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«Se c’è pericolo non si può negare l’asilo al migrante» Lo ha stabilito la Cassazione

La Corte di Cassazione ha stabilito che per negare l’asilo a un richiedente bisogna provare che tornando nel suo Paese non rischierebbe la vita.

I togati di piazza Cavour, accogliendo il ricorso di un ragazzo del Pakistan hanno dunque esortato i magistrati a evitare «formule stereotipate» e a «specificare sulla scorta di quali fonti» abbiano acquisito «informazioni aggiornate sul Paese di origine» dei richiedenti asilo. Nel caso specifico, la Commissione prefettizia di Lecce e poi il Tribunale avevano negato la permanenza in Italia.

La valutazione di una domanda di protezione internazionale non può prescindere da un serio e approfondito accertamento della «situazione reale del paese di provenienza» del migrante richiedente. A stabilirlo è stata la sesta sezione civile della Cassazione, che ieri ha accolto il ricorso di un cittadino pakistano mettendo in discussione le indicazioni del ministro dell’Interno Matteo Salvini, che punta ad una stretta sul riconoscimento dello status di rifugiato.

L’ordinanza della Cassazione, però, cambia le carte in tavola. Non basterà più, infatti, richiamarsi a generiche «fonti internazionali», senza motivare accuratamente nel merito. I magistrati dovranno dunque evitare «formule stereotipate» e sono chiamati a «specificare sulla scorta di quali fonti» abbiano acquisito «informazioni aggiornate sul Paese di origine» dei richiedenti asilo. Secondo i giudici della Suprema Corte, il giudice ha infatti il «potere- dovere» di accertare «se, e in quali limiti, nel Paese di origine dell’istante si registrino fenomeni di violenza indiscriminata, in situazioni di conflitto armato interno o internazionale, che espongano i civili a minaccia grave o individuale alla vita o alla persona».

La vicenda riguarda un uomo pakistano, Alì S., che ha impugnato il decreto col quale il tribunale di Lecce aveva confermato il diniego al riconoscimento della protezione internazionale pronunciato dalla competente Commissione territoriale nel 2017. Secondo il migrante, assistito dall’avvocato Nicola Lonoce, la sua richiesta di asilo era stata valutata solo «in base a generiche informazioni sulla situazione interna del Pakistan, senza una considerazione completa delle prove disponibili e senza un corretto esercizio dei poteri officiosi». Punto di vista che ha convinto gli Ermellini, secondo cui il tribunale di Lecce «si è limitato ad apodittiche considerazioni» citando genericamente «fonti internazionali», mentre il «dovere di cooperazione gli impone di accertare la situazione reale del paese di provenienza mediante l’esercizio di poteri- doveri officiosi d’indagine e di acquisizione documentale», in modo che «ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul paese di origine del richiedente». Il tribunale di Lecce dovrà, ora, riesaminare il caso.

Simona Musco

da il dubbio