Il pericolo rappresentato dai gruppi della destra radicale non è tanto la loro crescita quanto lo sdoganamento di una cultura, di un linguaggio, di atteggiamenti fatti propri da forze politiche, nazionaliste e sovraniste, in grado di governare. Per questo parlare di fascismo oggi non è un esercizio di modernariato ma un problema del presente e della società nella sua interezza.
1.
Cerchiamo di mettere un po’ di ordine rispetto alla cacofonica situazione che da tempo va ripetendosi rispetto alle manifestazioni neofasciste. Rimandiamo quindi agli eventi più recenti, per meglio intendersi. Durante un funerale di una militante della destra estrema è apparsa, stesa sul feretro, la bandiera nazista. Nei mesi trascorsi, si è ripetuto il fenomeno del cosiddetto «zoombombing», già collaudato prima della pandemia, con l’intrusione nelle videoconferenze di provocatori, troll e hater inneggianti a Mussolini e a Hitler. Più in generale, da tempo gli stessi dati provenienti dalle Forze dell’ordine e dalle diverse autorità preposte alla vigilanza dei movimenti eversivi segnalano una maggiore criticità nell’area neofascista, che in Italia così come in Europa si avvantaggia di un clima sociale maggiormente radicalizzato. Senz’altro un punto di non ritorno, per il nostro Paese, è stato segnato dall’assalto alle sede nazionale della Cgil il 9 ottobre dell’anno scorso. In quell’atto così violento e compiaciuto si è voluto identificare, non a caso, il punto di coagulo di un agire apertamente squadristico, che rivendica, in tutti i suoi aspetti, una linea di continuità con il fascismo storico.
Peraltro, chi conosce la galassia dei gruppi della destra radicale italiana, sa bene che il gesto in sé si inscrive non solo in una prova di forza dai tratti fortemente mediatizzati ma anche all’interno di un conflitto intestino alla destra estrema, da tempo aperto tra i promotori stessi dell’assalto, appartenenti a Forza Nuova, e i gruppi ad essa antagonisti, tra i quali soprattutto CasaPound Italia e il Movimento nazionale – Rete dei patrioti, quest’ultimo nato da una sua scissione interna alla stessa Forza Nuova. L’organizzazione di Roberto Fiore, generatasi alla fine degli anni Novanta e connotata dal presentarsi come un partito neofascista dai tratti maggiormente abituali, ossia tipici di una struttura a ramificazione territoriale, ha cercato un rilancio, dopo un lungo periodo di appannamento, ascrivendosi il ruolo di soggetto capofila nelle proteste contro le misure assunte nella lotta contro la pandemia. Il rimando alla lotta contro la “dittatura sanitaria” ha fatto da volano ai tentativi di mettere il cappello su tutte le manifestazioni contro i vaccini e i provvedimenti del Governo. Di fatto questo agire frenetico e convulso, invece che segnare un punto a favore dell’organizzazione ‒ che ha continuato a perdere militanti e presìdi, riducendosi a presenze significative solo a Roma e nel Veneto ‒ ne manifesta semmai la sopravvenuta fragilità. Il suo storico omologo nonché antagonista, CasaPound, da tempo ha invece avviato una sorta di percorso di differenziazione, con il triplice obiettivo di allargare l’area del consenso così come quello della propria visibilità, di fidelizzare vecchi e nuovi militanti e di mantenere un ponte con la destra istituzionale, ossia Fratelli d’Italia e la Lega. Anche in questo caso, il rimando monocorde alla contrapposizione nei confronti delle politiche di contrasto alla pandemia, ha assunto un significativo rilievo nella formulazione della propria agenda di priorità. Con una nota aggiuntiva, ossia la maggiore disposizione nel fornire alla destra parlamentare argomenti di legittimazione di quei discorsi che alimentano una sorta di atteggiamento polemico contro le misure del governo.
Ai due maggiori gruppi della galassia nera si sono aggiunte da qualche anno a questa parte altre articolazioni organizzative. In particolare nel nord d’Italia è attiva Lealtà-Azione, strutturata più come un movimento il cui obiettivo è innanzitutto quello di inserire candidati eleggibili nelle liste che vengono presentate per le assemblee rappresentative, dai consigli circoscrizionali fino a quelli regionali e allo stesso Parlamento europeo. Per ottenere un tale risultato, le interlocuzioni e le relazioni con la destra istituzionale si sono fatte ancora più corpose. Tutta l’area della destra radicale, peraltro, da tempo svolge la funzione di vero e proprio serbatoio di idee, parole d’ordine e anche di quadri politici per i gruppi populisti e sovranisti. Pur non risultando decisiva per le sorti elettorali di questi ultimi, tuttavia riesce a garantire una fascia di consenso che orienta le proprie scelte, nelle urne, verso le formazioni politiche più rappresentative.
Non di meno, si può sostenere a ragione veduta che l’apporto più significativo che l’estremismo va offrendo all’intera area della destra parlamentare è lo sdoganamento di una serie di temi e questioni. Sdoganare, in questo caso, implica il rendere appetibili e politicamente premianti parole d’ordine che riguardano le politiche dell’immigrazione, il rifiuto delle unioni così come delle famiglie diverse da quelle “naturali”, l’ossessivo rimando ai discorsi sulla sovranità e sull’“identità nazionale”, l’etnicismo come modalità di costruzione, contrattazione e rigenerazione dei rapporti sociali. L’ampia frazione dissidente, fuoriuscita da Forza Nuova due anni fa e che ha dato corpo all’esperienza del Movimento nazionale – Rete dei patrioti, già nel settembre del 2021 aveva infatti organizzato una manifestazione di piazza sulla base della piattaforma «libertà dal Green Pass, libertà della famiglia dalla follia LGBT, libertà nazionale dalle catene del Recovery Fund».
Gli anelli di congiunzione tra discorso politico e temi di ordine sociale sono ottenuti attraverso i costanti richiami alla necessità di evitare l’ibridazione tra culture diverse, alla visione dell’Europa come una sorta di entità comunitaria tra popoli distinti ma accomunati dalla cristianità, al rifiuto totale dell’immigrazione in quanto minaccia identitaria. Omofobia, euroscetticismo, antielitismo come, più in generale, diniego della democrazia e del pluralismo, sono parti di un più generale discorso sulla necessità di rimoralizzare l’Occidente, altrimenti sottoposto alla decadenza inflittagli dall’innaturalità degli organismi elettivi e rappresentativi. In tale veste, la tematizzazione peculiare alla destra estrema è quella che identifica la necessità di selezionare un’“aristocrazia dello spirito”, composta da coscienze militanti, che dovrebbe guidare i popoli “etnicamente superiori” a una sorta di radicale trasformazione del proprio spazio politico e sociale, eliminando tutto quanto viene rappresentato come parte di un “complotto”, voluto da “poteri forti», il cui obiettivo sarebbe l’assoggettamento delle collettività ai propri voleri.
L’ingrediente cospirazionista, che negli Stati Uniti ha dato corpo a un fenomeno come Qanon, molto diffuso sul web, al pari dell’assalto a Capitol Hill, insieme alla teorizzazione sulla “grande sostituzione” (ovvero della presunta volontà da parte delle élite tecnocratiche di sostituire all’uomo bianco le popolazioni africane e asiatiche), sono due cornici fondamentali nell’identificare le modalità attraverso le quali l’intera area del radicalismo di destra sta ridefinendo non solo il proprio perimetro ideologico ma anche le sue stesse ragioni d’esistenza. Posto che in Italia il piccolo e rissoso universo di partitini ipernazionalisti e anticostituzionali che erano nati dopo la trasformazione del Movimento sociale italiano in Alleanza nazionale (tra di essi il Movimento sociale fiamma tricolore, il Movimento idea sociale, il Movimento Italia sociale e lo stesso redivivo Movimento sociale italiano-Destra nazionale), è pressoché scomparso: la vecchia radice missina, infatti, semmai è stata recuperata, pur con molti ambigui distinguo, da Fratelli d’Italia. Lo stesso può essere detto di gruppi che, a vario titolo, soprattutto con piccoli insediamenti locali, hanno cercato negli ultimi due decenni di rappresentare ancora parte del vecchio neofascismo, come la risorta Avanguardia nazionale, l’Unione per il socialismo nazionale, il Fronte nazionale, l’Ultima legione insieme al variegato e mutevole associazionismo che, in più modi, si riconosce nel lascito del fascismo.
2.
Poste queste brevi considerazioni, vale quindi la pena aggiungere ancora qualche riflessione di merito su come debba essere inteso il fenomeno neofascista e della destra radicale in Italia così come anche in Europa. A tale riguardo, non ha alcun fondamento storico, ed ancora meno politico, annunciare e richiamarsi al “ritorno del fascismo”. Ciò almeno per due ordini di motivi: un fenomeno storico in sé non si ripete mai nel medesimo modo; soprattutto, non si può parlare del ritorno di qualcosa che non se ne è mai andato via del tutto dalla società italiana, neanche con la frattura epocale del 1945. Infatti, non ritorna ciò che non si è mai esaurito: piuttosto, si manifesta in nuove forme, che vanno indagate e identificate. Mussolini e i suoi hanno lasciato un lungo calco nella società italiana, una fenditura mai cicatrizzata, da dove i loro apologeti di oggi cercano di riconquistare spazio e forza. Semmai ha quindi senso parlare di rigenerazione di motivi e atteggiamenti fascistici, che solo in parte trovano una rappresentanza nel litigioso circuito delle piccole organizzazioni pseudo-partitiche e movimentiste. La soglia più pericolosa, superata la quale il rischio collettivo si fa stringente, è quella dell’assimilazione e dell’utilizzo di tali motivi nell’azione di governo, o comunque di gruppi, partiti e organizzazioni che invece aspirano, avendone la forza, ad influenzare le istituzioni e le loro scelte di lungo periodo.
I conflitti sociali del presente hanno una natura e delle dinamiche molte diverse da quelle di cent’anni fa. Oggi, la grande frattura che attraversa le nostre società è tra quella parte della popolazione che gode delle garanzie offerte dal lavoro regolare, e quindi da un sistema di tutele collettive, e, chi, invece, ne è effettivamente escluso o se ne sente comunque tale, vivendo gli effetti di una retrocessione sociale e di status. L’azione del neofascismo è volta a cercare di raccogliere questi ultimi, ancora una volta – come già era accaduto dopo la fine della Prima guerra mondiale – assumendo le false vesti di rappresentante del disagio dei tanti. In un tale quadro, sovranismo, populismo, identitarismo e altri fenomeni politici, tra di loro anche molto diversi, quindi non sempre riconducibili a un’unica radice, condividono tuttavia una comune matrice tendenzialmente anticostituzionale, che cerca di avvantaggiarsi della situazione corrente.
Questa matrice è legata essenzialmente a pochi aspetti, come tali però fondamentali: la teorizzazione dell’idea di nazione come di un’identità etnica rigida e immodificabile; l’accusa, rivolta a chiunque non sia riconosciuto come parte di questa “identità” comune, di costituire una minaccia per il fatto stesso di esistere; la visione dei rapporti di potere come del risultato non delle diseguaglianze sociali ed economiche, contro le quali lottare, bensì del prodotto di un complotto da parte di oscure élite che, dietro le quinte, si adopererebbero contro il “popolo”; un stile di comunicazione demagogico che, fingendo di volere fare gli interessi collettivi, in realtà tutela solo piccoli gruppi di interesse; l’avversione per ogni forma di pluralismo – non solo politico ma anche sociale, culturale, civile, di genere – e la diffidenza, che si fa quindi rifiuto, contro la democrazia rappresentativa, alla quale viene contrapposta una falsa “democrazia militante”, quella alla quale dà corpo l’unica falange legittimata all’azione, quella degli apostoli dell’“Idea” fascista. Più in generale, la sintesi di tutti questi motivi si trova nella rivendicazione della necessità esistenziale di essere disumani, ossia ferocemente intolleranti, contro coloro che, di volta in volta, sono additati come un pericolo per la sopravvivenza del proprio gruppo.
Rimane il fatto che la funzione principale dei gruppi neofascisti, oltre a motivare i propri militanti ed aderenti, sia essenzialmente quella di introdurre, nel linguaggio di senso comune, così come nella condotta dei molti, atteggiamenti, pensieri, parole e gesti che altrimenti rimarrebbero censurati o comunque consegnati a piccoli e ininfluenti gruppi di nicchia. Il ricorso al razzismo spicciolo, al pari di un antisemitismo mai sopito, convalida questa funzione: attaccare le minoranze, additandole come una minaccia integrale verso la collettività, per rendere quest’ultima più disponibile e malleabile nell’accettare le imposizioni che, di volta in volta, potrebbero esserle dettate. Parlare di “sicurezza”, così come avviene nella destra populista e sovranista, ha quindi come posta la secca limitazione delle libertà collettive, imponendo la paura come strumento di governo delle società.
Il vero conflitto, al giorno d’oggi, tuttavia non si gioca solo sul piano politico: lo scontro è semmai tra una concezione della società che sia, e rimanga, aperta e pluralista, come tale in grado anche di soddisfare concretamente i bisogni dei suoi componenti – tornando a porre in discussione le crescenti diseguaglianze materiali e culturali – e una pratica neoautoritaria, destinata a ridurre sempre di più gli spazi di autonomia, di emancipazione, di liberazione delle persone. La riduzione delle democrazie sociali a pura finzione può benissimo coesistere con un mercato in ampia espansione, che non conosce nessun limite e alcun confine. L’autoritarismo non necessita, al giorno d’oggi, di governi “forti” bensì di società fragili. Queste ultime, sfiancate dagli effetti dei cambiamenti in atto, cercano allora una tutela, anche a rischio di perdere, in parte o per tutto, la loro libertà. Il fascismo storico, e i neofascismi, d’altro canto condividono con ogni forma di autoritarismo la cancellazione della politica come luogo e sfera di conflitto mediato, di dibattito articolato, di confronto legittimo, sostituendo a tutto ciò l’imposizione, per via di fatto (ossia per mero rapporto di forza), della propria volontà.
Storicamente, i fascismi del passato, al pari di quelli del presente, si sono manifestati come espressione di una non meglio identificata “volontà popolare”, contrapposta alla legittimità costituzionale; hanno parlato di “rivoluzione”, richiamando improbabili o impossibili cambiamenti; hanno stuzzicato il bisogno di protezione dinanzi a quelle stesse paure che sono andati alimentando. I fascismi di sempre non sono mai un “di più di politica” bensì la sua cancellazione davanti alla potente violenza dell’imposizione di alcuni interessi di gruppo, mascherati come bisogni collettivi. Il loro appello è sempre a un senso comune smarrito, ovvero a un identico sentire fondato sull’angoscia da “invasione”, sul timore di essere espropriati di qualcosa, sulla paura stessa di essere liberi, laddove ciò comporta anche e soprattutto il senso della responsabilità che ognuno di noi ha nei confronti dei suoi simili. Parlare al giorno d’oggi di destra estrema, e di neofascismo, quindi, implica il ripartire da questo quadro complesso e frastagliato. Non è un esercizio di modernariato, rivolto con lo sguardo all’indietro, ma un insieme di interrogativi radicali sulle radici della coesione sociale nel momento in cui questa sta conoscendo trasformazioni epocali.