L’arresto di Mimmo Lucano si inserisce in una catena di eventi di ridefinizione di equilibri e rapporti di forza a livello istituzionale e lealtà politiche su un piano complessivo, aprendo due crepe, dentro i 5 stelle e dentro la “sinistra”, che possono e devono diventare spaccature ed occasioni proficue per ricalibrare campi di inimicizia e conflitto.
Le prese di posizione della leadership grillina di Di Maio e Sibilia, nella sua nuova veste di tirapiedi di Salvini al Ministero dell’Interno, vedono l’equiparazione (nel migliore dei casi propagandistica e ignorante, nel peggiore consapevolmente appiattita sulle posizioni leghiste) di un modello di meticciato e cooperazione (più che di “integrazione” e “solidarietà”, che ovviamente ne risultano) emancipatorio e dal basso al “business dell’accoglienza” targato PD. Paragone insensato perché su quest’ultimo si sono costruite reti di favori, carriere politiche e non, industrie della paura ed elargizioni trasversali. Mentre Lucano (che non è nemmeno iscritto al PD) non ha intascato nulla, e semmai il comune calabrese che amministra è stato salvato dallo spopolamento e da un destino di ghettizzazione ed oppressione come quello vigente a San Ferdinando, una settantina di km ed una costa più ad ovest.
In realtà il modello Riace è una minaccia a tutto campo per le retoriche e le prassi politiche del governo. Un qualcosa di pericoloso non solo perché parte da quella provincia abbandonata a sé stessa dallo Stato, ormai assurta a terreno elettivo dei populisti nostrani e non; non solo perché nell’ “arte di arrangiarsi” del sindaco riacese possono identificarsi tanti cittadini e ancor più migranti in lotta contro burocrazie ed ordinanze insensate – che lesinano aiuti ai bisognosi e pagamenti ai fornitori ma sono prontissime e rapaci nel punire e fare cassa; non solo perché a fronte della prospettiva di Palazzo Chigi di un workfare di cittadinanza, dai caratteri fortemente paternalisti e nazionalisti e volto a tagliare il paese sulla linea del colore, Lucano propone un welfare che ricomprende tutti i riacesi e prescinde almeno in parte dai dogmi lavoristi (alla faccia della retorica piddina in proposito, unita a quella per cui “i soldi non ci sono”); ma perché laddove imperano i modelli dell’assistenzialismo o del respingimento quella di Lucano non è mera disobbedienza civile, come scrive Saviano, ma un’alternativa possibile, concreta e funzionale, da schiacciare con ogni mezzo.
Non per una parte di elettorato grillino, passato nel giro di un lustro dai riferimenti di Gino Strada e Dario Fo, dall’abolizione della Bossi-Fini e dalla moneta complementare (usata concretamente da Lucano per sopperire alla mancata erogazione di fondi istituzionali) alle ruberie della Lega ed ai respingimenti arbitrari a completamento dell’opera di Minniti, altro grande nemico del sindaco calabrese. E la cui insofferenza si è palesata sia sul web che nelle aule parlamentari rispetto ai grillini fautori di un generico “rispetto delle regole”, nascosti dietro al dispositivo del “contratto di governo” o semplicemente passati armi e bagagli alle posizioni salviniane assecondando il complottismo ed il vittimismo dei vertici del governo davanti alle grandi questioni dell’attualità.
Un’istanza di giustizia latente in questa base, nei quattro mesi di tensione tra il nuovo potere gialloverde ed il suo tozzismo e i vecchi poteri che vi si oppongono. Dalla questione anticapitalista presente nella strage del ponte Morandi e fatta passare in cavalleria da Toninelli, alla ben meno pubblicizzata vicenda dello stadio della Roma e degli intrallazzi tra i palazzinari della capitale e i vertici di carroccio, pd e cinque stelle, fino alla rateizzazione dei 49 milioni rubati dalla Lega agli italiani. Per cui le eccezioni all’ “onestà” iniziano ad essere più e più di parte delle regole, e che a lungo andare possono divenire strutturali, scavando un solco di classe nel giustizialismo a cinque stelle.
Il che ci porta alla seconda crepa: quella che (per ora dall’orizzonte) investe il sodalizio storico tra sinistra istituzionale, società civile e magistratura che concerne sia la governance dei territori che quella del diritto costituzionale.
La magistratura è un potere molto relativamente autonomo; non solo per l’esistenza di correnti politiche al suo interno che la pone in relazione con i partiti, ma anche per il sistema di porte girevoli con cui il suo personale, dall’attività giudiziaria, può passare a quella politica, economica e sociale. Entrambe queste tendenze si ritrovano nel caso in oggetto: il signor Luigi d’Alessio (che non è un discutibile cantante ma il procuratore di Locri, titolare dell’inchiesta su Lucano e simpatizzante di Magistratura Democratica) aveva già avviato la sua guerra contro il modello Riace da un anno, con Minniti al ministero dell’interno e la dirigenza RAI che aveva bloccato una fiction su di esso a causa delle sue indagini. Mentre l’ispettrice Enza Papa, coordinatrice delle operazioni sul campo, è gravata da un clamoroso conflitto d’interesse, essendo il suo compagno direttore di una struttura d’accoglienza direttamente concorrente con le cooperative riacesi.
E senza richiamare esempi storici ormai familiari (sia nel senso comune che, purtroppo, nella cronaca quali apartheid e campi di concentramento) per cui questa legalità è qualcosa di alieno non solo alla legittimità ma alla giustizia, ricordiamo che esiste in Italia un esercito di procuratori dediti anima e corpo in nome dello Stato (come loro compito e vocazione) all’indagare, incarcerare, compromettere l’agibilità e le relazioni quotidiane di migliaia di individui che si spendono in prima persona per cambiare l’esistente; e che con il caso Lucano si sentiranno ancora più autorizzati a portare avanti le loro repressive e dispendiose crociate. Basti pensare ai processi contro il movimento No Tav portati agli ennesimi gradi di giudizio da procuratori con l’elmetto; alle sentenze contro i manifestanti che al G8 di Genova rappresentarono la prima grande opposizione ad un (dis)ordine globale che la destra cerca ora di rivendicarsi; alle altissime condanne inflitte ai manifestanti di Piacenza e Cremona, scesi in piazza per chiudere le locali sedi di Casa Pound difese strenuamente dalla celere – e che producono materialmente la fattispecie del reato di antifascismo.
Non ci illudiamo che già da sabato a Riace questi dati vengano assunti, relegando i lacché delle manette e gli amici delle guardie alla marginalità – ma siamo certi che assisteremo al moltiplicarsi di queste contraddizioni nel progredire di questo governo, fiduciosi che il conto verrà chiesto ed operosi nell’accelerarlo. Intanto pretendiamo la fine immediata della persecuzione per Mimmo Lucano, Tesfahun Lemlem e tutte le altre persone coinvolte nel teorema della procura di Locri. Libertà!
da InfoAut