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I cpr sono vere e proprie prigioni private

I Cpr, di fatto, sono un sistema di detenzione, ma a differenza delle patrie galere vivono in una specie di limbo giuridico dove esistono meno garanzie per i trattenuti e dove, appunto, i privati possono gestirli e trarne il massimo profitto

di Damiano Aliprandi

I Centri di permanenza e rimpatrio (Cpr), una detenzione di fatto per migranti che non hanno commesso reati, sono in mano a privati che hanno l’obiettivo di guadagnare dalla reclusione dei migranti. Questo avviene a differenza delle carceri italiane, dove il nostro ordinamento vieta la loro privatizzazione. I Cpr, di fatto, sono un sistema di detenzione, ma a differenza delle patrie galere vivono in una specie di limbo giuridico dove esistono meno garanzie per i trattenuti e dove, appunto, i privati possono gestirli e trarne il massimo profitto.

Per comprendere tutto ciò, bisogna leggere il rapporto “Buchi neri” della Coalizione italiana libertà e diritti civili (Cild) a firma degli avvocati Federica Borlizzi e Gennaro Santoro dove vengono non solo sviscerati i problemi dal punto di vista giuridico e sanitario, ma anche economico.

Basti pensare che dal 2018 a oggi lo Stato italiano ha speso 44 milioni di euro per la gestione dei dieci Centri presenti sul territorio. Sempre dal rapporto della Cild, emerge che egli ultimi anni il mercato della detenzione ha attirato le mire di vere e proprie multinazionali del settore. Come Gepsa e Ors, che gestiscono i Cpr di Torino, Macomer e a breve anche quello Ponte Galeria, ma nel corso degli anni hanno avuto appalti anche per Cara, Cas ed ex Cie in diverse regioni italiane. Le loro società madri, Engie Francia e Gruppo Ors con sedi rispettivamente in Francia e Svizzera, sono affermate a livello europeo: la prima fornisce servizi ausiliari in 22 strutture penitenziarie transalpine, la seconda è titolare di centri di accoglienza e trattenimento in Svizzera, Germania, Austria e Italia.

Il Cpr romano di Ponte Galeria in mano al gruppo Ors 

Per comprendere il fenomeno, bisogna analizzare il caso singolo. Ovvero il cpr romano di Ponte Galeria. La Colazione Italiana Libertà e Diritti civili (Cild), questo mese ha pubblicato un rapporto specifico dove rivela che, a dicembre scorso, ad aggiudicarsi la gara d’appalto è Ors Italia srl, ma non è dato sapere il ribasso proposto sul prezzo a base dell’asta (7 milioni di euro), non essendo stata la relativa offerta pubblicata sul sito della Prefettura. Ma la Cild spiega che si sa per certo chi sia questa nuova società che ha preso la gestione del Centro. Infatti, il Gruppo ORS è una società, con sede a Zurigo, attiva da più di 30 anni nei settori dell’accoglienza e della detenzione amministrativa dei migranti in tutta Europa.

Secondo l’ultima relazione aziendale del 2020, il Gruppo ORS, che conta 1.300 dipendenti, gestisce strutture di accoglienza e trattenimento in 4 Paesi europei: Svizzera, Germania, Austria, Italia. Ma pesa il fatto che Il Gruppo è stato al centro di inchieste giornalistiche che hanno tentato di comprendere chi vi fosse dietro la società: ORS Holding risulta, come si legge nel rapporto di Cild, infatti, “partecipata per intero dalla OXZ Holding (OX Group) di Zurigo. Il gruppo è stato acquisito nel 2013 da un fondo di private equity controllato dalla londinese “Equistone Partners”, uno spin- off della banca Barclays, attivo dal 2011”.

La denuncia di Amnesty

Sempre la Cild, rivela che nel 2015 ORS è stata oggetto di un Rapporto di Amnesty International che ha denunciato le condizioni inumane di accoglienza dei migranti nel Centro austriaco di Traiskirchen: “Progettato per 1.800 persone, era arrivato a ospitare 4.600. La logica, in quel centro come in tutte le strutture gestite da ORS, sembra essere sempre la stessa: taglio dei costi e massimizzazione del profitto con “risparmi” su visite sanitarie, corsi di formazione, penuria di cibo, qualità degli alloggi”. Non solo. Nel 2018 l’Ong “Droit de Rester” denuncia la cattiva gestione da parte di ORS delle strutture di accoglienza di Friburgo.

Come già detto, In Italia ORS è attiva dal 22 agosto 2018. Dopo un periodo di inattività, nel 2019 si è aggiudicata diversi appalti per la gestione di Centri di accoglienza in Friuli Venezia Giulia e Sardegna. Rispetto all’isola sarda, ORS Italia ottiene, dal gennaio 2020, la gestione del CPR di Macomer e, nel marzo dello stesso anno, anche l’affidamento del controverso CAS di Monastir.

A riguardo, il deputato Erasmo Palazzotto, in una interrogazione al Ministro dell’Interno, aveva evidenziato come “si pone il grande dubbio di come sia possibile, per una società a responsabilità limitata sostanzialmente inattiva, superare i requisiti di concreta esperienza ed essere ritenuta idonea alla gestione di grandi centri di accoglienza. Il timore dell’interrogante è che ci si trovi di fronte a una società che si avvarrebbe solo e totalmente della casa madre svizzera senza possedere mezzi e personale proprio con le qualifiche e l’esperienza richieste dai relativi bandi, consentendo che sul futuro di tali centri possano mettere le mani delle realtà discutibili interessate solo al profitto a discapito di migranti e contribuenti”. Oramai il Gruppo ORS, sembra essere entrato a pieno titolo nel business della detenzione amministrativa italiana. Non a caso, nell’arco di pochi mesi, si è aggiudicato non solo la gestione del Centro di Roma- Ponte Galeria ma anche, nel febbraio 2022, quella del CPR di Torino, peraltro con un ribasso rispetto al prezzo d’asta addirittura dell’11%.

La questione delle sezioni femminili 

Ma la Cild denuncia che le novità della nuova gestione del Cpr di Ponte Galeria non sono finite. Infatti, con la nuova gara d’appalto del 2021: da un lato, si riduce drasticamente la capienza massima del Centro, che passa da 250 a 120 posti; dall’altra sembra non essere più presente la sezione “femminile” nel Cpr di Ponte Galeria. Si tratta di una eventualità che, se fosse confermata, comporterebbe il fatto che, in Italia, nessuna donna potrebbe essere trattenuta nei Cpr, essendo quello di Ponte Galeria l’unico con la sezione femminile attiva.

Notizia che – secondo la Cild – sarebbe da accogliere con favore se ciò significasse che nessuna straniera sia più soggetta a rimpatrio. In caso contrario, il rischio che si pone è che le cittadine straniere siano, in attesa dell’espulsione, trattenute nelle controverse “strutture idonee presso la disponibilità dell’Autorità di Pubblica Sicurezza” e/ o in “locali idonei presso gli Uffici di frontiera” (art. 13, comma 5 bis del TUI, come modificato dal d. l. n. 113/ 2018). Il report denuncia che si tratta di una prospettiva pericolosissima posto che, come evidenziato dal Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, la normativa non stabilisce le condizioni di trattenimento presso tali “locali idonei” e non è dato sapere neanche l’esatta ubicazione di tali strutture.

La Cild sottolinea che “la triste storia della detenzione amministrativa delle donne nei Centri di trattenimento ci parla di privazioni della libertà spesso illegittime, avvenute a danno di cittadine straniere vittime di tratta e di violenza”. Storie che, spesso, hanno preso una direzione diversa dal rimpatrio solo grazie all’attività delle associazioni della società civile, tra tutte la Cooperativa “Be Free” che, per anni, ha prestato assistenza nel Cpr di Ponte Galeria.

da il dubbio