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Curdi sotto attacco, bombardamenti in Rojava e in Iraq

Intensificazione della campagna  del corpo delle guardie della rivoluzione islamica contro le milizie curde anti-regime sia nel Kurdistan iracheno che in quelle iraniane avviene mentre la Turchia conduce contemporaneamente un’ampia campagna di attacchi aerei contro le milizie curde nel nord della Siria e in Iraq

L’Iran ha preso di mira il quartier generale di quelli che ha definito “gruppi dissidenti” nel Kurdistan iracheno nelle prime ore di lunedì, mentre aerei da guerra turchi avevano già effettuato attacchi in Siria e Iraq domenica, distruggendo obiettivi legati al Pkk il Partito dei Lavoratori del Kurdistan.

Le autorità iraniane hanno accusato “gruppi terroristici e separatisti” e gruppi di opposizione curdi iraniani con sede in Iraq di alimentare i disordini nella regione.

I gruppi per i diritti umani affermano che le forze governative nel Kurdistan occidentale hanno ucciso più di una dozzina di persone curde nelle ultime 24 ore. Lo spargimento di sangue arriva tra le segnalazioni di truppe pesantemente armate dispiegate nella regione.

Gli attivisti affermano che la violenza è un tentativo delle autorità di creare paura tra i manifestanti e reprimere le proteste a livello nazionale che hanno scosso il Paese negli ultimi due mesi.

Le manifestazioni sono scoppiate in seguito alla morte, il 16 settembre, di Mahsa Amini, curda iraniana di 22 anni, morta poco dopo essere stata arrestata dalla polizia morale iraniana per presunta violazione della legge sull’hijab del paese.

Quelle che erano iniziate come proteste contro la brutale applicazione del velo obbligatorio per la testa si sono trasformate in una delle più grandi minacce per l’establishment clericale iraniano, che ha governato dalla Rivoluzione islamica nel 1979.

“La repubblica islamica sta usando una violenza così intensa in Kurdistan per mettere a tacere le proteste in tutto l’Iran”, ha detto a RFE/RL Zhila Mostajar di Hengaw, un gruppo per i diritti registrato in Norvegia che si occupa della regione curda dell’Iran.

Hengaw ha affermato che almeno 13 persone sono state uccise in città principalmente curde dal 20 novembre, di cui sette a Javanrud, quattro a Piranshahr e una a Dehgolan ea Bukan.

Almeno 378 persone, tra cui 47 bambini, sono state uccise dalle forze governative in tutto il paese, secondo Iran Human Rights (IHR) con sede a Oslo. Almeno 83 persone sono state uccise in Kurdistan, Kermanshah e Azerbaigian occidentale, tre province con una significativa popolazione curda, ha affermato IHR .

Ci sono stati ” intensi scontri ” tra manifestanti e forze di sicurezza anche a Javanrud, una città nella provincia di Kermanshah, secondo Hengaw. La repubblica islamica è stata a lungo accusata di sopprimere e discriminare le minoranze etniche del paese, inclusi i curdi, che costituiscono circa il 10% degli 84 milioni di abitanti dell’Iran. La maggior parte dei curdi in Iran, un paese prevalentemente sciita, sono musulmani sunniti.

Ieri, lunedì 21 novembre, si è svolto nel cimitero dei martiri di Derik il funerale degli e delle 11 vittime dei bombardamenti turchi nella regione, avvenuti nella notte tra il 19 e il 20 novembre.

Si tratta di 11 uomini e donne appartenenti a diverse strutture dell’Amministrazione Autonoma a Derik. La notte dei bombardamenti si erano recati nelle zone colpite per aiutare i feriti, documentare e denunciare la situazione, quando sono stati bersagliati e uccisi da un secondo bombardamento.

Il corteo funebre è partito alle 11 di mattina dall’ospedale di Derik, dove ancora 6 feriti sono ricoverati con gravi ustioni. Dopo avere accompagnato le bare fino ai carri funebri, un enorme corteo di macchine ha accompagnato i caduti e le loro famiglie fino al cimitero dei martiri di Derik, a pochi chilometri dalla città della Siria del Nord e dell’Est.

Migliaia di persone sono arrivate da Qamishlo e da altre città del Cantone per porgere il loro ultimo saluto ai martiri rimasti uccisi nei bombardamenti dell’altra notte. In 15mila si sono riunite nello spiazzo adiacente il cimitero. Ad accogliere la popolazione un grande palco, su cui campeggiavano la bandiera di Abdullah Ocalan e la bandiera dell’Associazione delle Madri dei martiri.

Uno striscione con i volti dei\delle martiri recitava la frase “Strage dei martiri di Derik”.

Si sono susseguiti dal palco molti interventi. “Il loro sangue è la luce della nostra vita”. Con queste parole un cittadino di Derik ha aperto la cerimonia. E’ poi intervenuta una portavoce dell’associazione delle famiglie degli Sheid (i\le martiri), le cui bandiere sventolavano numerose tra la gente. “La nostra rivoluzione – ha detto – è il risultato degli sforzi delle martiri. La libertà richiede sacrificio, il sangue versato è stato per la resistenza del popolo. Facciamo nostra la promessa di continuare”.

Ogni intervento è stato intervallato da applausi e cori. “Sheid namirin”, “i martiri non muoiono”, viene ripetuto tre volte alla fine di ogni discorso.

Anche una donna del Kongra Starr e un rappresentante dell’Amministrazione Autonoma hanno preso parola.  Jiyan, di Derik, si è rivolta con affetto al popolo di Derik: “non dobbiamo piangere, ma lasciarli nel nostro cuore, nella nostra mente e nella nostra anima”. Il suo intervento ha fatto spesso riferimento al trattato di Losanna, che cancellò l’esistenza del Kurdistan. La donna ha ricordato che tra meno di due mesi saranno trascorsi 100 anni dalla sua firma e ha invitato alla resistenza in vista di questa data.

“Non siamo qui in nome di uno stato, siamo qui per l’avanguardia del confederalismo democratico”, ha concluso. “Il fascismo, il colonialismo, e tutti gli aerei non potranno mai uccidere la nostra determinazione.” ha esordito nel suo discorso un rappresentante dell’Amministrazione Autonoma. “Alle forze internazionali, Usa e Russia, diciamo: siete responsabili di questo massacro”.

Alla fine dei discorsi, l’intero corteo funebre si è diretto all’interno del cimitero dove centinaia di persone, con la pala o con le proprie mani, hanno scavato le fosse nelle quali sono stati sepolti i martiri.

Per quanto riguarda la situazione sul campo, già nelle ore successive ai massicci bombardamenti tra il 19 e il 20 novembre, l’esercito turco ha ripreso i bombardamenti, mirati soprattutto nelle zone di Amude e Kobane. Al momento non si registrano tuttavia altre operazioni su larga scala o lungo tutto il confine. Durante tutta la notte tra il 21 e il 22 novembre, la Turchia ha colpito con artiglieria pesante le zone limitrofe a Kobane.

In risposta a questi attacchi, le Forze di protezione popolare hanno annunciato l’uccisione di 5 soldati delle forze di occupazione turche, durante una contro-offensiva sul confine tra Siria e Turchia nei cantoni occupati da Ankara.

La gioventù curda invece, a Raqqa, ha lanciato pietre contro una base militare russa per sottolineare il supporto e l’approvazione della Russia negli attacchi portati avanti dallo Stato Turco.

Intanto il presidente turco Erdogan ha dichiarato che l’operazione “Spada d’artiglio non si limiterà ai bombardamenti aerei”, ma paventa anche l’implicazione di truppe di terra. Ha inoltre aggiunto che “l’attacco è stato portato avanti senza chiedere il permesso a Stati Uniti e Russia”.

A rendere però evidenti i legami economici e militari tra questi paesi e la Turchia di Erdogan, nelle zone bombardate di Kobane sono state rinvenute le etichette delle bombe, costruite dall’azienda Usa BOEING. Ricordiamo a tal proposito, che non è da sottovalutare nemmeno l’apporto, in termini di fornitura di armi alla Turchia, dello Stato Italiano tramite aziende come la Leonardo-Finmeccanica.

Intanto, entro i confini turchi, il governo islamista e ultraconservatore a guida Akp-Mhp continua ad attraversare una profonda crisi di consenso interno e in molti non credono alla montatura architettata per addossare la colpa dell’attentato di Istanbul al movimento di liberazione curdo per giustificare questi nuovi attacchi in Siria del nord e nel Kurdistan iracheno. A questo proposito, Feleknas Uca e Hişyar Özsoy, i copresidenti dell’Hdp, il partito democratico dei popoli curdo-turco, presente come forza politica all’interno del parlamento di Ankara, chiedono “alla comunità internazionale di non tacere davanti agli attacchi turchi”: in un comunicato denunciano come “la Turchia, che è membro della NATO e del Consiglio d’Europa, sta usando lo spazio aereo controllato dalla Russia per attaccare i curdi di Kobanê e di molte altre città, che hanno sconfitto l’ISIS con molti sacrifici nel 2014 e da allora continuano la loro lotta.

Finora la Turchia ha organizzato impunemente questi attacchi contro i curdi nel nord della Siria. È interessante notare che questa volta anche il regime siriano non ha sollevato alcuna forte obiezione”.

La corrispondenza di inviate e inviati di Radio Onda d’Urto in Siria del Nord e dell’Est. Ascolta o scarica

Ascolta la trasmissione con gli interventi dal Rojava dei corrispondenti di Radio Onda d’Urto tra cui un redattore della nostra emittente; sulla repressione in Iran l’aggiornamento con Samira dell’Associazione Giovani Iraniani Residenti in Italia; la situazione è stata discussa nell’assemblea nazionale della Rete Kurdistan che si è tenuta a Bologna presso il TPO, ci fa un resoconto Orkan Ylmaz dell’ Ufficio Informazione Kurdistan-Italia; sulla situazione generale nell’area l’analisi geopolitica di Giuseppe Acconcia ricercatore universitario autore del libro Grande Iran Ascolta o scarica