Migliaia di persone nel nostro paese sono state schedate per il loro orientamento politico e sindacale, ma nel silenzio più assordante. La metafora del dito e della Luna, anche in questo caso, sarebbe pertinente, anche se abusata. La boutade sul censimento dei rom ha tenuto banco per il tempo necessario ad agitare il bicchiere d’acqua della comunicazione pubblica, mimando una tempesta. I meccanismi di garanzia costituzionali, da questo punto di vista, hanno ricondotto ben presto le rodomontate del Ministro degli Interni al recinto delle frasi buttate lì.
Ma negli stessi giorni è accaduto qualcosa di molto più grave e che richiederebbe, qui ed ora, una insurrezione costituzionale.
Sabato scorso, migliaia di persone, lavoratori, giovani, rifugiati e immigrati, che stavano convergendo nella Capitale per una manifestazione sindacale convocata da Usb, sono stati fermati, schedati, fotografati con i documenti di identità in mano. I loro striscioni sono stati controllati per “verificarne” i contenuti. Gli zainetti aperti e perquisiti.
Qui il video registrato da una compagna di Milano che documenta quanto avvenuto con alcuni dei pullman diretti a Roma sabato scorso.
Non è la prima volta che accade. Era avvenuto lo scorso anno a marzo in occasione della manifestazione contro il vertice dell’Unione Europea a Roma. Si era ripetuto per la manifestazione dei napoletani sotto il Parlamento, contro il debito che strozza il loro Comune.
Ma sabato 16 giugno la schedatura preventiva, di massa e del tutto discrezionale da parte degli apparati di polizia è stata estesa, intrusiva. Inaccettabile.
In pratica sulla base di un criterio del tutto unilaterale inventato dal parte del Ministero degli Interni, si è deciso di identificare tutte le persone che avevano liberamente scelto di partecipare ad una manifestazione politico-sindacale e di un sindacato ben preciso, in questo caso l’Usb. Una manifestazione di opposizione, libera come garantito dalla Carta costituzionale.
Gli apparati di polizia “giustificano” queste misure in base a “protocolli di sicurezza” che nessuno ha mai potuto visionare e che, in qualsiasi caso, dovrebbero essere motivati. Se gli apparati di polizia avessero avuto notizia di “infiltrazioni” nella manifestazione, non avrebbero dovuto darne comunicazione scritta o almeno verbale agli organizzatori?
Da quanto ci risulta niente di tutto questo è accaduto, neanche nei tavoli tecnici e le conferenze di servizio che di prassi vengono convocate alla vigilia di tutte le manifestazioni nazionali.
Quindi i pullman sono stati fermati, e le persone identificate, unicamente sulla base dell’orientamento politico e sindacale e per la decisione di partecipare a quella manifestazione. Un diritto garantito dalla Costituzione, insomma, non può essere annullato con una delibera di polizia neppure resa pubblica.
Non risulta, per esempio, che i pullman di fedeli che ogni domenica vanno in Vaticano subiscano lo stesso trattamento, eppure si potrebbe contestare che tra loro potrebbero esserci molti “estremisti religiosi”.
Si è trattato dunque di una schedatura di massa con criteri meramente politici. Quella manifestazione – e dunque le persone che hanno scelto di parteciparvi – aveva come obiettivo il rapporto tra le emergenze e le disuguaglianze sociali con il nuovo governo. Inoltre aveva esplicitato le critiche al nuovo Ministro degli Interni per le sue esternazioni sugli immigrati.
La schedatura di massa sulla base di orientamenti politici e in assenza di reato è una palese violazione dei diritti costituzionali nel nostro paese, almeno fino ad oggi. Sarà bene che quanto avvenuto non passi sotto silenzio né senza conseguenze sul piano legale e politico, a cominciare dalla richiesta di distruzione di tutti i dati personali raccolti dalle forze di polizia durante la schedatura di massa dei manifestanti di sabato 22 giugno.
da contropiano