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Chi c’è dietro l’assassinio di due esponenti del partito “Avvenire della Siria”?

Il 12 gennaio Zakariya Jabbar e Bashar Haj Bekur, membri del partito “Avvenire della Siria”, sono stati assassinati da uomini sconosciuti nella regione di al-Bab, posta sotto il controllo delle forze arabo-curde.

Finora, tra le vittime nei ranghi di tale organizzazione, l’esponente più nota era la militante democratica curda Hevrim Xelef (Havrin Khalaf), assassinata il 12 ottobre 2019 da una banda di mercenari jihadisti filo-turchi (il “Battaglione 123” organico alla milizia “Ahrar al-Sharqiya” alleata di Ankara).

Come Hevrim Xelef anche Zakariya Jabbar e Bashar Haj Bekur si battevano per “uno Stato laico, in cui donne e uomini avessero gli stessi diritti e in cui potessero convivere pacificamente sunniti e sciiti, alauiti e armeni, yazidi e cristiani”. Senza che nessuno ne venisse escluso per ragioni di sesso, etnia, religione. Quello che- se pur tramille difficoltà e qualche inevitabile compromesso – stanno cercando di realizzare i curdi e i loro alleati in Rojava.

L’aggressione e la barbara uccisione di Hevrim Xelef erano avvenute sull’autostrada internazionale M4, tra Soulouk e Tall Tamer, presso il villaggio di Tirwazi, nel nord del Rojava.Quel giorno, con l’appoggio dell’aviazione turca, i mercenari filo-turchi erano penetrati in Siria raggiungendo la M4 e massacrando almeno un’altra decina di civili.

La giovane curda (Segretario generale del “Partito Avvenire della Siria”) era stata violentata e lapidata mentre il suo martirio veniva anche filmato. Nata nel 1984 a Derik in una famiglia politicamente impegnata, ben quattro dei suoi fratelli e una sorella – Zozan -avevano partecipato alla lotta di liberazione ed erano caduti in combattimento.

Originaria di Derik, Hevrin aveva partecipato alla Rivoluzione del Rojava impegnandosi nei movimenti giovanili e della società civile. Con la proclamazione dell’Amministrazione autonoma democratica (2015) era diventata copresidente aggiunto del Comitato dell’energia dell’autonomia democratica del cantone di Cizière.

Nel 2018 aveva preso parte alla costituzione del Partito Avvenire della Siria nella prospettiva di tutelare tutte le componenti (etniche, religiose, sociali…) della popolazione siriana e il 27 marzo 2018, a Raqqa, ne veniva nominata Segretario generale.

Anche con l’invasione turca del nord e dell’est della Siria (ottobre 2019) Hevrim aveva continuato nel suo impegno politico e sociale, fino al giorno della brutale esecuzione.

Come aveva ricordato sua madre, Souad Mustafa: “Lei credeva nella Pace in un sistema partecipativo tra tutte le componenti della Siria e cercava di mettere fine al conflitto armato, alla guerra sanguinosa che dura ormai da un decennio”.

Souad aveva anche ricordato che il leader della milizia responsabile dell’uccisione di sua figlia era un certo Hatem Amo Shara, finanziato e armato direttamente dalla Turchia. Già tristemente noto sia come uno dei maggiori responsabili del massacro dei curdi yezidi in Afrin, sia in quanto legato ad altri capi di milizie mercenarie, gli stessi che avevano incontrato ufficialmente Erdogan nell’aprile 2018 per concordare ulteriori attacchi contro i curdi in Siria.

Non per questo dobbiamo dare per scontato che anche stavolta le responsabilità siano esclusivamente di Ankara. O almeno potrebbero essere non solo di Ankara. Vista le rete, il groviglio di interessi geostrategici che si confrontano e scontrano nel nord della Siria.

Con una dichiarazione letta a Erime da un responsabile di “Avvenire della Siria”, il partito ha condannato il duplice assassinio sostenendo che “dopo i successi riportati nella Siria del Nord e dell’est contro l’organizzazione terrorista Daesh/Isis, grazie al sacrificio dei combattenti delle FDS e l’unità manifestata dagli abitanti della regione, questo progetto (il Confederalismo democratico nda) è diventato un modello di democrazia per tutto il Paese e una possibile soluzione per la crisi siriana e per tutto il Medio-Oriente”.

Ma ha anche precisato che “alcune componenti interne tentano di sovvertire il progetto democratico nella regione e di farlo abortire. Utilizzando sia i media, sia economicamente, sia alimentando la sedizione nella società per riportare il paese al 2011”.

Viene naturalmente da chiedersi a chi si stava riferendo. Forse alle componenti “moderate” legate al PDK di Barzani, (e oggettivamente colluse con Ankara)? A Damasco? O – sempre forse – a entrambe?

Gianni Sartori