Ai tempi del Coronavirus, lo sguardo e l’attenzione della politica e dei media sulla situazione in Italia si focalizzano sugli effetti sanitari, sociali ed economici della diffusione del virus, lasciando in stand by tutto ciò che costituisce mera ordinaria amministrazione.
Lo stato di emergenza porta con sé una serie di ricadute, sulle quali si stanno esprimendo con diversi approcci e punti di vista tanto opinionisti mainstream, quanto settori di movimento, interrogandosi su temi che vanno dalle conseguenze dei cambiamenti climatici e delle sperimentazioni bio-tecnologiche sulla diffusione dei virus, agli effetti dei processi di dismissione della sanità pubblica in favore dell’imprenditoria privata, alle tutele necessarie per assicurare reddito ai lavoratori, in specie precari, colpiti dalla sospensione o comunque dalla contrazione dell’attività e ancora al modello di società autoritaria che si sperimenta con l’adozione di misure che non solo limitano la socialità, ma comprimono diritti fondamentali quali quelli di riunione, di circolazione, di sciopero.
La pandemia da Covid-19 ha messo a nudo nel modo più spietato, e funesto per migliaia di persone e personale sanitario colpiti, lo stato disastroso del nostro sistema sanitario, letteralmente smantellato da una sistematica opera di demolizione dei punti cardine della Riforma Sanitaria, Legge 833, del 1978, al fine di favorire potenti interassi privatistici.
Le petizioni (anche troppe, meglio sarebbe una e universale) che chiedono, magari in forme diverse, il rafforzamento e il ri-finanziamento della sanità pubblica, l’intervento tardivo della sanità privata lombarda per fronteggiare l’emergenza Covid è sotto gli occhi di tutti ed è la logica conseguenza delle politiche sulla sanità regionale da Formigoni ad oggi.
Particolarmente vile è stato il tentativo di lodare il poco che ha fatto la sanità privata rispetto ai medici di base e agli operatori sanitari degli ospedali pubblici (ma non solo) mandati a fronteggiare l’emergenza in una totale disorganizzazione e senza neppure i dispositivi di protezione individuali.
A tal proposito si moltiplica la volontà di una elaborazione di proposta di referendum popolare con l’obiettivo di richiamare alla memoria e all’attenzione, un aspetto di grande attualità che è rimasto inosservato per lungo tempo.
In tempi di Covid-19 e di crisi climatica i nessi fra ambiente e salute si rivelano sempre più cruciali, ed è importante richiamare l’attenzione su un punto di svolta che determinò la nefasta scissione fra competenze sanitarie ed ambientali: questa sciagura fu determinata dall’esito di un referendum popolare che si svolse esattamente 27 anni fa, il 18 aprile del 1993.
La fondamentale Riforma Sanitaria del 1978 che istituì il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) fu una delle tante conquiste dei movimenti di lotta degli anni Settanta. Grazie ai movimenti, questa Riforma Sanitaria fu una delle più avanzate del mondo, basata su principi di universalità, uguaglianza ed equità. Il principio cardine era che la tutela della salute si basa sull’unitarietà tra interventi preventivi, curativi, riabilitativi, il reinserimento sociale: era fondamentale a questo fine l’integrazione tra interventi sanitari, sociali e ambientali, dato che i determinanti biologici, ambientali e sociali della malattia sono strettamente intrecciati. Le lotte nelle fabbriche fino dall’Autunno Caldo avevano denunciato l’impatto sulla salute dei fattori di nocività negli ambienti di lavoro (inquinanti, polveri, rumore, ritmi, ecc.): del resto, dalle fabbriche erano in larga parte venute le principali cause di inquinamenti e disastri ambientali.
Infatti la Riforma Sanitaria metteva in primo piano la prevenzione, primaria e secondaria: quest’ultima interveniva negli stadi iniziali e preclinici della malattia, sui comportamenti e nell’educazione alla salute (nelle scuole etc.), ma il presupposto era che fosse preceduta e affiancata dalla prevenzione primaria, la tutela dell’ambiente, l’individuazione e bonifica delle cause di inquinamento di aria e suolo, territorio e ambienti di vita e di lavoro. L’effetto successivo fu che tale modello sanitario si guadagnasse gli attestati di qualità per uno dei migliori al mondo.
La Riforma Sanitaria, come tante altre conquiste fondamentali (Legge Basaglia, la 194, entrambe del 1978, per citarne alcune), finirono sotto attacco quando i movimenti di lotta declinarono e si frammentarono perdendo la loro forza e compattezza. La 833 venne progressivamente stravolta e smantellata pezzo per pezzo. Basti ricordare la trasformazione delle Unità Sanitarie Locali (USL) in Aziende Sanitarie (ASL), finalizzate non più a criteri di servizio sociale, ma a vincoli economici, di bilancio, che da allora hanno limitato drasticamente la loro funzionalità sociale. Trasformazione mirata a spalancare le porte all’ingresso del privato nella sanità. Abbiamo assistito a come, nella debolezza dei movimenti di lotta, abbia fatto breccia nell’opinione pubblica la retorica della inefficienza del pubblico contro la efficienza del privato: oggi vediamo i risultati!
Su questa retorica, e su innegabili inefficienze, che erano però il risultato dello stravolgimento della 833, si fondò l’elaborazione e la presentazione, da parte dei Radicali di un quesito referendario per la separazione delle competenze ambientali da quelle sanitarie.
Sostanzialmente tutte le competenze riguardanti l’ambiente – «l’identificazione e l’eliminazione delle cause degli inquinamenti», e ovviamente dei loro effetti sulla salute – venivano sottratte al SSN.
La consultazione su questo referendum si tenne (unitamente ad altri 7, fra i quali l’approvazione del sistema maggioritario per l’elezione del Senato) il 18 aprile 1993 ed ottenne l’82,57% di SI. Il controllo delle condizioni ambientali veniva sottratto al SSN, la tutela della salute veniva separata dalle condizioni ambientali, dal controllo e dalla tutela di tali condizioni, che pure hanno un impatto decisivo sulla salute stessa.
Nel 1994 vennero istituite l’ANPA (Agenzia Nazionale per la Protezione dell’Ambiente ) (1) e poi le Agenzie (ARPA) con compiti di informazione e promozione dello sviluppo coordinato del sistema nazionale dei controlli in ambito ambientale. Molto ci sarebbe da dire su di esse. In primo luogo un’Agenzia ha una funzione ben diversa da un servizio sociale: d’altronde il concetto stesso di “servizio sociale” è ormai scomparso, siamo tutti “utenti”, “clienti”. In secondo luogo con la regionalizzazione di molte competenze le ARPA sono passate alla dipendenza delle Regioni che hanno adottato criteri differenziati e ne hanno condizionato in modi diversi l’autonomia, a furia di tagli, di esternalizzazioni, di privatizzazioni, di ridimensionamenti. In terzo luogo i troppi poteri concentrati nella figura del direttore generale, determinano una gestione spesso non condivisa dal personale e dall’organizzazione agenziale.
Ormai ci siamo abituati a bollettini su livelli di inquinamento, ma non sfuggirà a nessuno che le ARPA si guardano bene dal dedurre qualsiasi valutazione sulle conseguenze sulla salute dei diversi fattori inquinanti! Questa possibilità è stata tolta 27 anni fa.
Ben diverso sarebbe stato se le competenze sulle condizioni ambientali e gli effetti sulla salute fossero rimaste unificate nel SSN sotto la voce “prevenzione primaria”. La prevenzione primaria non esiste più, gli interventi sanitari hanno solo una funzione riparativa, alle cause non pensa più nessuno.
Riteniamo assolutamente necessario che chi si impegna per il potenziamento di quello che resta del SSN e progetta la proposizione di un referendum si ponga anche questo problema: senza prevenzione primaria non c’è tutela della salute!
Il problema grosso di questa pandemia ha rilevato le emergenze respiratorie concentrate nelle rianimazioni ed il nostro Sistema Sanitario, che in tutti questi anni è stato sempre più privatizzato e ridotto, ha rischiato di non assorbirle integralmente. Secondo quanto riporta l’OMS, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ogni anno per l’inquinamento atmosferico muoiono circa 8 milioni di persone nel mondo. Nella sola Cina, il numero delle vittime è di oltre un milione. 80.000 sono in Italia i morti dovuti al particolato, al biossido di azoto, all’ozono. Nemmeno va dimenticato che nei paesi occidentali, il 91% delle morti è causato da malattie non trasmissibili (cardiovascolari, m. respiratorie, tumori), che sono strettamente collegate all’ambiente intossicato in cui viviamo, mentre il 9% è causato da malattie infettive. Per chi avesse desiderio di altri dati negativi, ricordiamo che ogni anno in Italia il fumo di sigaretta, causa circa 90.000 morti (di cui 1-2 mila per il fumo passivo), gli incidenti stradali 3.330 morti e 243.000 feriti; l’antibioticoresistenza una delle più importanti emergenze sanitarie, provoca la morte di circa 10.000 persone. correlato a l’uso massivo degli antibiotici negli allevamenti animali. In Italia, secondo l’ultimo dato dell’EMA (Agenzia Europea del Farmaco) quasi il 70% degli antibiotici venduti sono destinati agli animali da allevamento).
Vale la pena soffermarci sull’emergenza sanitaria del momento, in particolare sulle conseguenze delle relazioni ravvicinate col mondo animale, a causa dei cambiamenti climatici e sulla sinergia perversa smog-Covid-19.
L’ inquinamento atmosferico può esacerbare la virulenza di Covid-19 ?
Salta subito agli occhi che i 2 più grandi focolai di questa pandemia, Cina e Pianura padana, sono due camere a gas, zone industriali ad alto tasso di inquinamento atmosferico. Sarebbe sorprendente scoprire che l’inquinamento atmosferico non ha influenzato il rischio di ammalarsi e di morire per Covid-19, dal momento che la sola esposizione al particolato è di per sé causa di mortalità, specialmente nelle persone con malattie preesistenti.
Quello che dovrà essere valutato, nei mesi a venire, è quanto negativamente l’esposizione agli inquinanti atmosferici, come i particolati (PM2,5, 10), gli ossidi di azoto (NOX), l’ozono (O3) abbiano influenzato la prognosi di Covid-19.
In un interessante studio sulla SARS, una epidemia che come abbiamo visto ha delle similitudini con Covid-19, dal titolo “Inquinamento atmosferico e fatalità dei casi di SARS nella Repubblica popolare cinese: uno studio ecologico” di Yan Cui, si stabilisce che “l’inquinamento atmosferico è associato ad un aumento della mortalità dei pazienti con SARS nella popolazione cinese” – “La spiegazione biologica potrebbe essere che l’esposizione a lungo o breve termine a determinati inquinanti atmosferici potrebbe compromettere la funzione polmonare, aumentando quindi la mortalità SARS” . Questo studio inoltre ha collegato la diversa percentuale di mortalità della SARS col livello di inquinamento dell’aria: i malati di SARS che abitavano nelle regioni con qualità dell’aria peggiore presentavano un rischio di morte dell’84% più alto.
Il particolato ultrafine potrebbe agire come carrier del virus, trasportandolo fin dentro gli alveoli polmonari, esacerbandone la virulenza.
In un altro lavoro scientifico, dal titolo “L’impatto del PM2.5 sul sistema respiratorio umano” di Yu-Fei Xing, si dice che il danno del PM2.5 alle cellule polmonari è causato dalle interazioni tra cellule infiammatorie e citochine, in modo quindi del tutto simile e quindi sinergico al Covid-19 (vedi poi “tempeste di citochine”).
Nel lavoro scientifico di Wei Su et al. dal titolo “Gli effetti a breve termine di sei inquinanti atmosferici [PM2.5, inclusi PM10, NO 2 , O 3 , CO e SO 2] sulla malattia simil-influenzale (ILI)” si dimostra che gli inquinanti atmosferici possono aumentare l’incidenza della malattia simil-influenzale, sia diminuendo le difese immunitarie, sia per l’alterata produzione di citochine: “L’esposizione al PM2.5 non solo ha portato a danni epiteliali delle vie aeree e disfunzione della barriera, ma ha anche ridotto la capacità dei macrofagi di fagocitare i virus, aumentando la suscettibilità di un individuo ai virus” ed ancora, “le lesioni tissutali indotte dal PM 2.5 possono essere correlate all’alterata produzione di citochine. Il PM 2.5 può compromettere l’attività fagocitaria dei macrofagi alveolari”.
Non è quindi azzardato ipotizzare che la perversa sinergia fra il virus SARS-COV-2 e l’inquinamento atmosferico, sia una delle cause della particolare gravità e diffusione della pandemia di Covid-19, in Cina, nella Pianura Padana, nella Corea del Sud, cioè in zone accomunate da un alto tasso di inquinamento. Ma come si sa l’inquinamento è diventato ubiquo. E’ indispensabile decidere di adottare da subito misure drastiche per ridurre il livello di inquinanti atmosferici e non solo. E’ necessaria un altro tipo di economia dato che questa pandemia è una prova generale di come il neoliberismo, l’inquinamento, e il cambiamento climatico, con l’esacerbazione delle disuguaglianze, ci sta portando diritti verso la sesta estinzione di massa.
Fra il 2010 e il 2019 il SSN “ha perso” 45.000 posti letto e 43.386 dipendenti, di cui 7.625 i medici e 12.556 infermieri come risultato del definanziamento del SSN cumulato in questo decennio, pari a 37 miliardi di euro. Carenze e inadeguatezze strutturali, chiusura di reparti e/o ospedali pubblici, gravi carenze strumentali, hanno completato il quadro. Nel 2019 risultiamo il paese che spende di meno per la sanità con l’inevitabile abbassamento della qualità. Dati spaventosi a fronte dei quali siamo infinitamente grati a quanti, negli ospedali e nelle strutture pubbliche si stanno adoperando per salvare vite umane, oltre ogni limite, nonostante le gravi carenze e inadeguatezze.
Occorre, quindi, necessariamente invertire la rotta intrapresa, in particolare, con le diverse forme di “sanità integrativa”, incluso il cosiddetto “welfare aziendale” e la cosiddetta “autonomia regionale differenziata”.
Indispensabile, salvaguardare un Servizio Sanitario Nazionale, fondato sull’art. 32 della Costituzione e sui principi ed obiettivi universalistici, stabiliti dalla Legge istitutiva, la 833/1978. E’ necessario far sì che ogni spesa in campo sanitario diventi un vero investimento sulla salute collettiva, recuperando le risorse a partire dalla riduzione delle spese militari; occorre dotare il SSN di un finanziamento adeguato, a livello almeno dei Paesi più avanzati dell’OCSE, con l’obiettivo di adeguare la dotazione di personale e portare il numero di posti letto dagli attuali 3 per mille abitanti a 8 per 1.000, garantendo nel contempo una modulazione congrua dei posti letto in terapia intensiva.
Eliminare storture oramai diventate di sistema come le forme di prestazioni “intramoenia” nel servizio pubblico; potenziare il ruolo dei medici di base; realizzare una rete di presidi, ospedalieri e sul territorio, in grado di rispondere alle variazioni della domanda; decentrare la “governance” del sistema ponendola fuori da logiche accentratrici e burocratiche anche a livello regionale, in cui pochi decidono su tutto; la definizione degli obiettivi deve vedere la partecipazione delle comunità locali e le rappresentanze popolari; l’attuazione del diritto alla salute deve essere olistico, ove la persona è intesa nella sua interezza, a partire dalle condizioni di lavoro, di vita e ambientali per “ricostruire” le dinamiche della malattia, prevenirla e curarla nel modo giusto.
Questi obiettivi implicano un’ampia iniziativa di lotta per l’eliminazione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, come pure per la bonifica dei territori e degli ambienti di lavoro, per garantire condizioni di salubrità di vita per tutti, riorganizzando i servizi territoriali di prevenzione, anch’essi a ranghi sempre più ridotti e con funzioni sempre più formali, valorizzando magari le “case della salute”, secondo le migliori esperienze nazionali ed europee.
Consapevoli che l’emergenza COVID-19 è correlata alla drammatica crisi ambientale, conseguente un modello economico capitalistico, fondato sul prelievo illimitato di risorse dal Pianeta, il loro spreco e la produzione sempre maggiore di rifiuti.
Giuseppe Pelli