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Chiusi gli Opg, resta l’emergenza psichiatrica

Alcuni istituti dotati di articolazioni psichiatriche risulyano ancora inidonei a supportare i detenuti. La patologia interessa un recluso su sette, l’abuso di sostanze dal 10 al 50 % dei detenuti, il suicidio resta una delle prime cause della morte in cella.

Suicidi, autolesionismi e azioni violente che possono sfociare, come è già accaduto nel carcere senese di San Gimignano, in omicidio. Parliamo dei reclusi psichiatrici in carcere, nodo ancora irrisolto. Il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari ( Opg) e la realizzazione delle residenze per le misure di sicurezza ( Rems) sono state una svolta epocale, ma rimane il problema dei detenuti psichiatrici al quale il personale della polizia penitenziaria, da sola, non può far fronte.

Il carcere è, infatti, un amplificatore dei disturbi mentali e può alimentare una sorta di circolo vizioso della sofferenza psichica: l’isolamento e la mancanza di contatto con l’esterno, insieme allo shock della detenzione, possono facilitare la comparsa o l’aggravarsi di un disagio psichico che può essere già diagnosticato o ancora latente. La patologia psichiatrica riguarda 1 detenuto su 7, l’abuso di sostanze interessa il 10- 50% dei detenuti, il suicidio resta una delle prime cause di morte in carcere. I numeri, diffusi l’anno scorso dalla Società Italiana di Psichiatria, dalla Società Italiana di Psichiatria delle Dipendenze e dalla Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria, si riferiscono ad un contesto internazionale.

Purtroppo l’Italia manca di dati epidemiologici propri, ma come specificano gli esperti si ritengono validi anche per il nostro Paese. Alcuni istituti penitenziari dotati di articolazioni psichiatriche risultano ancora inidonei a supportare i detenuti psichiatrici. L’esempio eclatante è il carcere di Reggio Emilia dove la situazione – già denunciata da Il Dubbio riportando la visita effettuata dalla delegazione del Partito Radicale composta da Maura Benvenuti, Vito Laruccia, Monica Mischiatti, Silvia De Pasquale e Ivan Innocenti – risulta allarmante. Cinquanta detenuti psichiatrici risultano sotto osservazione al nuovo reparto e a operare c’è un solo psichiatra che effettua un monitoraggio una volta a settimana. Il resto del lavoro compete agli agenti penitenziari mentre, in realtà, nell’articolazione per la tutela della salute mentale dovrebbe operare il personale sanitario specializzato per la cura. Una situazione che ogni giorno diventa sempre più insostenibi- sia per il personale che per i detenuti stessi. Tant’è vero che il 7 giugno scorso, uno dei detenuti ospiti nel reparto, si è impiccato. Si chiamava Andres Tangerini, aveva 47 anni, soffriva di una patologia psichiatrica ed era recluso da 2 anni e mezzo: a fine luglio sarebbe uscito dal carcere per andare in una comunità per potersi curare.

LE ARTICOLAZIONI PSICHIATRICHE PENITENZIARIE

Sono sezioni psichiatriche dove vengono collocati i soggetti con disagio mentale, condannati o in custodia cautelare. I soggetti destinati a tali sezioni sono gli imputati, i condannati o gli autori di reato la cui condizione psichica è da determinare ( osservandi) oppure i condannati a cui è sopravvenuta un’infermità psichica nel corso dell’esecuzione di una condanna, o ancora che si trovano in condizione di minorazione psichica. Si tratta cioè delle categorie di soggetti che, pur avendo problematiche di natura psichiatrica, non sono, o non sono ancora, sottoposti a misura di sicurezza. La gestione, secondo legge, dovrebbe avvenire secondo criteri prettamente sanitari. Infatti sono a carico dei dipartimenti di salute mentale. Qui però nasce il problema: le Asl competenti, in molti casi, non predispongono i necessari presidi psichiatrici per garantire un numero adeguato di operatori sanitari per i detenuti sottoposti ad osservazione psichiatrica. Una gestione precaria che diventa sempre più esplosiva. Due sono state le scuole di pensiero che a colpi di emendamento erano andati a scontrarsi. Da una parte c’è la senatrice Maria Mussini che proprio per evitare questo disagio, tramite due emendamenti, ha chiesto e ottenuto di destinare alle Rems, in via prioritaria, le persone a cui è stata accertata l’infermità al momento della commissione del fatto e già prosciolte, e di estendere l’accesso ad altre “categorie giuridiche psichiatriche”, laddove le sezioni degli istituti penitenziari non siano in grado di garantire loro i trattamenti terapeutici necessari. Sempre la senatrice Mussini ha presentato un ulteriore emendamento in cui si chiede «un impegno al potenziamento della cura della salute mentale in tutti gli istituti penitenziari». Dall’altra parte c’era la senatrice del Pd Emilia De Biasi che, con un emendamento, aveva chiesto espressamente di «destinare alle Rems le sole persone per le quali sia stato accertato in via definitiva lo stato di infermità al momento della commissione del fatto da cui derivi il giudizio di perico- losità sociale e il conseguente bisogno di cure psichiatriche» e quindi l’esclusione dell’accesso alle Rems «dei soggetti per i quali l’infermità di mente sia sopravvenuta durante l’esecuzione della pena, degli imputati sottoposti a misure di sicurezza provvisoria e di tutti coloro per i quali ancora occorra accertare le relative condizioni psichiche». La senatrice De Biasi, sempre nell’emendamento, aveva chiesto comunque «garanzia dell’effettiva idoneità delle sezioni degli istituti penitenziari ad assicurare i trattamenti terapeutici e riabilitativi». Nel frattempo, la senatrice Mussini prosegue l’impegno per i reclusi con problemi psichiatrici. L’affare assegnato alla Commissione Giustizia dal titolo: ‘ La cura dell’infermo di mente autore di reato e la tutela della salute mentale negli istituti penitenziari. La revisione della disciplina delle misure di sicurezza personali: questioni interpretative e profili applicativi dopo la legge Marino’, su sollecitazione della Senatrice Mussini si concretizzerà in una serie di audizioni ai principali attori del sistema penitenziario e sanitario e produrrà una relazione.

SUICIDI IN CARCERE

Sempre secondo uno studio della Società italiana di medicina e salute penitenziaria, la stragrande maggioranza dei detenuti convivono con un disagio mentale: dai disturbi della personalità alla depressione, fino alla psicosi. Problemi gravi che possono portare a conseguenze estrele me, come le migliaia di episodi di autolesionismo registrati ogni anno nelle carceri italiane, o i suicidi e tentati suicidi. Il suicidio, secondo i dati dell’Oms, è un fenomeno che riguarda ogni anno un milione di persone nel mondo e ha una marcata incidenza tra i detenuti. Tra di essi, infatti, circa il 50 per cento ha un disturbo della personalità, il 10 un disturbo psichiatrico importante, il 30 soffre di disturbo da abuso di sostanze. Quanto sia delicato questo terreno, lo certificano le cifre dell’Istituto Superiore di Studi penitenziari, da cui emerge che il tasso dei tentativi di suicidio, rispetto alla popolazione generale, è più alto di 6 volte nei detenuti condannati e di 7,5 in quelli in attesa di giudizio. Quello che manca nella maggior parte degli istituti penitenziari è una rete assistenziale specialistica psichiatrica e il compito aspetta alle Asl, quindi del ministero della Salute in primis.

Damiano Aliprandi da il dubbio