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Dal mare al carcere: Confini senza fine

Progetto ‘Dal mare al carcere’, 1° Report trimestrale 2024. Un progetto di Arci Porco Rossoborderline-europe

1. Contesto e dati

Il 2024 procede lungo una traiettoria prevedibile: il governo Meloni professa a chiunque ascolti la chiusura dei confini e la criminalizzazione del favoreggiamento della libertà di movimento. Dopo gli accordi con la Tunisia, il lavoro sistematico di esternalizzazione delle frontiere del governo – parte del neo-coloniale “Piano Mattei” – si è concentrato sull’Egitto con la firma di un ulteriore accordo, questa volta in collaborazione con l’Unione Europea, per il valore di 7.4 miliardi di euro: il memorandum d’intesa più oneroso di sempre. Di questi fondi, 200 milioni saranno destinati anche al contrasto allo ‘smuggling’. Dunque, continuare a bloccare e punire il movimento di persone attraverso l’Egitto di Al-Sisi, noto per il suo carattere autoritario, omicidi e rapimenti politici, e da cui molti egiziani tentano la fuga, nonché il movimento delle persone in fuga dalla Palestina.

Gli sforzi del governo non finiscono qui: la sua caccia agli scafisti “per tutto il globo terraqueo” ha fatto approdare la Meloni anche alla Casa Bianca, con una proposta al presidente Democratico degli Stati Uniti di un’”alleanza mondiale contro i trafficanti di esseri umani” per “porre fine alle migrazioni illegali”, soprattutto in Africa, un’iniziativa di cui intende discutere più a fondo durante il G7 che si terrà in Puglia a giugno di quest’anno.

Ma qual è l’impatto reale di quella che definiscono una guerra globale contro i trafficanti? Guardiamo i numeri condivisi dalla rivista annuale Polizia Moderna, che ogni anno ci aggiorna sullo stato dei lavori delle forze dell’ordine: nel corso del 2023, affermano, sono stati emessi provvedimenti restrittivi contro “425 scafisti, trafficanti e favoreggiatori nell’ambito del contrasto all’immigrazione clandestina e alla tratta di esseri umani”. Nel nostro monitoraggio della cronaca e udienze, però, abbiamo contato solamente 177 fermi dopo gli sbarchi nel 2023. Ci sono veramente sfuggiti così tanti arresti?

L’anno scorso, riportando i fermi del 2022, Polizia Moderna ha scritto che nell’ambito del contrasto all’immigrazione irregolare e alla tratta avevano eseguito 147 provvedimenti restrittivi, e fermato 226 scafisti, per un totale di 373 persone (noi avevamo contato 264 fermi dalla cronaca). Quasi simultaneamente, il capo della direzione nazionale anticrimine (Dna) ha annunciato che nel 2022 erano stati arrestati 253 scafisti e 94 trafficanti, per un totale di 347 persone; poi, allinizio del 2024, il ministro degli interni ha annunciato che nel 2022 e 2023 sono stati arrestati “550 scafisti” in tutto – quindi si potrebbe assumere ca. 200 arresti nel 2023.

Oltre all’apparente incoerenza delle affermazioni, dovuta alle diverse categorizzazioni criminologiche a cui si allegano i numeri, notiamo una vaghezza nella nuova dicitura proposta da Polizia Moderna. Se questa categoria includesse essenzialmente tutte le persone accusate di art.12, nell’interpretazione che azzardiamo qui, includerebbe non solo attivistə europeə, e altre persone che hanno facilitato l’ingresso attraverso le frontiere terrestri o aeree, ma anche potenzialmente i casi di funzionari e poliziotti accusati di corruzione, più un numero indefinito di persone accusate di tratta, per cui diventa molto difficile dedurre un cambiamento nel numero dei fermi per i capitani specificamente. Questa vaghezza sembra risultare dalla volontà della Polizia di gonfiare i numeri davanti ad una realtà che dalle nostre osservazioni non sembra essere risultata in un notevole incremento degli arresti di capitani in Italia.

Tuttavia, come illustreremo anche nei prossimi paragrafi, per coloro che vengono effettivamente fermatə qui in Italia la situazione è peggiorata, e non di poco. Il peggioramento è introdotto con leggi distopiche che prevedono dall’aumento esorbitante della pena minima prevista nel nuovo art. 12-bis TUI se si è accusati a seguito di un naufragio o un incidente marittimo, introdotto dal decreto Cutro, al peggioramento della repressione nelle carceri, con il tentativo ancora in corso di introdurre il reato di rivolta in carcere e in CPR (già aspramente punito da altre leggi), e l’aggiunta della criminalizzazione della “resistenza anche passiva all’esecuzione degli ordini impartiti”. La punizione per la ribellione alla punizione è già incisa anche nei piani per il nuovo centro di detenzione per persone non bianche soccorse in mare che il governo vuole costruire sul territorio Albanese, ovviamente un progetto già aberrante in calce, per cui è stata recentemente annunciata anche una sezione carceraria.

Seppure gli ultimi sviluppi possono dipingere un quadro sempre più giustizialista e repressivo, traiamo forza dalle tante persone che continuano nonostante tutto a resistere, attraversando le frontiere e fronteggiando ogni ingranaggio di questa macchina repressiva. Questo coraggio e questa determinazione rimangono un’ispirazione, e qualcosa per cui non ci stancheremo mai di lottare insieme.

2. La pena pecuniaria: una criminalizzazione senza fine

Abbiamo più volte denunciato le pene esorbitanti che l’articolo 12 del TUI infligge ai capitani per il solo fatto di essersi posti alla guida dell’imbarcazione, pene che arrivano fino a trent’anni di carcere e che con il decreto Cutro hanno raggiunto nuovi picchi.

Accanto a ogni pena detentiva l’articolo 12 prevede pene pecuniarie elevatissime, inflitte alle persone condannate mediante un bieco calcolo matematico (ogni persona trasportata comporta 15.000 euro di multa) che non lascia margine di discrezionalità al giudice. Abbiamo incontrato e seguiamo persone che hanno 200 mila euro di multa e si devono considerare fortunati, perché per molti la multa si aggira intorno a 2 milioni di euro. Il caso più esorbitante che conosciamo è di un capitano siriano che vive in Puglia, condannato a pagare 14 milioni di euro.

Di fronte agli anni di carcere spesso le pene pecuniarie passano in secondo piano. Non rappresentano un problema imminente, e, peraltro, tutti sanno – anche il giudice e il pubblico ministero ne sono consapevoli – che quelle cifre esorbitanti non verranno mai pagate, per il semplice fatto che pagarle è oggettivamente impossibile per chiunque, tanto meno per una persona che è appena giunta in Italia.

Purtroppo però le pene pecuniarie non sono meri numeri riportati sulla sentenza di condanna. Chi, finalmente, vede l’uscita del tunnel infernale della detenzione, perché è statə scarceratə, ha evitato il CPR o ne è uscito, e poi ha ottenuto un permesso di soggiorno e anche un lavoro – quelle persone che nonostante la condanna riescono finalmente a tornare alla luce e a poter esistere anche a livello burocratico – devono fare i conti con le pene pecuniarie. Lo Stato presenta letteralmente il conto a distanza di anni.

In questo periodo abbiamo visto arrivare, dopo 6 anni dalla condanna, cartelle di pagamento in cui l’Agenzia delle Entrate intimava a pagare l’intero importo della pena pecuniaria, pari a migliaia se non milioni di euro, in pochi giorni. E se, come è inevitabile, non si pagano? Oltre al pignoramento dello stipendio (che per poter ripagare la multa non può che durare per tutta la vita), la procedura prevede che dopo vari tentativi di recuperare la somma richiesta, il pubblico ministero richieda al magistrato di sorveglianza la conversione della pena pecuniaria in libertà controllata, una misura estremamente afflittiva che impone alla persona, tra le altre cose, di non allontanarsi dal Comune di residenza e andare ogni giorno a firmare negli uffici di polizia.

Si tratta di un’ulteriore dimostrazione di un processo di criminalizzazione e di limitazione della libertà personale senza fine perle persone condannate per art 12. Stiamo elaborando insieme allə avvocatə della nostra rete strategie difensive che possano perlomeno limitare i danni e permettere finalmente alle persona di lasciarsi la condanna alle spalle e tornare, veramente, a guardare al futuro senza queste ombre incombenti.

3. Alcuni processi in corso

Seguiamo i casi giuridici di più di 100 persone accusate o condannate per favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, fra cui più di una metà attualmente in carcere. Per motivi di tutela della loro privacy, basandoci sempre sulla loro volontà e il consiglio dei loro legali, è raro che possiamo rendere pubblici i dettagli dei procedimenti. Detto ciò, qui raccontiamo una serie di situazioni che sono già state ampiamente pubblicizzate, o che le persone stesse ci hanno permesso di divulgare.

4. La rete transnazionale

Taxi del mare.

Venerdì 19 aprile si è conclusa l’infinita udienza preliminare del processo a Trapani contro le ONG, tra cui la Iuventa, che operano soccorso al mare, accusate – fra altri reati – di art. 12 TUI, favoreggiamento dell’immigrazione ‘clandestina’. Dopo milioni di euro spesi dallo Stato italiano in indagini farlocche, la procura stessa, per salvare la faccia, ha chiesto al GIP il non luogo a procedere perché il fatto non costituisce reato a causa della buona fede con cui è stato compiuto. Il GIP è andato oltre, accogliendo la richiesta della difesa di un non luogo a procedere proprio perché il fatto non sussiste – cioè perché la condotta delle ONG non costituisce in reato.

Questo processo, e le indagini sul quale si è bassato, ha dato vento ad una narrazione politica razzista che ha contributo all’ascesa di un governo nemmeno un anno dopo di partiti populisti e di estrema destra, che ha battezzato le navi di soccorso ‘i taxi del mare’ e ‘amici dei trafficanti’. Dopo anni di criminalizzazione delle persone migranti come ‘scafisti’, lo stesso reato era stato utilizzato nei confronti dellə attivistə al mare, sconvolgendo le loro vite e bloccando operazioni di soccorso, lasciando quindi che più persone morissero in mare.

Ci auguriamo che come prossimo passo la magistratura si impegni a indagare sulle matrici politiche di questo procedimento chiuso, ridicolmente, 5 anni dopo la difesa aveva chiesto il non luogo a procedere. Ma anche che si continui di lottare per la libertà di tutte le persone accusate e incarcerate per aver sfidato i confini, che si trovano in processi ugualmente kafkiani, lunghi, e politicizzati.

Cogliamo questo momento per riconoscere il grande valore del lavoro svolto dalla Iuventa Crew nel non dimenticare mai i capitani di queste altre barche; quello eccellente svolto dallə avvocatə di difesa nel tentare di decostruire l’art. 12 TUI al livello giuridico, dall’Ecchr nel monitorare il processo e tenere alta l’attenzione sul caso, e quello della bellissima rete solidale che si è creata intorno a questa lotta.

Libia, Malta, Grecia

Le persone migranti che partono dalla Libia possono finire per essere criminalizzate non solo in Italia, ma in tutta Europa. Nel Regno Unito, Ibrahima Bah, un giovane senegalese , è stato condannato il mese scorso a 9 anni di carcere per essere stato costretto a guidare una barca attraverso la Manica; Captain Support UKlo sta sostenendo in attesa dell’esito del suo appello.

A Malta si terrà un’altra udienza preliminare nel processo a carico degli “El Hiblu 3“, tre adolescenti dell’Africa occidentale arrestati nel 2019 per aver presumibilmente impedito il proprio respingimento illegale in Libia insieme alle altre persone con cui viaggiavano. A maggio, il giudice prenderà un’importante decisione sulla giurisdizione territoriale, dato che i fatti sono avvenuti in acque libiche e internazionali. Il mese prossimo si terrà in Grecia anche il processo a 9 cittadini egiziani, accusati della strage di 500 persone partite dalla Libia a bordo di un peschereccio nel giugno 2023, morti causa di un salvataggio mal organizzato da parte della Guardia costiera ellenica; è stata lanciata una raccolta fondi per le spese legali.

Sempre a proposito della Grecia, ieri a Salonicco si è tenuta la prima l’udienza di appello di Homayoun Sabetara, un rifugiato iraniano arrestato nel 2021 per aver guidato una macchina attraverso il confine turco con la Grecia. Da allora è in carcere, mentre le sue figlie in Germania e lə sue sostenitorə in tutta Europa fanno campagna contro la sua condanna a 18 anni. Potete rimanere aggiornatə su queste e altre campagne sul nuovo sito web di Captain Support, la rete transnazionale di cui facciamo parte.

In giro per l’Italia.

Il film candidato all’Oscar Io Capitano” ha rappresentato un importante trampolino di lancio, in Italia e non solo, per far luce sulla persecuzione delle persone in movimento accusate di essere scafisti, con proiezioni guidate da attivisti a Milano (con Sea-Watch e Christian Agbor, presidente della commissione stranieri a Padova, lui stesso criminalizzato anni fa), a Roma presso Spin Time con la Clinica Legale Roma 3, e a Caserta presso la Casa del Sociale ‘Mamadou Sy’; abbiamo scritto un articolo di opinione sul film per il New York Times. Negli ultimi mesi abbiamo anche contribuito a numerosi programmi radiofonici attivisti, tra cui Radio Onda Rossa (insieme a Captain Support e altrə attivistə da tutta Italia), Radio Melting Pot (nella puntata speciale su Cutro) e Radio Onda Urto (insieme allə attivistə e avvocatə della Iuventa).

Ringraziamo Saving Humans USA che ci ha sostenuto nell’ultimo periodo; lə avvocatə che ci hanno segnalato i casi che stanno seguendo, anche rendendo disponibili delle sentenze; e lə tantə attivstə che ci aiutano con la traduzione delle lettere e a chiamare i familiari delle detenutə.

Dal mare al carcere’
un progetto di Arci Porco Rossoborderline-europe

 

 

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