Una festa per più di diecimila in nome delle libertà e della giustizia sociale, dicono le cronache di ieri a Cosenza, in solidarietà coi 13 “cospiratori” del Sud ribelle per i quali la requisitoria, appena pronunciata, ha chiesto 76 anni tra galera e libertà vigilata. Li incolpa di aver turbato il G8 di Genova. Reato non indultabile, per altro, grazie all’astensione di una deputata verde in commissione Giustizia all’epoca del provvedimento di parziale clemenza. I 13 sono alla testa del corteo. Oggi uno fa il deputato, Caruso. Ma tutti stanno dove li avevano scovati digos e ros quel 15 novembre 2002, al ritorno dal fse di Firenze. Qualcuno coi Cobas, altri tra le aree figlie della disobbedienza, tra gli antagonisti, ultras, cani sciolti, ambientalisti radicali, precari dell’università, a Napoli, nel Nordest, Taranto, Roma, Cosenza. Cinque anni fa, non avevano potuto farlo, al corteo dei 70mila per la loro libertà, sbattuti com’erano in carceri speciali dal pm Fiordalisi, l’unico a sposare un teorema imbastito dai Ros dei carabinieri all’indomani dei massacri genovesi. Agnoletto fu avvertito il 25 luglio 2001, «guarda che vi stanno venendo ad arrestare, te e Casarini per primi. C’è un dossier». Ma non se ne fece nulla perché la procura di Genova si rifiutò di dar credito a intercettazioni di dubbia legittimità. Altre 21 porte e spunterà il discusso Fiordalisi, quello che chiuse l’inchiesta sulla nave portarifiuti Jolly Rosso, vecchia conoscenza delle ispezioni del Csm.Una festa, s’è detto, a vedere molti manifestanti che si tenevano per mano, danzando, in una città curiosa e solidale, coi giovani filippini e i volontari del commercio equo, quasi tutti i portavoce dell’allora Gsf, i napoletani di Rifiutizero che il giorno prima hanno rischiato di essere caricati per aver osato depositare rifiuti differenziati, i comitati di quartiere di Taranto, quelli della Sata di Melfi che, in 18 sono ancora indagati per la presunta violenza privata durante i 21 giorni di lotta del 2004. E la Fiat continua a intensificare i ritmi, racconta Manuele, e a licenziare sindacalisti. Marciavano gli studenti di Uds e Udu, i collettivi della Sapienza, i centri sociali, anarchici, antagonisti, sinistre arcobaleno e critiche e eretiche, giovani comunisti, arcisti, Cgil, Cobas, Slai ed Rdb. I più visibili gli ultras del Cosenza, antirazzisti e antifascisti, che lasciano uno striscione sotto lo studio di Giuseppe Mazzotta, penalista di rilievo, militante, scomparso due anni fa. E cantano fino alla fine gli ultras e convincono gli irriducibili tra i bottegai a sollevare le saracinesche: «Nessuno ha commesso reato – si sente cantare – si tratta di mentalità!». Come nel 2002, il presidente della Provincia, il sindaco di Cosenza e il suo collega di Lametia. L’unico a metterci faccia e fascia è Giovanni Manoccio e guida una giunta di sinistra-sinistra all’ombra del Pollino. Parla Scalzone dal camion centrale, suonano gli Zion Tribe sotto la Città vecchia, passano disoccupati salernitani, precari di tutto il Sud, ex detenuti e familiari, No Ince, tanta Calabria, molto meridione, un bel po’ di Rifondazione (anche il segretario regionale Pino Scarpelli, il capogruppo Guagliardi, i parlamentari Mantovani e Angela Lombardi coi loro capigruppo, Di Palma della segreteria nazionale e i coordinatori dei Gc, ecc…), bandiere e vertenze da ovunque e piomba, al cellulare di Luca Casarini la notizia degli avvisi di garanzia a quattro No Dal Molin. «Non è solidarietà – spiegano in molti – è condivisione. Respingiamo le divisioni tra buoni e cattivi. A Genova e altrove c’eravamo tutti». E’ andata. I volti si distendono e ci si comincia a chiedere come andare avanti. Una festa, s’è detto. Ma è la «festa di addio» che vede una preoccupatissima Haidi Giuliani, oppure è l’«inizio di un nuovo ciclo contro il governo Montezemolo- Berlusconi- Veltroni», che intravede Giorgio Cremaschi, il fiommino. Interloquisce con entrambi Michele Di Palma: «Credo sia un momento di passaggio, dovrebbe riprendere una riflessione collettiva». «I giorni che abitiamo ci promette tempi cupi ma oggi vedo la speranza di un ciclo unitario di mobilitazioni», interviene il coordinatore dei Gc, Federico Tomasello. «Mica era scontato questo corteo – dice Agnoletto, ora eurodeputato Prc – nel pieno della crisi di governo e nel punto di massima distanza tra il governo che nemmeno ha concesso la commissione sul G8 e i movimenti». Non sarà d’accordo Gennaro Migliore, presidente dei deputati Prc che, sfilando, prende ad esempio Vicenza, preoccupato dal «clima di intimidazione in quella città: avremmo potuto essere avvisati anche noi. Impossibile da pensare una sinistra senza rapporto coi movimenti». Per l’imputato cosentino Luca Casarini, gli avvisi vicentini sono lo «scatto vendicativo di chi è debole: il governo non c’è più, le comunità si autodeterminano, lo stato si vendica». Perugini, sindaco di Cosenza, rimprovera alla politica di non essersi interrogata su certi tipi di reato, vecchi arnesi del Codice Rocco, «riciclati contro le lotte – aggiunge Bernocchi dei Cobas. Gli risponde Russo Spena, capogruppo Prc a Palazzo Madama: «Speravamo andasse in porto la revisione dei codici. Erano passate in commissione (presidente Pisapia, ndr) le depenalizzazioni e le riduzioni di pena. La crisi ha interrotto quel lavoro». Prossime stazioni. «Firenze, prima di tutto – dice Raffaella Bolini dell’Arci – perché la sentenza sui fatti del ’99 al consolato Usa (fino a 7anni per resistenza, il doppio di quanto chiesto da Fiordalisi a Cosenza) ci ha gelato, con quel collegamento esplicito, nella requisitoria alla storia di Genova». Potrebbe succedere il 2 marzo, all’indomani della venuta a Roma contro le missioni di guerra,. «Servirà a ragionare sul futuro», accenna il condannato fiorentino Bruno Paladini. Bernocchi ricorda l’idea di un grande primo maggio. Ma intanto, «da qui alla sentenza, c’è da lavorare su Cosenza e nei territori», avverte Italo Di Sabato dell’Osservatorio contro la repressione del Prc.
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