L’Italia del 2020 è un paese in crisi di identità , gli oltre 60 mila morti (a quanti arriveremo a fine 2021?) hanno riportato gli italiani con i piedi per terra ma la paura ha avuto, ad oggi, la meglio sulla rabbia, sulla sete di giustizia per i morti da covid.
Il Censis parla del 2020 come l’anno della paura nera rievocando la peste che ridusse di quasi due terzi la popolazione europea secoli or sono, ci siamo scoperti deboli e fragili, la pandemia ha evidenziato i limiti di un sistema sanitario portato al collasso da spending review e da tagli agli investimenti e agli organici.
Gli effetti sulla condizione psico fisica degli italiani sono ancora da studiare, l’aspettativa di vita inizia a calare ma le pensioni, con la legge Fornero, ignorano la necessità di ridurre l’età di uscita dal lavoro adottando un sistema di calcolo dei contributi ben diverso dal presente se non vogliamo trovarci, tra 15\20 anni con anziani in condizioni economiche precarie e bisognosi di poderosi aiuti statali a sostegno di un reddito da fame
La paura non è mai maestra di vita ma l’inumano, come scrive Revelli, si impossessa dell’umano, la fiera ha il sopravvento sull’uomo , l’utile, o presunto tale schiaccia dignità, morale giustizia.
Gli Italiani hanno preso coscienza della situazione in cui vivono? Manco per sogno, in primavera la decisione, degli ospedali, di prestare le cure ai pazienti in condizioni di salute meno precarie e con aspettativa di vita più lunga a discapito degli anziani e dei malati rappresenta una sorta di eugenetica legalizzata a coprire le inadeguatezze del sistema sanitario. La conseguenza avrebbe dovuto essere un sommovimento popolare per rivendicare posti letto negli ospedali, apertura di strutture nuove, assunzioni di personale, tamponi di massa per tracciare il virus e combatterlo efficacemente.
Al contrario l’opinione pubblica è stata indirizzata ad arte verso polemiche sterili, tutti ignavi e passivi spettatori di dibattiti televisivi nei quali anche la casalinga di Voghera si improvvisava virologa per discettare su argomenti dei quali nulla sapeva.
La maggioranza degli italiani è disposta a sacrificare parte delle libertà individuali e collettive, la mascherina non è sinonimo di schiavitù e costruzione, le libertà sono state compresse dai decreti sicurezza e dal permanere delle legislazioni emergenziali, dal rafforzamento dei sistemi dispostici, di controllo e repressione, dall’affermarsi di uno stato penale che condanna ad anni di galera gli ultimi lasciando impuniti i crimini delle élites o di una esigua parte della popolazione che poi è quella più ricca e potente.
Il rifiuto della mascherina nasconde ben altro, la negazione del virus e della pandemia senza per altro avanzare critiche verso un sistema sanitario al collasso, senza fare della nostra salute e sicurezza un obiettivo da perseguire investendo laddove invece nei 40 anni di liberismo si è tagliato.
Quasi il 40 per cento degli Italiani, stando ai dati Censis, è disposto a rinunciare alle libertà civili e sociali come il diritto di sciopero, da qui a vietare la libera organizzazione sindacale e politica il passo è breve.
Dalla crisi pandemica si esce in due modi o costruendo una società diversa e più libera o affermare un modello sociale, liberista, con poca libertà e senza democrazia, con decisioni dirimenti per le nostre esistenze calate dall’alto, dal moderno Leviatano
E sono soprattutto i giovani, timorosi per il loro futuro, la fascia di età assoggettata al ricatto dall’alto, disposti a rinunciare, per la loro salute e sicurezza, alle libertà collettive e individuali, ai diritti civili e sociali ignari degli anni nei quali si sono raggiunte conquiste a colpi di scioperi, di morti nelle piazze.
Sta qui la cesura generazionale da scongiurare per non ritrovarci in una società eugenetica e repressiva che approfitta della crisi pandemica per affermare principi e pratiche liberiste che poi sono tra le principali cause della strage da covid.
Non a caso si torna a parlare di pena di morte con un numero di italiani che la ritiene una delle soluzioni da adottare abbattendo quanto resta dello stato di diritto .
Gli scenari dell’immediato futuro potrebbero mettere in aperta antitesi i cosiddetti garantiti e non garantiti lasciando ai media il compito di decidere quali siano i privilegi da abbattere, peccato che oggi ben pochi siano favorevoli ad una Patrimoniale per abbattere le disuguaglianze , ricavare soldi da investire nella sanità e nell’istruzione, nella cura.
I vulnerabili sono oggi più numerosi di quanto fossero un anno fa, i privilegi presunti finiscono con il nascondere i privilegi reali delle élite, nella situazione di incertezza si acuiscono le disuguaglianze sociali ed economiche, è questa la realtà che i censimenti e gli studi statistici fotografano solo in parte perchè i dati possono essere manipolati e presentati in termini fuorvianti ad una opinione pubblica sempre meno acculturata, lobotomizzata da anni di tv spazzatura, dal prevalere dei luoghi comuni tanto cari al sovranismo di carta.
La crisi pandemica si abbatte sulle fasce sociali meno abbienti, sui giovani , sui lavoratori precari ma anche sulle piccole partite iva investite dallo tsunami economico.
L’Italia è un paese dove il lavoro nero raggiunge dimensioni spaventose rispetto ad altri paesi, il nero dell’economia sommersa che sfugge ad ogni prelievo fiscale, che condanna a esistenze precarie, quel nero piombato in una situazione di profonda crisi.
Non è casuale che l’ascensore sociale si sia fermato da tempo e oggi gli under 35 sono consapevoli di avere una vita qualitativamente peggiore di quella vissuta dai loro genitori dimenticando che è stato proprio il liberismo dell’abbattimento delle aliquote fiscali a generare lo tsunami.
Ma nei mesi pandemici la disponibilità finanziaria di una parte degli italiani è decisamente cresciuta mentre migliaia di famiglie non riuscivano ad andare avanti tra ammortizzatori sociali e la perdita delle occupazioni in nero.
Da qui la necessità di una Patrimoniale che non si abbatterà sul lavoro e sulle imprese, come il Movimento 5 Stelle asserisce, ma sui capitali accumulati mentre sanità e istruzione venivano investiti dalla devastante crisi ormai nota.
In dieci anni il numero dei poveri è raddoppiato raggiungendo circa 5 milioni e 600 mila italiani , la percentuale dei poveri tra gli immigrati è poi decisamente superiore, miseria determina non solo difficoltà nel reperire risorse per il pranzo e la cena ma assenza di cura e istruzione tanto che già due anni fa numerose famiglie ammettevano di non avere soldi per controlli preventivi e analisi sanitarie dovendo scegliere tra salute e sopravvivenza.
E tra le disuguaglianze crescenti troviamo anche la collocazione geografica, presupposto necessario per affermare quell’autonomia differenziata che porterebbe al rafforzamento di alcune aree del paese a discapito di altre.
I dati Istat o Censis vanno quindi letti con attenzione perché le interpretazioni degli stessi potrebbero portarci lontano dall’abbattere disuguaglianze distruggendo le basi sulle quali costruire una società inclusiva, giusta ed equa.
Le paure degli italiani potrebbero trasformarsi nel terreno di coltura di soluzioni liberiste e autoritarie che andrebbero nella direzione opposta a quella di assicurare condizioni di vita e di lavoro migliori.
La rivoluzione (o controrivoluzione?) invocata occulta il vecchio dilemma sul controllo e sui fini della moderna tecnologia, il capitalismo della sorveglianza non significa investire nella ricerca, nell’istruzione e nella tecnologia, i luoghi comuni sul lavoro potrebbero portare a facili conclusioni funzionali alle politiche di quanti hanno fino ad oggi combinato solo danni acuendo disuguaglianze e tagli sociali.
Oggi, più di ieri, abbiamo bisogno di una critica all’esistente feroce ma costruttiva per non cadere vittime dei ricatti del vecchio liberismo e autoritarismo travestito da nuova tecnologia e da governi di emergenza che si sono dimostrati incapaci di affrontare la crisi pandemica cedendo ai ricatti della associazioni datoriali e di una opinione pubblica sovente manipolata da quanti detengono, sempre più saldamente, il controllo dei media.
Federico Giusti