Colombia: Un anno dopo il massacro di Bogotá, impunità e resistenza contro l’oblio
Colombia, solo per quattro dei 13 ragazzi uccisi durante le proteste contro l’assassinio di Javier Ordóñez si sta andando avanti con i processi giudiziari: un clima di pesante impunità che si esprime anche in un discorso pubblico aggressivo e ricattatorio
A un anno dal Massacro di Bogotá,quando 13 persone furono assassinate durante le forti proteste contro l’assassinio di Javier Ordóñez da parte di alcuni poliziotti del Centro di Attenzione Immediata di Villa Luz, è l’impunità la questione politica centrale. Solo per quattro dei 13 ragazzi uccisi i processi giudiziari sono andati avanti, mentre per i restanti nove casi tutto è fermo ancora alle indagini preliminari nonostante le molteplici prove raccolte e diffuse dalle vittime della repressione e dai media.
Solo nei casi di Jayder Fonsecadi 17 anni, assassinato nel quartiere di Verbenal, di Andrés Felipe Rodriguez, 23 anni, assassinato anche lui nel quartiere Verbenal, Germán Puentes 25 anni, assassinato nella località di Suba, e Ahthony Estrada 28 anni assassinato nella località di Soacha, sono stati identificati i responsabili che sono attualmente sotto processo, anche se solo nel caso di Anthony sono state decise misure di privazione della libertà per il poliziotto responsabile.
Il giornale “El Espectador” ha recentemente rivelato che nei rapporti sulle munizioni e le armi utilizzate quella notte dalla polizia emerge che «i proiettili recuperati nei cadaveri delle quattro vittime sono stati sparati da armi in dotazione alla polizia.Inoltre, controllando l’arsenale usato dalla polizia quella notte, è stata verificata l’assenza di 300 munizioni a Suba e 70 a Usaquén».
Minacce contro i familiari delle vittime che chiedono giustizia
Diverse famiglie delle vittime che hanno denunciato la polizia hanno poi subito minacce per aver chiesto giustizia. Nel caso di Angie Paola Baquero, assassinata a Suba, i familiari hanno ricevuto lettere con minacce e sono state vittime di aggressioni dirette nel luogo di residenza quando individui sconosciuti hanno infranto i vetri nella loro casa al secondo piano.
Lo stesso è accaduto ai familiari di Cristian Camilo Hernández, assassinato nel quartiere Verbenal.
Secondo le denunce dei familiari, in diverse occasioni dei poliziotti, con la mano sulle pistole d’ordinanza, gli hanno detto di lasciare il quartiere e molti vicini li evitano perché temono rappresaglie della polizia, come se le persone che denunciano gli abusi della polizia subissero una sentenza di morte, non solo per loro stessi ma anche per chi decida di condividere o sostenere le loro attività.
Inoltre, non vanno dimenticati gli oltre 300 feriti, 75 dei quali da armi da fuoco, da parte di poliziotti che al momento godono di totale impunità, con l’aggravante legata al fatto che molte delle persone ferite hanno deciso di non procedere con le denunce per timore di una persecuzione poliziesca che è diventata la regola generale nei casi in cui la vittima ha il coraggio di denunciare gli aggressori.
Il discorso ufficiale: una minaccia per chi decide di denunciare
Carlos Holmes, che al momento dei fatti era Ministro della Difesa, aveva assicurato che le indagini sarebbero andate avanti fino in fondo, ma stando alle evidenze, non parlava di indagini nei confronti degli aggressori quanto delle vittime. Pochi giorni dopo i fatti si parlava di un piano delle dissidenze delle FARC e dell’ELN [Esercito di Liberazione Nazionale, guerriglia ancora attiva nel paese,ndt],per attaccare, con modalità terroriste, gli edifici della polizia nella capitale e in altre città del paese dove si è fatta sentire l’indignazione dei cittadini.
Molte persone sono state arrestate, si è detto che c’era un piano preordinato, che venivano pagati per agire con violenza. Con il passare del tempo le dichiarazioni sono state smentite dai fatti.
Non si trattava di piani orchestrati contro lo Stato e le sue istituzioni, ma di una indignazione generalizzata contro le forze dell’ordine che non rispettano i diritti dei cittadini e abusano del potere di cui dispongono.
Le riforme annunciate dal governo sono state definite, dentro e fuori il paese, come riforme cosmetiche, perchè non vanno a fondo alla problematica, non risolvono i casi di abuso di potere e non puniscono i responsabili per evitare che questi atti continuino a essere commessi. Cambiare i colori dell’uniforme non ha risolto nulla e il rifiuto del governo di procedere con delle misure di riparazione, o anche solo di chiedere scusa, non hanno fatto altro che rafforzare le ragioni dell’indignazione.
Il Paro Nacional ha raccolto l’indignazione mostrando le violenze della polizia
Una delle espressioni più evidenti dell’indignazione nazionale e internazionale contro i governi di destra degli ultimi anni sono state le mobilitazioni del Paro Nacional, che purtroppo hanno mostrato ancora una volta come l’azione delle forze dell’ordine non rispetti i diritti dei colombiani e delle colombiane. Oltre mille vittime di abuso di polizia, 83 persone assassinate e un centinaio di desaparecidos, confermano le ragioni dell’indignazione del 9 settembre del 2020.
Concretamente, l’impunità sembra essere una “carta bianca” affinché i reati commessi da parte della forza pubblica possano continuare a perpetuarsi. Le minacce e le persecuzioni contro le vittime che denunciano i poliziotti è diventato un modus operandi. La precarietà delle indagini giudiziarie, contro ogni evidenza dei fatti, aumenta la sfiducia nell’apparato statale.
Senza dubbio, molte delle vittime resistono ai tentativi da parte del governo di farle sparire, o di trasformarle nuovamente in vittime, questa volta in vittime dell’impunità. Murales, monumenti e storie invadono le città. L’indignazione rimane e la speranza cresce assieme a quelli e quelle che a partire dalla Memoria e dalla vita continuano a esigere giustizia e continuano a negarsi all’Oblio.
Articolo pubblicato su Contagio Radio
da DINAMOpress