La denuncia, presentata in sede Onu, arriva dal Frayba (Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de las Casas) di San Cristóbal de las Casas, che accusa il governo del Chiapas di torturare, fabbricare prove false e incarcerare illegalmente i lottatori sociali indigeni, in particolar modo quelli zapatisti.
di David Lifodi da La Bottega del Barbieri
Il Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de las Casas di San Cristóbal de las Casas, popolarmente conosciuto come Frayba, ha denunciato lo stato messicano del Chiapas di fronte all’Onu per episodi di tortura nei confronti dei lottatori sociali indigeni.
Da quando il Frayba si è costituito, 32 anni fa, accusa il Centro, “i governi di tutti i colori politici si sono caratterizzati per detenzioni illegali e carcerazioni arbitrarie”, oltre ad aver minacciato di morte gli stessi esponenti del Frayba. Inoltre, la Fiscalía General del Estado de Chiapas si è macchiata spesso del reato di tortura durante le indagini sugli appartenenti alle organizzazioni sociali e agli attivisti indigeni dei diritti umani.
Soltanto nel 2023 il Frayba ha già registrato 30 casi di tortura, riferiti da parte dei familiari delle persone arrestate. Il Chiapas è uno degli stati messicani dove viene rispettato meno lo stato di diritto. L’Índice de Estado de Derecho en México, già nel biennio 2021-2022, aveva evidenziato un crescente deterioramento del sistema giudiziario, dovuto sia alla corruzione dilagante sia alla tendenza di incarcerare, a priori, le fasce sociali più deboli della popolazione. Nel periodo 2006-2019, l’ultimo a cui fa riferimento il Frayba con dati certi, la Comisión de Derechos Humanos del Estado de Chiapas ha ricevuto 674 denunce per casi di tortura fisica e psicologica, ma lo stesso stato chiapaneco non ha mai condannato alcun torturatore.
Recentemente, hanno destato scalpore i casi di Manuel Gómez Vázquez, Manuel Santiz Cruz, Agustín Pérez Domínguez, Juan Velasco Aguilar, Martín Pérez Domínguez e Agustín Pérez Velasco, tutti sottoposti alla carcerazione illegale a seguito di prove costruite ad arte. I loro arresti hanno spinto il Frayba a rivolgersi al Gruppo di lavoro sulle detenzioni arbitrarie in seno all’Onu.
Manuel Gómez Vázquez si trova in carcere dal dicembre 2020 per un delitto che non ha mai commesso. Base d’appoggio dell’Ezln (Esercito zapatista di liberazione nazionale), è accusato di aver commesso il fatto proprio per la sua appartenenza allo zapatismo, come sostiene la Giunta di Buon Governo zapatista “El Pensamiento Rebelde de los Pueblos Originarios”. La Costituzione messicana stabilisce che il tempo massimo per la carcerazione preventiva sia due anni, ma Manuel si trova in cella da ormai quasi tre ed è ancora in attesa della sentenza.
Arrestato all’età di 22 anni, il 4 dicembre 2020, da un gruppo civile armato, Manuel è stato torturato. Il giorno dopo la sua detenzione è stato consegnato alla Secretaría de Seguridad Pública municipal de Ocosingo (Chiapas) e, solo dopo cinque giorni, ha potuto parlare con un avvocato. Tra il 4 e 5 dicembre 2020, nell’ejido El Censo, nel municipio di Ocosingo furono assassinate 4 persone di cui è stato giudicato responsabile Manuel che, in quel momento, si trovava a casa con la sua famiglia.
Non esiste alcuna prova certa in grado di incastrare il giovane contadino maya tseltal che, come la sua famiglia, appartiene al municipio autonomo zapatista Ricardo Flores Magón, la cui giunta di Buon Governo, conducendo un’indagine parallela e indipendente, ha accusato le autorità ufficiali di aver dichiarato colpevole Manuel in quanto zapatista, tanto da spingersi a fabbricare prove false contro il ragazzo: “Essere zapatista è la vera colpa che paga Manuel, vittima di calunnie, torture, persecuzione e carcere”. Il caso di Manuel Gómez Vázquez è stato paragonato a quello dell’attivista afroamericano Mumia Abu-Jamal, l’esponente delle Pantere Nere prigioniero politico nelle carceri statunitensi dal 1981 condannato all’ergastolo.
Quanto a Manuel Santiz Cruz, Agustín Pérez Domínguez, Juan Velasco Aguilar, Martín Pérez Domínguez y Agustín Pérez Velasco, sono cinque indigeni tseltales del municipio di San Juan Cancuc, difensori dei diritti umani a loro volta incarcerati per il presunto commercio di droga in un altro municipio e, anche loro, per un omicidio che non hanno commesso.
Lo scopo della giustizia chiapaneca è evidente: condurre una sistematica criminalizzazione affinché la popolazione non protesti contro la militarizzazione del territorio e la costruzione delle grandi opere.
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