutori. Ricordo che non ebbi nessun problema a far passare in Senato un emendamento che permetteva ai Garanti di entrare in carcere senza preavviso né autorizzazione. Riuscii nell’intento perché noi Garanti eravamo diventati importanti strumenti di legalità.

Oggi c’è un garante nazionale ma non credo se ne siano accorti in tanti. La funzione di garante è una funzione dura e difficile, non la si può esercitare stando seduti dietro le scrivanie del Ministero della Giustizia, magari evitando di infastidire troppo l’apparato ospitante. Bisogna andare nelle carceri, ascoltare i reclusi, leggere le loro lettere ed agire anche in controtendenza ma nel rispetto della legge e dei Diritti umani.

Tornerebbe a fare il garante dei detenuti?

Sì, certo, lo farei, ma con un governo diverso, un governo che sappia distinguere il crimine dal criminale, così come bisogna saper distinguere la malattia dal malato.  Le malattie non si sconfiggono proclamandone la pericolosità ma curandole con competenza e sacrificio, magari adoperando i farmaci giusti e rivolgendosi ai medici migliori. Intelligenti pauca.

da EnnaOra

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