Da Genova a oggi: "Dodici anni di repressione contro i movimenti sociali"
Dodici anni fa l’omicidio di Carlo Giuliani. In piazza Alimonda il ritorno dei “reduci”
Sono loro ad accoglierti in Piazza Alimonda. C’è l’energia di Elena, il sorriso di Haidi e la forza di Giuliano in piazza Alimonda. Come ogni anno da dodici anni sono loro, insieme al Comitato Piazza Carlo Giuliani, al Comitato Verità e Giustizia per Genova e all’Osservatorio sulla Repressione a far rivivere questa piazza, dove è stato ammazzato Carlo, e a compiere il grande sforzo di far rimanere viva la memoria delle giornate del luglio 2001.
Si respira un clima carico di affetto oggi in piazza Alimonda. E’ innanzitutto un abbraccio collettivo ad Haidi, Giuliano ed Elena: alla famiglia Giuliani. Ci sono i volti di chi dodici anni fa aveva vent’anni e quelle erano le loro prime manifestazioni (a Napoli, Genova, Firenze), c’è chi ha attraversato diverse epoche di mobilitazione sociale e chi dodici anni fa era troppo piccolo per essere stato al G8. Per tutti, quel luglio del 2001 ha rappresentato uno spartiacque che delimita precisamente un prima e un dopo. E oggi sono tutti qui perché dimenticare è impossibile, perché in quella piazza ognuno di loro ha perso un po’ di innocenza e speranza.
Sul palco si alternano parole e musica. Quante canzoni sono state scritte per Carlo e per Genova? Molte, moltissime. Tutte servono a stringersi per cantarle forte. Ognuna riporta un pezzo di verità e di vita. La piazza piange sulle parole di Don Andrea Gallo pronunciate durante la commemorazione del decennale, due anni fa. Don Andrea è il grande assente di quest’anno, non era mai mancato fino ad oggi. Risuonano le sue parole dedicate ad un movimento definito “No Global” ma che è stato il più globale di tutti. Per una globalizzazione dei diritti, ovunque. Dal Messico all’India, passando per l’Italia.
Quando Giuliano sale sul palco Heidi e Elena Giuliani sono nell’aiuola, a pochi metri da dove giaceva il corpo di Carlo. Strette dall’affetto di centinaia di persone dagli accenti diversi, hanno sollevato una bandiera della pace che celava un ceppo commemorativo “Carlo Giuliani, ragazzo”. Sostituisce una targa apposta nel 2011, numerose volte vandalizzata ed infine spezzata. Un ceppo nuovo e molto più resistente che è stato donato alla famiglia Giuliani da artigiani del marmo di Carrara.
E poi ancora musica e parole. Come quelle di Italo Di Sabato, dell’Osservatorio sulla Repressione, che ricorda come da Genova in poi le strategie repressive nei confronti dei movimenti sociali nel nostro Paese si sono addirittura inasprite. C’è apprensione per gli arresti avvenuti nella notte in Val di Susa e il pensiero è sempre ai dieci manifestanti condannati a pene pesantissime per i giorni infuocati di Genova.
Il venerdì, in una partecipata assemblea, l’Osservatorio ha lanciato la campagna nazionale per l’amnistia dei reati sociali e la domenica, dopo un torneo di calcetto, le strade di Genova sono state attraversate da una fiaccolata che si snoderà da Piazza Alimonda alla Scuola Diaz. Una fiaccolata alla quale hanno partecipato anche attivisti stranieri, che hanno vissuto la terribile mattanza dentro il dormitorio e che sono tornati lì dentro per la prima volta, ad affrontare le loro paure e i ricordi dolorosi che li hanno segnati.
Si riparte da Genova con la consapevolezza che anche quest’anno, come il prossimo e come i successivi, è importante tornare in quella Piazza. Non solo perché rimane una ferita aperta del nostro Paese, ma perché quei giorni hanno cambiato una generazione intera.
Ho incontrato Italo Di Sabato, con cui abbiamo a lungo dialogato su Carlo, i movimenti sociali in Italia e la repressione.
Abbiamo presentato il Manifesto per l’Amnistia Sociale che è frutto di un lavoro tra varie soggettività sociali di movimento e a cui l’Osservatorio ha fornito una serie di dati. Noi contiamo che, da Genova ad oggi, ci siano più di 17mila procedimenti penali in corso contro i movimenti sociali. Dalle lotte sindacali a quelle per le occupazioni di case, dalle battaglie degli studenti a quelle dei precari. Crediamo che ormai sia un disegno ben costituito quello di far sì che tutte le lotte sociali diventino un problema di ordine pubblico: manganellate in piazza e a seguire denunce, decreti di condanna penale, fogli di via. E’ dunque necessario avviare una campagna politica che sappia fungere anche da contraltare a quello che in questi giorni stanno portando all’approvazione del Parlamento, dove oggi è in discussione una proposta di legge che prevede l’arresto in caso di contestazioni in pubbliche manifestazioni, una proposta di legge bipartisan Pd-Pdl per equiparare il blocco stradale al sequestro di persona, un disegno di legge che prevede di aumentare le pene in caso di occupazione di stabili per uso abitativo. Noi crediamo che ci sia un disegno ben preciso per reprimere preventivamente qualsiasi forma di conflitto sociale oggi dentro la crisi. Dunque pensiamo sia necessario avviare una campagna politica che rimetta al centro la libertà di movimento e quindi un’amnistia politica e sociale che possa aiutare chi oggi è denunciato e chi purtroppo è già dentro le patrie galere. Basti ricordare i condannati per Genova 2001 che sono stati condannati a pene superiori ai dieci anni di carcere per devastazione e saccheggio e ai condannati per il 15 ottobre 2011. Crediamo non sia più il momento di girare la testa dall’altra parte, oggi la politica si deve confrontare anche su questi temi e anche il Parlamento deve iniziare a prendere atto che il disagio sociale che oggi c’è nel Paese, che deve fare i conti anche con l’assenza di una “sinistra politica” e con un sindacato che non fa il proprio dovere. La politica si deve rendere conto che ci saranno altri momenti di tensione sociale. E’ un problema sociale, non di ordine pubblico.
C’è in programma la campagna, ma anche una mappatura dei procedimenti penali a carico di attivisti.
In quest’ultimo periodo, nel rispolverare il Codice Rocco, oltre che dare “devastazione e saccheggio” a qualsiasi manifestazione in cui c’è una semplice vetrina rotta, sta emergendo sempre di più la pratica di infiggere condanne di decreto penale pesanti, come è successo qualche settimana fa agli operai della Thyssenkrupp a Terni. Oggi non c’è più neanche la politica del bastone e della carota, c’è solo la politica del manganello. Tutti i movimenti su questo devono ritrovare anche il senso dell’unità, intorno alle politiche repressive del governo e non solo. Anche negli accordi europei, basti pensare che nel Trattato di Lisbona, è previsto l’arresto preventivo, che già è stato sperimentato nelle manifestazioni di Francoforte e Bruxelles.
I processi a carico dei manifestanti per Genova sono tutti conclusi?
Anche se tra qualche settimana si riaprirà in Cassazione il processo in appello di cinque condannati, di fatto si sono conclusi con la condanna per dieci persone che pagano per tutto. E la totale assoluzione delle forze dell’ordine.
Qual è il significato del lancio di questa campagna proprio a Genova?
Genova per molti di noi rappresenta un luogo e una data simbolica. Eravamo qui dodici anni fa, abbiamo visto con i nostri occhi e patito sui nostri corpi quelle che sono state le torture, le violenze, le vessazioni da parte del potere. Dopo Genova in questo Paese si è tracciata anche una linea per colpa della quale abbiamo avuto a che fare con una politica e un Parlamento totalmente impermeabili di fronte alle richieste sociali. L’unica risposta che hanno dato è stata una bieca e cieca repressione. Dobbiamo reagire. I movimenti sociali francesi, per esempio, dopo la loro stagione di lotta, sono riusciti a proporre al Parlamento una proposta di legge di amnistia sociale che qualche settimana fa è stata approvata in Senato, e che ora sarà al vaglio della Camera.
Di Sara Vegni da newstown
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