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Cile: L’impunità della polizia e la ribellione dei mapuche

L’agente che assassinò Camilo Castrillanca, il giovane divenuto simbolo di lotta permanente nelle piazze, se l’è cavata con una condanna lieve. Durissima invece la repressione delle proteste

Chi cammina fra le strade soleggiate di Santiago del Cile viene osservato dagli occhi di un ragazzo. Sono sempre gli stessi, rincorrono le persone per tutta la capitale. Quegli occhi sono ovunque, sono appesi su tutti i muri della città. È lo sguardo di Camilo Catrillanca: leader mapuche di 24 anni, il 14 novembre del 2018 la polizia cilena lo ha ucciso con un colpo alle spalle e oggi è il simbolo delle proteste che sconvolgono il Cile da oltre un anno. Camilo si trovava su un trattore con un altro ragazzo minorenne quando sono stati attaccati da un commando di poliziotti. Il suo assassinio è stato uno dei casi più discussi in Cile negli ultimi anni e ha generato enormi ondate di indignazione.

In questi mesi si è svolto il processo per il suo assassinio e giovedì 7 gennaio, alle 11 del mattino, è stata letta la sentenza: il principale sospettato, l’ex sergente Carlos Alarcón, è stato condannato per omicidio semplice e altri sei funzionari della polizia sono stati dichiarati colpevoli di ostruzione alla giustizia. Il padre, Marcelo Catrillanca, che si trovava di fronte al tribunale ha dichiarato: “Questa sentenza è una presa in giro per il popolo mapuche e per la vita di Camilo. La vita di un essere umano non può valere così poco. Voglio dire a mio figlio che ho fatto tutto il possibile per ottenere giustizia. Almeno abbiamo portato quei poliziotti in tribunale ed è stato dichiarato che sono degli assassini”. In poche ore in tutta la regione dell’Auracanía – regione del Cile centro-meridionale storicamente abitata dai mapuche, popolo originario del Cile e dell’Argentina – si sono sviluppate proteste per la sentenza.

Non si è fatta attendere la risposta delle forze dell’ordine che hanno iniziato a reprimere ferocemente i manifestanti. La madre e la moglie di Camilo Catrillanca sono state ammanettate e arrestate brutalmente insieme alla figlia di sette anni. Immediatamente sono iniziate a circolare le immagini della bambina in lacrime portata via da quattro agenti in divisa: alle spalle un altro manifestante mapuche sbattuto a terra con un poliziotto che lo ammanetta.

Come ha dichiarato la deputata mapuche Emilia Nuyado: “La repressione in atto in Auracanía dimostra che lo Stato cerca sempre di tormentare e punire i mapuche. Noi pretendiamo giustizia per l’omicidio di Camilo: vogliamo una pena esemplare. I poliziotti hanno sparato senza ragione a due giovani disarmati, di cui uno minorenne. È sbagliato che la giustizia lo qualifichi come omicidio semplice, dato che le prove sono state occultate e le forze dell’ordine hanno tentato di creare una montatura accusando Camilo di aver rubato un auto. Noi abbiamo il legittimo dubbio che questo assassinio sia stato pianificato”.

È diventato virale il video di un giovane mapuche ferito durante gli scontri in Auracanía seguiti alla lettura della sentenza. Nelle immagini si vede il ragazzo che perde moltissimo sangue: la polizia gli ha sparato un proiettile di gomma alla bocca trapassandola. Quello fra i mapuche e lo Stato cileno è un conflitto che va avanti ormai da moltissimi anni ma dal 18 ottobre 2019, quando sono iniziate le proteste contro il governo di Sebastian Piñera per le enormi disuguaglianze fra la popolazione, si è inasprito. Ma quali sono le ragioni del conflitto? Nonostante siano oltre 2milioni gli abitanti cileni appartenenti alle popolazioni indigene (i mapuche sono la più numerosa) che subiscono politiche discriminatorie portate avanti dal governo, le loro proteste sono sistematicamente represse e molti loro leader sono stati assassinati o imprigionati.

Venerdì 8 gennaio le proteste per la sentenza contro i colpevoli dell’assassinio di Catrillanca si sono spostate a Santiago del Cile. Migliaia di persone hanno manifestato e nel tardo pomeriggio hanno fatto irruzione a Plaza Dignidad, che da mesi era occupata dalle forze dell’ordine. La bandiera mapuche è di nuovo al centro della piazza simbolo delle proteste. Il 16 dicembre scorso il Parlamento ha approvato una legge che riserva a rappresentanti delle comunità indigene 17 posti su 155 totali nell’assemblea che avrà il compito di redigere la nuova Costituzione cilena, dopo che il 25 ottobre con un referendum si è votato per abrogare la vecchia Costituzione scritta ai tempi del regime militare di Pinochet.

Salvador Millaleo è un avvocato mapuche, docente di Diritto all’Università del Cile ed è uno degli esperti che ha scritto il progetto di legge sui posti riservati alle comunità indigene. È inoltre membro della Comision chilena de derechos humano e candidato all’assemblea costituente per il Partito comunista. Come dice al manifesto: “È stato molto difficile e abbiamo rischiato molte volte di non trovare una soluzione. I popoli indigeni avrebbero voluto ottenere di più, ma quando abbiamo iniziato a discutere della legge i posti riservati erano zero. Il governo cileno con i popoli indigeni non ha mai avuto un rapporto orizzontale ma paternalista e repressivo: lo Stato non solo non riconosce i diritti degli indigeni ma reprime e criminalizza le proteste. In questa situazione avere 17 posti è qualcosa senza dubbio rilevante”.

Durante le manifestazioni contro il governo è sempre esposta la bandiera mapuche, come spiega Millaleo, “da quando sono iniziate le proteste, nell’ottobre 2019, si è creata molta empatia nei confronti dei popoli indigeni che hanno sofferto in modo esemplare la repressione governativa, la discriminazione e le disuguaglianze. I popoli indigeni rappresentano la resistenza, la lotta permanente e la dignità: di fronte agli abusi hanno continuato a lottare per i loro diritti. Una nuova Costituzione può essere molto importante, nell’ottica di lavorare a una politica pubblica e a nuove leggi che finalmente riconoscano i diritti dei popoli indigeni”.

Elena Basso

da il manifesto

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