Dai rapporti di Amnesty International e di ECPM si conferma un incremento delle condanne a morte nella Repubblica Islamica (ma non solo). Con un particolare riguardo per curdi e beluci
di Gianni Sartori
Niente di nuovo sotto il sole iraniano, naturalmente.
L’Organizzazione dei Diritti Umani dell’Iran denuncia che ben 27 persone (tra cui quattro donne) sono state giustiziate dal 18 luglio (in soli dieci giorni). In maggioranza curdi (come da protocollo ormai).
Dall’inizio del 2024 sarebbero almeno 293 le persone uccise nelle carceri iraniane (e ancora – sembra – in maggioranza curdi).
Niente di nuovo si diceva. Risaliva al maggio di quest’anno il rapporto di Amnesty International in cui venivano considerate le condanne a morte eseguite nel 2023 in varie parti mondo. Osservando come si registrasse un notevole incremento (quasi del 30% rispetto al 2022) soprattutto nel Medio Oriente (Iran e Arabia Saudita in particolare).
I Paesi con un maggior numero di condanne a morte eseguite sarebbero la Cina, l’Iran, l’Arabia Saudita (15%), la Somalia e gli Stati Uniti (dove si registra un significativo aumento).
In totale quelle registrate nel 2023 sarebbero state circa 1.153 (escludendo naturalmente quelle avvenute in Cina, presumibilmente migliaia).
Inoltre A. I. (attraverso la segretaria generale Agnés Callamard) sottolineava il fatto che con il 74% delle esecuzioni totali nel mondo “le autorità iraniane mostrano un assoluto disprezzo per la vita umana”.
Aumenterebbero in maniera rilevante le esecuzioni per reati legati alle droghe, mettendo in atto – di fatto – un sistema “discriminatorio nei confronti delle comunità più marginalizzate e impoverite del Paese”.
Nel 2023 quelle documentate in Iran sarebbero state 853 (con un significativo aumento rispetto alle 576 documentate da A.I. nel 2022).
Appare evidente come l’impiego della pena di morte svolga una funzione prioritaria nell’incutere paura e rafforzare il controllo esercitato dalle autorità di Teheran sulla popolazione.
E in particolare sulle “minoranze” (leggi popoli minorizzati, frantumati dalle frontiere statali), in particolare i beluci (5% della popolazione iraniana, ma ben 20% delle esecuzioni, tra cui almeno 24 donne e 5 persone che al momento del delitto erano ancora minorenni) e i curdi.
Insomma, una sostanziale conferma del quadro generale già analizzato dal 16° rapporto annuale (marzo 2024) contro la pena di morte elaborato da Diritti Umani in Iran e da ECPM (Uniti contro la pena di morte) che ugualmente prendeva in considerazioni le pene capitali eseguite nella Repubblica Islamica nel corso del 2023.
Stando al rapporto in questione le condanne a morte eseguite in Iran nel 2023 sarebbero state 834 (un cifra leggermente inferiore a quella denunciata da A.I.). Con un incremento del 43% rispetto alle 582 del 2022 (notare ancora la cifra differente, in questo caso superiore, rispetto a quella fornita da A.I.).
Le evidenti difficoltà nel fornire dati più precisi sono in parte dovute al fatto che le autorità iraniane ne forniscono solo di parziali (in difetto). Per esempio nel 2023 le esecuzioni ufficialmente annunciate sono state “solo” 125.
Si calcola infatti che l’85% delle esecuzioni non venga nemmeno dichiarato pubblicamente.
Se la maggioranza delle condanne a morte riguardano reati comuni (legati allo spaccio di droga, omicidi…) sarebbero almeno una cinquantina quelle eseguite per condanne legate alle manifestazioni di protesta.
Un paio per blasfemia e una per adulterio.
Oltre 512 condanne sono state emesse direttamente dai Tribunali Rivoluzionari (4.541 dal 2010).
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