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Commento alla Costituzione di Davide Emmanuello

Art. 13 comma 4°: E’ punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà.
Commento
L’ONU denuncia che dopo l’ultimo conflitto mondiale la più grave sospensione dei diritti umani, tra i paesi che rappresentano il blocco Occidentale, è stata consumata dallo Stato italiano durante il G8 di Genova nel 2001.
nell’analisi concreta della realtà, la Costituzione non risulta né il perimetro legale entro cui imprigionare l’arbitrio del potere, né il confine legittimo della libertà, oltre il quale trionfa l’oppressione, ma un complicato esercizio d’ipocrisia semantica, una complessa tattica militare che utilizza mezzi ideologici con l’obiettivo strategico del dominio intellettuale sulla coscienza collettiva.
I vari governi che si sono succeduti alla guida del Paese, hanno emanato leggi che calpestano la Costituzione, convenzioni e trattati internazionali sui diritti umani e dell’Unione Europea.
L’Italia è l’unico Paese che dalla firma della delibera dell’assemblea generale dell’ONU del 1988, ancora deve inserire il reato di tortura nel codice penale, sottraendosi, nonostante i ripetuti richiami delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea.
La rappresentanza italiana in sede ONU ha dichiarato che il codice penale italiano non ha bisogno di introdurre il reato di tortura, nonostante da 20 anni esista un sistema vessatorio (denominato art. 41 bis dell’Ordinamento Penitenziario, che assoggetta 700 reclusi a violenza fisica e psicologica), condannato dagli Stati Occidentali e delle associazioni che si occupano di diritti umani, ritenuto un regime di tortura e che sfugge alla tutela giurisdizionale proprio per l’assenza di una norma che lo configuri come reato.
Tante storie personali, fagocitate da un “tormento istituzionale” che sembra non avere mai fine; una “tortura democratica” in cui l’arbitrio e un fatto divenuto ovvio e naturale.
Attraverso la logica dell’emergenza con la quale ragionano i giuristi della legislazione viene messo da parte il corredo delle garanzie e sovvertito il “gioco probatorio”, avallando in tal modo un metodo di tortura, quello del 41 bis: un sistema che per “via legale” raggiunge obiettivi illegittimi: come quello di costringere alla delazione. Un sistema nutrito più da preoccupazioni “virtuali” che oggettive e che rompe la “simmetria” fra mezzi legali e fini legittimi.
In ambito penitenziario la competenza dei Tribunali di Sorveglianza viene sistematicamente offesa da un’infondata pretesa superiorità del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, che si ritiene unico figlio legittimo del Ministero della giustizia, e con espedienti di vari genere cerca di vanificare le decisioni dei vari tribunali che trovano a sindacare il decreto ministeriale.
Succede anche col sistema del “41bis” che i decreti riportino note informative che (in termini di prevenzione dovrebbero rappresentare l’intelligenza investigativa) risultano, invece, in assenza di un reale difesa e un’eccessiva tolleranza imposta al controllo giurisdizionale, espedienti illegittimi che condannano a un’indefinita permanenza persone in un circuito speciale definito inumano dalle organizzazioni internazionali per i diritti dell’uomo (v. Comitato europeo per la prevenzione della tortura sulle persone detenute).
Attraverso funambolismi giuridico-investigativi è permesso alla legge di aggirare il diritto, mentre le intelligenze di quest’ultimo (le stesse che danno vita al Ministero della giustizia), consentono la sistemica violazione delle più elementari regole del diritto.
Il decreto legge del 41 bis introdotto nel 1992 e un atto amministrativo che ha un’efficacia temporanea ma prorogabile all’indefinito. E comporta una serie di limitazioni quali: la riduzione a 1 ora di colloquio al mese coi familiari, con mezzo divisorio a tutt’altezza; 1 telefonata di 10 minuti da effettuarsi in un altro carcere dove devono recarsi i familiari; riduzione di 2 ore all’aperto in compagnia di non oltre 5 persone; limitazioni nel numero di capi di vestiario, libri ecc. da tenere in cella; limitazioni nell’acquisto di generi alimentari e tutta una serie di restrizioni inutili sotto l’aspetto della sicurezza ma volte a rendere disumana la detenzione.
Contro il decreto di applicazione e di proroga la Consulta stabilì che si poteva proporre reclamo entro dieci giorni dalla notifica; questa garanzia non ha avuto che un valore formale; i tribunali di Sorveglianza fissavano la trattazione del reclamo a una data che superava il tempo d’efficacia (6 mesi) del decreto e all’udienza veniva dichiarata inammissibile.
Nel frattempo il ministro firmava un altro decreto di proroga e quello precedente ormai inefficace non poteva essere più valutato.
Così il sistema repressivo che utilizza la tortura istituzionalizzata disattende quelle timide garanzie costituzionali, grazie alla complicità tollerante concessa dal legislatore sulla legalità del controllo giurisdizionale. Questi signori ritengono che la tortura persecutoria sol perché avviene in democrazia sia legittima.
Nel 2003 il regima di tortura del 41 bis non avevano più oggetive legittimazioni emergenziali. L’emergenza “virtuale” foriera di opportunità fu il motivo reale per cui questo regime divenne stabile per legge.
Il legislatore, facendo finta di correggere quegli aspetti bocciati dalla Corte Costituzionli e Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ha nei fatti mantenuto un sistema detentivo con un alto livello d’afflittività, per salvare quel mastodontico apparato repressivo che negli anni si è autoalimentato.
Anche se il controllo giurisdizionale, tramite una giurisdizionale ormai rivisitata dalla Corte costituzionale e voluta dalla Corte Europea, aveva acquisito un maggiore potere di sindacabilità, nei fatti non si è mai attenutao fedelmente. Infatti se i Tribunali di Sorveglianza si attenessero alla giurisprudenza costituzionale, ristabilendo ciò che il sistema di tortura del 41 bis esclude, cioè la simmetria fra mezzi legali e fini legittimi.
Questo è un metodo che permette il funzionamento del sistema di tortura del 41 bis, che ottiene, attraverso acrobazioe giuridico-investigative, ciè che non potrebbe mai essere legittimo alla luce di principi costituzionali rigorosamente rispettati.
Una forma di persecuzione, paragonabile ad una sofisticata tortura psicologica studiata da menti sopraffini che si nascondono dietro la “maschera” del diritto…
Una situazione insostenibile, una lenta agonia, per la quale non appare risolutiva la garanzia giurisdizionale.
Tutto appare insufficiente per neutralizzare gli espedienti messi in atto da una “macchina burocratica”, programmata per l’annullamento dei diritti fondamentali della persona, violando in modo sistematico l’art. 13 della Costituzione che non solo tutela la persona ma che impone la punizione di chi se ne rende responsabile. Ma in Italia, come scritto all’inizio, la norma penale che prevede il reato di tortura non è stata ancora pensata.
Catanzaro, 22 agosto 2012

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