Corpi mutilati e decapitati. Scene orribili a Rafah. Il mondo condanna ma non agisce
Sulle tende di Rafah bombe da 2 tonnellate. Poi il rogo: 45 uccisi. l bilancio potrebbe salire: sono decine i feriti con gravi ustioni. La testimonianza da Tel Al Sultan di Andrea De Domenico, capo nei Territori palestinesi occupati di Ocha, l’ufficio di coordinamento degli affari umanitari dell’Onu.
di Michele Giorgio da il manifesto
Quando le luci del giorno ieri hanno illuminato Rafah, i roghi non erano ancora tutti spenti. La scena davanti agli occhi di tutti è stata raccapricciante. L’accampamento di Tel al Sultan, dove migliaia di sfollati avevano trovato un rifugio per mesi, è apparso come un terreno annerito ricoperto di tende bruciate, lamiere contorte e oggetti carbonizzati. E su di esso madri in lacrime accanto ai corpi senza vita dei figli e uomini impegnati ad avvolgere i morti nei kafan, i teli bianchi diventati il simbolo dei civili innocenti uccisi dai bombardamenti israeliani. Khaled Yazji, uno sfollato, domenica sera ha visto il campo di tende trasformarsi in pochi attimi in un cerchio di fuoco e fiamme. «C’è stata prima un’esplosione» ricordava ieri Yazji parlando con giornalisti locali, «poi è arrivato l’incendio, con fiamme alte. Ero lontano, ma sentivo lo stesso le urla strazianti di chi era rimasto intrappolato». Abed Al-Attar, è rimasto seduto in silenzio per ore accanto ai corpi del fratello, della cognata e di altri parenti uccisi dall’incendio. Intervistato dall’agenzia Reuters, non ha trattenuto la rabbia contro il governo Netanyahu e i comandi militari che per settimane hanno ripetuto che i civili palestinesi non sarebbero stati toccati dall’avanzata su Rafah. «Israele è bugiardo. Non c’è sicurezza a Gaza, né per un bambino, né per un uomo anziano, né per una donna» ha commentato Al-Attar. «Cosa hanno fatto per meritarsi questo? I loro figli sono rimasti orfani», ha aggiunto indicando i corpi intorno a lui nella desolazione di una tendopoli che si è trasformata in un cimitero.
Non era ancora definitivo ieri sera il bilancio dell’attacco aereo israeliano. 45 i morti e circa 250 i feriti, secondo i dati ufficiali del ministero della sanità. 23 delle vittime erano donne, bambini e anziani. Ufficiosamente si parla di almeno 50 morti, un numero destinato a crescere per le condizioni critiche di tanti feriti. Alcuni hanno subito ustioni su gran parte del corpo e nell’unico centro sanitario di Tel el Sultan e nell’ospedale da campo della Croce Rossa non si può fare molto per aiutarli. Alcuni sono stati trasferiti negli ospedali Nasser e Amal di Khan Younis che soffrono ancora dei danni riportati durante il lungo assedio che hanno subito dalle forze israeliane nei mesi scorsi.
«È stato un tragico incidente di cui rammaricarsi». Così Netanyahu alla Knesset ha definito i fatti di Rafah durante un incontro con le famiglie degli ostaggi israeliani a Gaza che lo hanno contestato perché la leadership di Hamas, dopo questo ennesimo massacro, dice di non essere disposta a riprendere le trattative per la liberazione dei sequestrati. «Un tragico incidente», tutto qui. Netanyahu ha sorvolato sul fatto che ad innescare i roghi sono state le bombe sganciate dai jet israeliani contro una presunta postazione di Hamas dove si trovavano due dirigenti del movimento islamico, Yassin Rabia e Khaled Najar, responsabili, sempre secondo il portavoce militare, delle operazioni in Cisgiordania. Un attacco «basato su informazioni di intelligence precise» ha sottolineato il portavoce. Ma le conseguenze maggiori le hanno subite civili innocenti come è quasi sempre accaduto in otto mesi di offensiva contro Hamas, in realtà contro tutta Gaza. Ieri il bilancio totale dei morti palestinesi ha superato 36.000. Mai come in queste ore appare improrogabile l’esecuzione dell’ordine dato a Israele dalla Corte internazionale di Giustizia dell’Aia di fermare subito l’offensiva contro Rafah, l’unico modo per proteggere la vita dei civili palestinesi. Gli Usa invece no hanno saputo dire altro che Israele «deve prendere ogni precauzione possibile per proteggere i civili».
Le cause dell’accaduto a Tel al Sultan sono chiare a tutti. Le esplosioni delle bombe, di grande potenza – Israele invece afferma di aver impiegato due missili con piccole testate – hanno proiettato schegge nel raggio di centinaia di metri provocando l’incendio. «Stavamo pregando… e preparando i giacigli dove dormono i nostri bambini. Non c’era niente di insolito, poi abbiamo sentito un forte boato. I bambini hanno cominciato a urlare, siamo stati circondati dal fuoco e ci siamo salvati per un miracolo», ha riferito una donna, Umm Mohammad. Parole confermate dai video che circolano in rete che mostrano un incendio furioso nell’oscurità, persone che urlano in preda al panico, giovani che cercano di rimuovere lamiere e pochi pompieri che provano a spegnere le fiamme. In precedenza, Hamas, per la prima volta da gennaio, aveva lanciato otto razzi (quasi tutti abbattuti) verso Tel Aviv e il centro di Israele. Per i palestinesi la potenza dell’attacco «mirato» israeliano a Rafah sarebbe stata una ritorsione indiscriminata ai razzi di Hamas. «Gaza è l’inferno sulla terra. Le immagini di ieri sera (domenica, ndr) ne sono l’ennesima testimonianza», ha scritto l’Unrwa (Onu) su X. Tante vittime civili non hanno fermato gli attacchi israeliani. Ieri i carri armati hanno continuato a martellare le aree centrali e orientali di Rafah uccidendo otto persone, secondo fonti locali. Nel campo di Nuseirat, nel centro di Gaza, un raid aereo ha ucciso tre agenti di polizia.
Messo sotto pressione della Corte di Giustizia e dall’altra Corte dell’Aia, quella penale che potrebbe emettere mandati di arresto per crimini di guerra contro il premier Netanyahu e il ministro della Difesa Gallant (e per tre leader di Hamas), Israele adesso pone in primo piano la sua giustizia militare, per accreditarne la presunta indipendenza nel giudicare abusi e crimini commessi da soldati e ufficiali. L’attacco a Tel al Sultan, è stato comunicato ieri, sarà indagato dal cosiddetto «meccanismo indipendente» dello stato maggiore. L’avvocato generale militare Yifat Tomer-Yerushalmi ha detto che sono in corso indagini sulla morte di palestinesi arrestati a Gaza nel campo di detenzione di Sde Teiman. Tomer-Yerushalmi ha descritto la guerra in corso come «insolita».
Andrea De Domenico ieri è stato in vari centri sanitari di Rafah e ha incontrato i responsabili della Protezione civile coinvolti nell’assistenza ai feriti di Tel al Sultan e nel recupero dei corpi delle vittime. «Domenica notte i medici hanno dovuto eseguire decine di interventi chirurgici per tentare di salvare quante più persone», ci diceva ieri al telefono il capo di Ocha, l’ufficio di coordinamento degli affari umanitari dell’Onu nei Territori palestinesi occupati. «Quanto è accaduto è terribile», ha affermato riferendoci poi del colloquio avuto con un chirurgo volontario pakistano. «Si tratta di un medico di grande esperienza che ne ha viste tante. Malgrado ciò era molto provato emotivamente dalle scene che ha visto. Mi ha raccontato di aver ricevuto dai soccorritori il corpo di un uomo sui 45 anni che abbracciava quello della figlia, entrambi morti carbonizzati. Non sono riusciti a sbloccarli tanto erano stretti l’uno all’altra. Li hanno lasciati così, in segno di rispetto».
De Domenico ha spiegato che il sito colpito è a 200 metri a nord della base logistica dell’Onu, su una collina di sabbia che fino a qualche tempo fa era ricoperta di tende. In quella zona è rimasto il gruppo di sfollati che due giorni fa è stato colpito dalla bomba. Negli ospedali, ha proseguito, sono arrivati feriti e corpi, anche di bambini, mutilati o decapitati che confermano la potenza dell’esplosione. «Gli aiuti umanitari che entrano a Gaza sono molto pochi» ha rimarcato il funzionario dell’Onu «oggi (ieri) abbiamo avuto una giornata complicatissima, con ritardi infiniti da parte dei militari israeliani nel darci la possibilità di operare, hanno ritardato varie nostre operazioni. L’accesso a Kerem Shalom è praticamente impossibile, siamo riusciti a muovere una trentina di camion di assistenza umanitaria dopo ore e ore di attesa».
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