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Dal Canada all’Australia: repressione per i manifestanti pro-palestina

Le manifestazioni pro-Palestina impedite, “evacuate” o direttamente represse nel mese di maggio.  Per rendere l’idea di quanto gli eventi di Gaza stiano incidendo (oltre che nei corpi feriti e violati delle innumerevoli vittime) sulle coscienze dell’opinione pubblica a livello planetario.

di Gianni Sartori

Il 23 maggio, in Belgio, la polizia poneva termine forzatamente, su richiesta del rettorato, all’occupazione dell’Università di Gand (UGent). Oltre trecento studenti occupavano dal 6 maggio l’edificio UFO e i dintorni del rettorato chiedendo la sospensione (“un boicottaggio generale”) dei rapporti accademici con Israele. Allontanati forzatamente dopo che si erano rifiutati di farlo spontaneamente, almeno una decina risultavano fermati nel corso dello sgombero.

Stando ai comunicati degli occupanti, l’UGent manterrebbe una ventina di collaborazioni con università e istituti di ricerca israeliani. In precedenza, “sollecitata” dai militanti pro-Palestina, l’Università di Gand aveva (avrebbe?) posto fine a tre collaborazioni con istituzioni israeliane coinvolte nel conflitto in corso.

In Canada, il 20 maggio, la polizia di Montreal reprimeva con fermezza (manganellate, gas lacrimogeni…ricordiamo che in Canada, in passato almeno, si faceva uso abbondante dei CS) un corteo di studenti provenienti dalla tendopoli pro-Palestina dell’università UQAM (da notare tra le tende gli striscioni soprattutto in francese, siamo nel Québec). I manifestanti avevano tentato di bloccare, se pur per breve tempo, un incrocio lungo viale Kennedy e un’altra strada nei pressi del quartier generale della polizia di Montreal.

La richiesta di smantellare gli accampamenti, oltre che all’UQAM anche all’Università McGill, proveniva direttamente dal Ministero dell’Istruzione.

Il 17 maggio la polizia di Filadelfia fermava 19 manifestanti (tra cui sette studenti) filo-palestinesi nel corso di una manifestazione serale all’Università di Pennsylvania.

Numerosi militanti erano penetrati nella Fisher-Bennett Hall per occuparla barricandosi all’interno.

Mentre alcuni (una dozzina) venivano solo denunciati e poi rilasciati per essersi rifiutati di obbedire all’ordine di disperdersi, altri sette a distanza di alcuni giorni restavano ancora in stato di fermo (almeno uno per “aggressione contro la polizia”).

Nel corso dell’operazione la polizia avrebbe recuperato utensili per lo scassinamento delle serrature e scudi metallici ricavati da bidoni.

Alcune porte (in particolare quelle dei dipartimenti di inglese, di musica e di cinematografia) erano state bloccate con barricate improvvisate. La settimana precedente l’Università aveva fatto evacuare un altro accampamento al College Green.

Il 18 maggio a New-York una dozzina di manifestanti erano stati arrestati nel corso di scontri con la polizia a Brooklyn.

Stando alla ricostruzione dei partecipanti, in seguito la polizia sarebbe stata respinta dalla folla nell’area di Bay Ridge. Alla fine gli arresti effettuati risultavano una quarantina.

Contemporaneamente in Australia, a Melbourne, sei persone (tutti manifestanti pro-Palestina) venivano fermate a seguito del dissidio tra i partecipanti a una iniziativa del gruppo cristiano Christian Embassy Jerusalem (definito dagli avversari “sionista”, ma ufficialmente in piazza “contro l’antisemitismo”) e i solidali con il popolo palestinese.

Negli Stati Uniti, il 16 maggio centinaia di membri della polizia attaccavano l’accampamento filo-palestinese all’UCLA (University of California, Los Angeles). Le tende sorgevano tra l’auditorium della Royce Hall e la biblioteca.

Il giorno prima i corsi erano stati annullati a seguito di una assalto alla tendopoli da parte di un gruppo (presumibilmente filo-israeliano) armato di mazze da baseball, spray al peperoncino e petardi. Dopo gli scontri, durati oltre tre ore, poliziotti in tenuta anti-sommossa erano penetrati nel campo.

Circa 500 persone si erano trincerate nell’accampamento, mentre oltre duemila si riunivano all’esterno allestendo barricate. I membri della California Highway Patrol, attrezzati con scudi e manganelli, avevano atteso per ore ai margini del campo prima di entrare e arrestare coloro che si rifiutavano di evacuare.

Quasi contemporaneamente, nei giorni della commemorazione della Nakba del 1948, in Scozia veniva bloccata la fabbrica di armamenti Thales à Govan (non lontano da Glasgow). I manifestanti chiedevano la sospensione dell’esportazione di armi verso Israele.

L’azienda produce il drone Watchkeeper, in collaborazione con la società di armamenti israeliana Elbit Systems.

Dopo cinque-sei ore di blocco, veniva reso noto che un piccolo numero di dipendenti dell’azienda (quelli del turno di notte) erano rimasti chiusi nell’edificio. Dai manifestanti veniva consentita la loro evacuazione, ma non la sostituzione con altri lavoratori che avrebbero dovuto rimpiazzarli.

Da qui l’intervento della polizia che aveva spezzato il blocco portando via di peso alcuni dissidenti. Nei tafferugli scoppiati per impedire il fermo di un militante risultavano contusi sei poliziotti mentre quattro manifestanti venivano arrestati.

Il 6 maggio toccava al presidio pro-Palestina dell’Università di Amsterdam (UvA, Paesi Bassi) venire sloggiato (non avendo adempiuto alla richiesta in tal senso del rettorato). Per demolire le barricate erette dagli studenti la polizia aveva impiegato anche alcuni macchinari da costruzione.

Il 5 maggio un comunicato di associazioni filo-palestinesi statunitensi quantificava in oltre duemila il numero delle persone fino ad allora arrestate per le manifestazioni e occupazioni nelle università degli USA.

Almeno 25 durante lo sgombero all’Università di Virginia (UVA) alla vigilia della cerimonia di consegna dei diplomi.

Nonostante fino ad allora le iniziative pro-Palestina a Charlottesville fossero state sostanzialmente pacifiche, Il 4 maggio la polizia antisommossa aveva assaltato l’accampamento ammanettando diversi partecipanti e facendo ampio uso di spray chimici.

Nello stesso giorno venivano arrestate dozzine di persone per “intrusione criminale” all’Istituto d’Arte di Chicago.

Sempre il 4 maggio in quel di Ann Arbor, venivano disturbate dai filo palestinesi le cerimonie di consegna dei diplomi all’Università del Michigan.

Due giorni prima all’Università del Mississippi (Ole Miss) si era sfiorato lo scontro diretto  tra filopalestinesi e non meglio individuati gruppi “nazionalisti e razzisti”.

Se oltre oceano le cose procedono in maniera convulsa, non va certo meglio sul vecchio continente. In Francia per esempio.

Ai primi di maggio il membro dell’Università di Glasgow, Dr Ghassan Abu Sittah, dopo aver trascorso 43 giorni a Gaza, curando i feriti nell’ospedale al-Chifa, avrebbe dovuto partecipare ad un incontro in Senato, organizzato dalla senatrice Raymonde Poncet Monge (ecologista) per raccontare la sua esperienza. Ma ha dovuto immediatamente ripartire dall’aeroporto di Roissy e tornare a Londra senza aver potuto entrare in Francia per un “foglio di divieto dello spazio Schengen” emesso dalla Germania. In aprile gli era stato ugualmente impedito di entrare in Germania, così come era capitato all’ex ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis. Entrambi avrebbero dovuto prendere parte a un “Congresso palestinese” organizzato a Berlino. Ufficialmente allontanati per “impedire ogni genere di propaganda antisemita e anti-israeliana”.

Sempre il 2 maggio e sempre nell’Esagono, la direzione di Science Po Paris (dove studiano circa seimila studenti) aveva annunciato la chiusura della maggior parte delle aule invitando studenti e dipendenti dell’università al teleworrking (pardon, télétravail: i francesi ci tengono, diciamo telelavoro allora).

Questo dopo un dibattito interno sul Medio Oriente svoltosi nella mattinata e giudicato “deludente e inconcludente” (in quanto gli studenti riuniti nel Comité Palestine avevano colto l’occasione per chiedere la sospensione delle collaborazioni con altri università ritenute coinvolte nell’industria degli armamenti).

Per protesta gli studenti avevano organizzato un sit-in e in sei avevano iniziato lo sciopero della fame. Il 3 maggio, al mattino, la polizia irrompeva nella sede di rue Saint-Guillaume mentre un centinaio di studenti si radunava in strada per solidarizzare con quelli all’interno (una novantina) in breve tempo costretti a lasciare i locali.

Ovviamente non poteva mancare il richiamo agli eventi di Gaza nella giornata del Primo Maggio. Restando in Francia, manifestazioni molto dure (anche con scontri e arresti) si erano volte, oltre che a Parigi e a Lione, soprattutto in Bretagna. A Rennes e a Nantes si son potute vedere molte bandiere palestinesi sfilare accanto a quelle bretoni (la gwenn ha du).

In precedenza (il 29 aprile) centinaia di studenti della Sorbona avevano piantato le loro tende all’interno dell’edificio universitario (in sintonia con quelli operativi da oltre una settimana di Science Po Paris). Alquanto celere l’intervento della polizia intervenuta per allontanarli.

Stando al comunicato dell’Università Paris 1-Panthéon Sorbonne, la prestigiosa istituzione sarebbe rimasta completamente chiusa (inaccessibile) fino a nuova decisione del Rettorato.

 

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