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Curdi e Palestinesi vittime predestinate?

Curdi e Palestinesi, Palestinesi e Curdi…popoli oppressi, vittime predestinate quasi intercambiabili.

di Gianni Sartori

Non passa giorno senza che altri morti si aggiungano alla lista infinita. Nelle carceri, per le strade, sulle montagne… fucilati, massacrati, soffocati dai gas tossici, bombardati, spinti a immolarsi per la disperazione…

E c’è ancora chi si ostina a sostenerne uno dimenticando l’altro (o anche peggio: ricordiamoci di quanto scrivevano sui curdi certi “campisti” non tanto tempo fa).

3 NOVEMBRE: ALTRI SEI MORTI IN PALESTINA

Nel pomeriggio del 3 novembre ingenti forze militari israeliane sono penetrate nel campo profughi di Jenin e posto sotto assedio un’abitazione innescando scontri con la popolazione. Alla manifestazione di protesta i soldati rispondevano sparando (“fuego real”) uccidendo sei persone.

Il ventinovenne Farouk Jamil Salameh, poi deceduto, era stato trasportato all’ospedale gravemente ferito all’addome, al petto e alla testa. Così come spirava a causa delle ferite inferte da pallottole reali il quattordicenne Mohammed Samer Khlouf originario di Burqin.

Nella stessa circostanza almeno quattro palestinesi sono stati ricoverati all’ospedale, mentre altri due (A’amer Bader Halabiyadi 20 anni e Daoud Rayyan di 42) venivano ammazzati nelle ore successive.

Il giorno prima Abdul Hafiz Yousef Rayyan di 54 anni era stato ucciso nei pressi di un posto di blocco all’entrata di Beit Ur non lontano da Ramallah. Non si conoscono invece ancora le generalità di una sesta vittima palestinese.

Naturalmente quando si calcola il numero dei morti, una macabra contabilità, si dovrebbe tener conto anche di coloro che muoiono in seguito, a diversi giorni di distanza.

Per esempio il sedicenne Mohamed Nuri, rimasto ferito allo stomaco negli scontri diAl Bireh (periferia di Ramallah) era deceduto alla fine di ottobre dopo un mese di sofferenze.

Ancora alla fine di ottobre cadeva sotto i colpi dell’esercito israeliano Udai Tamini ( 22 anni) proveniente dal campo profughi diShuafat (a Gerusalemme), in fuga da una decina di giorni e accusato della morte di un soldato israeliano in uno scontro a fuoco presso un posto di blocco. E sempre a Gerusalemme un altro sedicenne era stato gravemente ferito nel quartiere sotto occupazione israeliana di Sheikh Jarrah.

Invece Rabi Arafah Rabi (32 anni), ferito alla testa a un posto di blocco nella città di Qalqilia in Cisgiordania, era deceduto dopo qualche ora all’ospedale di Darwish Nazzal.

E ancora: i sei palestinesi uccisi sempre nell’ultima settimana di ottobre (cinque a Nablus e uno a Nabi Saleh) a seguito dell’operazione contro un laboratorio per la fabbricazione di ordigni controllato dal gruppo “La tana dei leoni”. Soltanto due delle vittime sarebbero stati membri del gruppo, fino ad allora semisconosciuto, mentre gli altri erano manifestanti che avevano incendiato pneumatici e lanciato pietre contro i soldati israeliani. Oltre una ventina i feriti accertati.

26 OTTOBRE: 17 CURDI AMMAZZATI NEL ROJHILAT

In base ai dati forniti da Hengaw (organizzazione iraniana per i diritti umani) almeno 17 giovani curdi sono caduti sotto i colpi della repressione di Teheran nel 40° giorno (26 ottobre) dalla morte di Jîna Mahsa Amini. Come avviene per tradizione, nel cimitero di Seqiz dove era stata sepolta si organizzava una cerimonia in sua memoria.

Nonostante la ferrea presenza della polizia qui si radunavano migliaia di persone, ma la loro protesta veniva duramente repressa. Ugualmente la polizia interveniva a reprimere altre manifestazioni in ricordo della giovane curda in varie località sia del Rojhilat (il Kurdistan sotto amministrazione iraniana) che dell’Iran.

Hengaw riportava il numero di sei vittime a Mahabad, cinque a Sanandaj, tre a Baneh e altre tre a Kasrişirin e Piranşehir.

Tra di loro almeno tre donne e tre minorenni. Due sono morte asfissiate dai gas lacrimogeni, mentre una donna è deceduta per emorragia cerebrale a causa delle manganellate). Gli altri, si presume, uccisi da colpi di arma da fuoco.

BASHUR: ANKARA CONTRO LA POPOLAZIONE YAZIDA

Nel Bashur (il Kurdistan posto entro i confini iracheni) si regista l’ennesimo attacco (il quarto in una settimana) da parte della Turchia ai danni della popolazione yazida. Un drone ha colpito delle auto nella regione di Shengal (nord-est dell’Irak). Non sono ancora disponibili dati precisi, ma sicuramente vi sono stati diversi feriti. Prosegue quindi l’implacabile politica del governo turco che vorrebbe scacciare i curdi yazidi da questo territorio, praticamente l’ultimo rimasto a sua disposizione. In precedenza, il 1 novembre, un altro drone turco aveva sferrato un attacco contro la località di Qubeya Hesin Meman (sempre a Shengal), storicamentemeta di pellegrinaggi. Altri due attacchi venivano segnalati alla fine della scorsa settimana, uno contro un’abitazione della regione autonoma di Xanesor (Khanasor) e un altro ai danni di un’auto nel villaggio di Cidalê (Jaddala).

Shengal viene sistematicamente colpita dagli aerei e dai droni turchi fin dal 20217 con il pretesto di eliminare la guerriglia curda del PKK. In realtà la maggior parte degli obiettivi sono esponenti e istituzioni del Consiglio autonomo democratico di Shengal (MXDŞ) e le milizie di autodifesa YBŞ/YJŞ.

BAKUR: ANCORA VITTIME NELLE CARCERI

Le informazioni sono ancora incomplete, ma quello che è certo è che un altro prigioniero politico curdo si è immolato nel carcere di massima sicurezza di Ereğli (provincia di Konya, Anatolia centrale). Originario del Kurdistan “iraniano”, Yakup Brukanli (in isolamento totale dal 23 agosto) intendeva protestare contro le disumane condizioni in cui versava.

Gravemente ferito (secondo quanto riportato da un altro detenuto, Ibrahim Sütcü, con una telefonata alla famiglia) al momento Yakup sarebbe stato trasportato in ospedale.

Da circa dieci giorni una quarantina di prigionieri politici rinchiusi nelle celle di isolamento del carcere di Ereğli sono in sciopero della fame per protesta.

Comments ( 3 )

  • Gianni Sartori

    SEMPRE IN TEMA DI COLONIZZAZIONI, QUASI UNA RECENSIONE

    Gianni Sartori

    Confesso in anticipo. Non ho ancora letto “Landness. Una storia geoanarchica”. Solo una recensione apparsa su “la lettura”.
    Quindi questa non è altro che la “recensione di una recensione”. Quando – e se – avrò analizzato anche il testo vero e proprio ne riparleremo. Eventualmente.
    Ma mi basta e avanza per qualche osservazione. Intanto sul titolo, forse pretenzioso e fondato, credo, solo sul fatto che tratta di due insigni geografi anarchici, Eliseo Reclus e Petr Kropotkin.
    Quest’ultimo arbitrariamente definito “inviso a zar e sovietici” (qui quasi equiparati, ma si può?). Caso mai si dovrebbe parlare di “bolscevichi” in quanto nessuno nella Russia rivoluzionaria era più “sovietico” (nel senso originario di consiliare) degli anarchici. Basta pensare a Kronstadt e alla machnovščina.
    Senza dimenticare che Lenin nutriva un profondo rispetto per l’illustre libertario e lo incontrò in varie occasioni. Raccogliendo in parte le sue richieste di scarcerazione per alcuni anarchici arrestati (non tutti purtroppo) e consentendo poi a quelli rinchiusi di partecipare ai funerali del Kropotkin stesso. Ne parlava Victor Serge (l’unico bolscevico a cui gli anarchici consentirono di partecipare) ricordando come, sempre purtroppo, molti dopo la cerimonia funebre dovessero rientrare in galera.
    Ma, appunto, si trattava di una responsabilità bolscevica, non dei sacrosanti principi sovietici (ripeto, nel senso di consiliari).
    E credo esista ancora un museo dedicato a Kropotkin e risalente appunto agli anni venti.
    Fosse stato solo per questo non avrei perso tempo a scriverne. Ma nella recensione di Danilo Zagaria c’è di più (e a mio avviso di peggio).
    Parte (e conclude) rievocando la discutibile impresa del colonialista James Cook che grazie al contributo di un nativo (forse suo malgrado e con il senno di poi definibile “collaborazionista”) arrivò a “scoprire” Australia e Nuova Zelanda. Tupaia, questo il nome dell’ingenuo indigeno, era presumibilmente uno sciamano che per l’esploratore realizzò una mappa dettagliata (traduzione grafica della sua “mappa mentale”) dei percorsi tradizionalmente utilizzati dagli abitanti dell’Oceania. Con l’indicazione della distanza tra la miriade di isole e isolette indicata non in miglia, ma in giorni. Quelli necessari (la distanza temporale) per la navigazione e tramandati di generazione in generazione attraverso i canti religiosi. Di tutto questo Cook seppe appropriarsene aprendo la strada alla colonizzazione europea e all’oppressione dei nativi. Talvolta al vero e proprio genocidio come nel caso degli aborigeni australiani. Un’impresa assai discutibile.
    Tracciarne l’elogio (cito testuale: “Resta da capire se sapremo fare come Cook “: madonna, speriamo di no!) mi sembra ben poco “anarchico”.
    Almeno per come la vedo io.
    Gianni Sartori

  • Andrea Vannini

    Non é possibile confondere palestinesi e curdi. La massima solidarietà verso il popolo palestinese vittima dell’imperialismo sionista e usa. Nessuna solidarietà, non piu’, a chi come i curdi siriani (e irakeni) hanno finito per essere dei mercenari degli imperialisti usa, dei ladri di petrolio e grano siriano, degli assassini che terrorizzano la popolazione e occupano, perlopiù territori che kurdi non sono. Oggi i kurdi sono assai piu’ paragonabili a quegli oppositori iraniani servi dell’imperialismo usa per il quale operano da sicari e terroristi.