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Crimini di Stato in Colombia. Nel 2020 uccisi più di 300 attivisti sociali

Per il tribunale permanente dei popoli si tratta di “genocidio politico”. Un bagno di sangue che non è cessato in questi primi mesi del 2021, durante i quali i dirigenti sociali uccisi risultano già 29 e i massacri 16

Prosegue ininterrottamente il genocidio politico in Colombia, a cui non a caso è dedicata la 48.ma sessione del Tribunale permanente dei popoli che avrà luogo tra il 25 e il 27 marzo.

Assassinii selettivi e massacri si succedono a un ritmo quasi quotidiano dinanzi allo sguardo imperturbabile del governo Duque, incapace di applicare l’Accordo di pace firmato nel 2016 dallo Stato e dalle Farc, di esercitare un controllo reale su tutto il territorio e di combattere in maniera efficace i gruppi armati illegali.

Con il risultato che, secondo Indepaz (Instituto de Estudios para el Desarrollo y la Paz), nel 2020 si sono registrati 91 massacri, per un totale di 381 vittime, e sono stati assassinati 310 leader sociali e 64 ex combattenti. Un bagno di sangue che non è cessato in questi primi mesi del 2021, durante i quali i dirigenti sociali uccisi risultano già 29 e i massacri 16, l’ultimo dei quali commesso il 6 marzo nel dipartimento del Norte de Santander, con un bilancio di almeno cinque morti e sei feriti. Ma alla lista va aggiunta anche la strage operata il 2 marzo, nelle foreste del dipartimento di Guaviare, dallo stesso esercito colombiano, attraverso un potente bombardamento contro un accampamento guerrigliero a causa del quale sono morte 15 persone, tra cui almeno dieci minorenni che erano impegnati in lavori agricoli.

Una brutale operazione realizzata dalla task force congiunta Omega, una delle espressioni più violente, come denuncia il leader comunitario Nepomuceno Marín, di quel modello di controinsurrezione introdotto dal Comando Sur degli Stati uniti «per proteggere gli interessi delle multinazionali petrolifere, minerarie e dell’agribusiness in Colombia». Con l’aggravante che i vertici dell’esercito, per loro stessa ammissione, sapevano della possibilità che vi fossero minorenni nell’accampamento. «Se i morti avessero avuto un’aviazione per rispondere all’attacco o missili anti-aerei per difendersi, capiremmo il giubilo del governo, ma così non ha senso», ha dichiarato Iván Márquez, l’ex numero due delle Farc tornato alla lotta armata, sottolineando la necessità di «frenare l’uso sproporzionato della forza da parti di alcuni generali impazziti spronati da un presidente assetato di sangue».

Ma era ciò che ci si poteva attendere da un esercito che, nel corso del conflitto armato interno – e in particolare dal 2002 al 2008, sotto l’amministrazione di Álvaro Uribe – assassinava persone innocenti facendole passare per guerriglieri delle Farc, in maniera da ottenere riconoscimenti dai superiori e ricompense dal governo. È il fenomeno dei falsos positivos, di cui il rapporto della Giurisdizione Speciale per la Pace del 18 febbraio scorso sulle «morti presentate illegalmente come vittime in combattimento» ha mostrato tutta la sua tragica portata: 6.402 i civili uccisi, uno ogni due giorni per 6 anni di governo Uribe, e sotto quattro ministri della Difesa, tra cui l’ex presidente, nonché Nobel per la Pace, Juan Manuel Santos.

«È giunto il momento di riconoscere le vittime dei crimini di Stato. Il minimo che dovrebbe fare è chiedere scusa», ha scritto al presidente Duque il senatore Iván Cepeda. Ma a lanciare l’allarme sulla situazione del paese è anche un gruppo di organizzazioni sociali statunitensi, tra cui il Center for Justice and International Law e il Colombia Human Rights Committee, le quali hanno chiesto a Biden non solo di intervenire presso il governo colombiano per una rapida ed efficace applicazione dell’Accordo di pace del 2016 ma anche di muovere un preciso passo in tal senso: «Escludere le Farc smobilitate – l’attuale Partido Comunes – dalla lista di organizzazioni terroriste sarebbe un segnale importante e lungamente atteso di sostegno alla pace».

Claudia Fanti

da il manifesto