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Dal Gesù di Nazareth al Gesù di Lucerna

È pericoloso credere che un’intelligenza artificiale si stia davvero occupando di noi, al di là che l’ologramma parlante sia quello di Gesù, Maometto, Bakunin o della buonanima di mia mamma

di Marco Sommariva

Forse qualcuno di voi ricorderà quando, nell’agosto del 2023, fu pubblicata la notizia che una nuova applicazione alimentata dall’intelligenza artificiale ChatGpt, la Text With Jesus, prometteva conversazioni illuminanti con Gesù Cristo e “una moltitudine di altre figure venerate della Bibbia”; per coloro ai quali, all’epoca, la notizia fosse sfuggita o non la ricordassero con precisione, rammento che a soli 2,99 dollari al mese, l’app offriva la possibilità di chattare anche con quasi tutti i discepoli di Gesù, oltre a figure dell’Antico Testamento come Adamo ed Eva – persino Satana era incluso nel prezzo.

I giornali parlavano di un’applicazione che rispondeva alle domande con un approccio meno rigido rispetto ad alcuni precetti religiosi; per esempio, alla domanda sull’omosessualità Gesù rispondeva affermando che la Bibbia “menziona le relazioni omosessuali in pochi passaggi”, ma che “le interpretazioni di questi passaggi possono variare tra gli individui e le tradizioni religiose”. Ovviamente, Satana no, il diavolo rispondeva citando versetti biblici dove “gli atti omosessuali [sono] considerati peccaminosi”.

Veniamo all’oggi.

Ho letto su Il Fatto Quotidiano  che un volto di Gesù generato dall’Intelligenza Artificiale accoglie i fedeli in un confessionale della chiesa di San Pietro a Lucerna, in Svizzera.

L’esperimento, perché di questo si tratta, ha suscitato un acceso dibattito sul ruolo dell’Intelligenza Artificiale in ambito religioso; il teologo Marco Schmid, ideatore di questo progetto denominato Deus in Machina, ha spiegato che si vuole “dare alle persone un’opportunità tangibile per confrontarsi con l’Intelligenza Artificiale e avviare una discussione significativa sul suo possibile utilizzo nella fede” e che “le risposte fornite finora dall’IA sono in linea con la nostra comprensione teologica”.

Ovviamente, il confessionale non prevede la sola presenza di un viso di Gesù, ma un suo volto animato posizionato dietro una grata, sincronizzato con le risposte generate dall’IA, frutto di un Sistema sviluppato da informatici e teologi dell’Università di Scienze Applicate di Lucerna: dopo aver attivato il confessionale premendo un pulsante, i fedeli possono parlare al Sistema e ricevere consigli spirituali o confessare i propri peccati.

Secondo i creatori, l’obiettivo non è sostituire le pratiche religiose tradizionali, ma creare un’opportunità per riflettere sull’uso della tecnologia nella fede.

Intanto, il teologo Peter Kirchschläger si è detto critico: “Le macchine non possiedono la bussola morale necessaria per praticare la religione. Questo è un ambito in cui gli esseri umani sono nettamente superiori, e dovremmo occuparcene noi stessi”.

Sull’IA qualcosa ha detto anche papa Francesco alla plenaria del Dicastero per la cultura e l’educazione: “Un ambito particolarmente rilevante che determina il cambiamento epocale è quello degli enormi salti che si stanno verificando nello sviluppo scientifico e nelle innovazioni tecnologiche. Non possiamo ignorare oggi l’avvento della transizione digitale e dell’intelligenza artificiale, con tutte le sue conseguenze. Questo fenomeno ci pone davanti a domande cruciali. […] Chiedo ai centri di ricerca delle nostre Università che si impegnino a studiare l’attuale rivoluzione in corso, facendo luce sui vantaggi e sui pericoli”.

Come fa notare Luca Peyron in un suo articolo pubblicato dal quotidiano Avvenire, il fatto che i fedeli possano condividere le proprie preoccupazioni ricevendo risposte da un Gesù digitale, è un caso emblematico perché non è una start up ma una parrocchia cattolica a proporre un software che simula ed elabora conversazioni umane scritte o parlate, consentendo agli utenti d’interagire con i dispositivi digitali come se stessero comunicando con una persona reale, appunto.

Sperando d’aver capito bene, intendo che il presbitero e saggista Peyron sia in sintonia col teologo Kirchschläger specie quando scrive che “il dialogo non è solo informativo, ma anche performativo, ossia capace di trasformare interiormente una persona sul piano spirituale” e che “affinché un dialogo sia performativo, è indispensabile la presenza di un ‘altro’ reale e distinto da sé, una condizione che una macchina non può soddisfare, anche se si accettasse l’illusione che lo faccia”.

Nell’articolo pubblicato da Avvenire che invito a leggere, viene citato il sociologo statunitense Neil Postman e ricordato il suo avvertimento riguardo il fatto che “non esista tecnologia che non sia frutto di un compromesso e che non determini, nel suo uso o nella sua distribuzione, dei compromessi. […] Pensiamo al motore a scoppio e il mondo tossico che esso ha generato”.

Non che io abbia intenzione d’andarmi a confessare, almeno per il momento, ma condivido il timore di Peyron quando afferma che è pericoloso credere che qualcuno si stia occupando di noi, quando in realtà rimaniamo soli e, questo lo aggiungo io, al di là che l’ologramma parlante sia quello di Gesù, Maometto, Bakunin o della buonanima di mia mamma.

Così come condivido il dubbio se non ci renda meno umani delegare la ricerca interiore a una macchina, invece di promuovere in ciascuno la capacità di uscire dal proprio ego per incontrare l’altro o, per i credenti, un Altro.

E visto che è stato citato Neil Postman e si sta parlando di ologrammi, val la pena ricordare cosa scrisse il saggista americano in Divertirsi da morire: “Quello che la gente guarda e ama guardare sono immagini in movimento. Milioni di immagini di breve durata e con rapidi cambi di inquadratura. È nella natura del mezzo il fatto di sopprimere il contenuto delle idee per far posto all’interesse visivo, cioè per far posto a valori spettacolari”.

È questa una delle cose che più mi preoccupa oggigiorno, il “sopprimere il contenuto delle idee per far posto all’interesse visivo”; a proposito, avete mica letto l’articolo di Matteo Matzuzzi pubblicato su Il Foglio dello scorso sabato 14 dicembre?  Il giornalista ci mette al corrente che, durante la solenne riapertura della cattedrale di Notre-Dame distrutta dal rogo di cinque anni fa, migliaia di preti e decine di vescovi hanno sfilato in abiti griffati tra le navate restaurate: “[…] vestiti con paramenti nuovissimi, disegnati da stilisti di fama, dal gusto discutibile e dal colore liturgico ignoto: qualcuno ha scritto che pareva un prodotto sponsorizzato da Google Chrome (i colori sono i medesimi) altri che l’arcivescovo Laurent Ulrich sembrava la sintesi umana del cubo di Rubik”.

Siamo così presi dal bisogno d’immagini, di spettacolo, che arriviamo a questo: “Il direttore del Tg La7 Enrico Mentana riferisce della tragica esplosione nel deposito Eni di Calenzano in cui cinque persone hanno perso la vita. Peccato che le immagini del servizio riguardino invece l’esplosione di una stazione di servizio avvenuta in ottobre in Cecenia! E il servizio su questa tragedia sul lavoro confezionato dal Tg4? Usa le stesse riprese. E Studio Aperto e Tg5? Parlano di Calenzano ma mostrano la Cecenia…”.

Ammesso e non concesso sia stato detto, davvero esprimere il pensiero che da anni non si sta facendo nulla perché in Italia due, tre, quattro persone al giorno non muoiano più sul posto di lavoro, non era sufficiente ad attirare l’attenzione dello spettatore e si doveva supportare il tutto con immagini farlocche, tra l’altro col conseguente rischio che tutto perdesse credibilità? Davvero ci impegniamo a cercare riprese fasulle tralasciando di ricordare che sempre più spesso i morti sul lavoro sono frutto di quelle forme di risparmio attuate da chi mira a guadagnare sempre più soldi, ad accumulare capitale? E poco importa che questi “signori” siano dirigenti, azionisti o semplici capireparto: sono tutti personaggi che si sono accordati per un premio personale in denaro da riscuotere al raggiungimento di obiettivi che, la stragrande maggioranza delle volte, metterà in pericolo la vita chi neanche sa che queste gratifiche vengono regolarmente erogate ai propri superiori. Come? Risparmiando su materiali e attrezzature da utilizzare, sui Dispositivi di Protezione Individuale da indossare, sulle ore di lavoro da svolgere aumentando i ritmi e stressando così il dipendente, sia psicologicamente sia fisicamente, eccetera.

Ovviamente, i numeri che ho riportato sopra non sono inventati: 1.467 persone sono morte nel 2023 sul posto di lavoro in Italia di cui 482, quasi un terzo del totale, risultano decedute nel tragitto casa-lavoro e viceversa.

Leggo che con Divertirsi da morire, Neil Postman invita il lettore a prendere atto che la società contemporanea ha assunto connotati distopici.

E allora – ebbene sì, lo ammetto – non ho resistito e sono andato a curiosare fra le mie letture distopiche se, “per caso”, trovavo qualcosa che avesse attinenza con la possibilità di confessarsi con un’Intelligenza Artificiale, dei robot-confessori, dei confessionali portatili, “a computer” e, non ci crederete, anche stavolta la letteratura aveva previsto tutto.

È il 1960 quando nel romanzo Gli orrori di Omega, l’autore Robert Sheckley ci parla di robot-confessori che hanno l’incarico d’insegnare religione ai bambini e agli adulti, un automa che “ascolta i loro problemi ed è il loro amico costante e il loro istruttore religioso” e che, “essendo robot”, è “in grado di dare una risposta esatta a ogni domanda”. Una risposta che darà un robot-confessore sarà questa: “Per legge, il robot-confessore deve considerare solo le prove evidenti che gli vengono fornite. Nel dubbio, deve condannare. Infatti, la sola presenza di fronte a me di un individuo, fa presupporre che sia colpevole “. Semplice no?

Sei anni dopo verrà pubblicata da Einaudi una raccolta di racconti di Primo Levi, intitolata Storie naturali; in uno di questi racconti si parla della vendita di un confessore portatile approvato dalla Chiesa: “Mi aveva […] telefonato verso Ferragosto, per chiedermi se mi interessava un Turboconfessore: un modello portatile, rapido, assai richiesto in America ed approvato dal cardinale Spellman […]”.

Nel 1971, in THX 1138, Ben Bova ci parla di qualcosa che si discosta un po’ dall’argomento ma non tantissimo, ci racconta delle cabine di preghiera: “Vicino all’entrata della sotterranea c’era una cabina di preghiera. THX si guardò intorno, sentendosi quasi colpevole, poi vi entrò e chiuse la porta di plastica. Non si chiuse bene e la luce non si accese. Tirò più forte e alla fine la cabina si illuminò, mostrando la faccia affabile di OMM.

“Il mio tempo è il vostro. Vi ascolto” – disse una voce calda.

THX cercò di ricordare la preghiera giusta. Era da tanti anni che…

“Bene, dite pure” – disse la voce di OMM.

“Ecco, stamattina stavo per fare un errore in un trasferimento radioattivo. Non era mai successo. Non mi concentravo abbastanza. È da un po’ che…”

“Sì” – disse la voce ansiosa.

“Le cose si accumulano” – disse THX. – “Non capisco cosa mi succede. Sembra che le medicine non mi facciano più effetto”.

“Sì” – disse la voce, consapevole.

“E la mia compagna di stanza si comporta stranamente. Non posso spiegare, non so, forse sono io. Da un po’ non mi sento bene. Sono sempre nervoso, come se dovesse succedere qualcosa”.

“Sì” – disse la voce paziente.

“Non capisco. I sedativi… Prendo etracen ma non fa effetto. Fatico a concentrarmi. Perdonatemi, non posso…”

“Voi siete un vero credente. Benedizione dello Stato. Benedizione delle masse. Voi siete una creatura divina, creata a immagine dell’uomo dalle masse e per le masse. Ringraziamo di avere un’occupazione che ci riempie. Lavorate duro; aumentate la produzione; prevenite gli incendi; e siate felice”.

E infine un estratto del 1974, dal romanzo Roma senza papa di Guido Morselli, dove i personaggi hanno a che fare con un mondo in cui sono entrati in funzione i confessionali a computer: “George Wiener, elvetico di nascita e californiano di vocazione […], è il primo prete che abbia celebrato una messa alla distanza di almeno 380.000 chilometri da Roma. (Esattamente a Selenopolis, nei pressi di Thyco). È l’autore di un libro stravenduto, tradotto persino in malì, Technology of Faith, e di Gadgets and Sacramentals: dove si descriveva con quindici anni di anticipo il noto confessionale a computer, ora entrato in funzione a Los Angeles”.

Sarà la mia passione per la distopia, genere che troppo spesso ha visto lungo nel futuro dell’Umanità, ma ritengo che delegare la ricerca interiore a una macchina ci renderà meno umani e credo che, riguardo a questo, il nostro livello sia già così basso da non poter permetterci d’abbassarlo ulteriormente; se proprio dobbiamo ridurre qualcosa, guardiamo al nostro ego perché, per tanto grande e potente possa diventare, non riuscirà mai a soccorrerci quando apriremo gli occhi e ci renderemo conto che nessuno si sta occupando davvero di noi, che l’ologramma parlante è un’altra trovata per isolarci dall’altro, per impedirci di dialogare, confrontarci, crescere. E quando leggo che papa Francesco ha chiesto ai centri di ricerca di alcune Università d’impegnarsi a studiare l’attuale rivoluzione in corso, facendo luce sui vantaggi e sui pericoli temo che, prima o poi, qualcuno farà presente al capo della Chiesa quanto si potrà risparmiare sostituendo dei costosissimi preti – peraltro, uomini i cui umori vanno comunque gestiti con ulteriore spesa di tempo/denaro – con un banale chatbot che si può tranquillamente affittare con un pugno di dollari al mese.

Credo la teologia sia una delle tante materie per me incomprensibili, ma ho trovato conferma a una mia vecchia idea quando ho letto questo estratto dal libro Castità. La riconciliazione dei sensi, scritto dal vescovo Erik Varden: “Affermiamo ancora che Dio ‘si è fatto uomo’ […] proiettando un’immagine di ‘Dio’ che scaturisce dal nostro senso fisico di ciò che è l’uomo. Il risultato è caricaturale. Il divino è ridotto alla nostra misura. Il fatto che molti contemporanei rifiutino questo ‘Dio’ contraffatto è per molti aspetti indice del loro buon senso”.

Ecco, forse è proprio il buon senso a suggerirmi il finale di questo pezzo, di certo non ho alcuna intenzione d’esser blasfemo – giuro! – ma, rispetto alle intelligenze artificiali e a tantissime intelligenti naturali, come caricature in missione per conto di Dio continuo a preferire di gran lunga John Belushi e Dan Aykroyd nel film The Blues Brothers.

www.marcosommariva.com

 

 

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