Tautologie e spiegazioni circolari sono le sole definizioni del “decoro” di cui disponiamo. «Il decoro è civiltà», proclamano gli editoriali e le chiacchiere da bar, «il decoro è assenza di degrado»; ma il degrado, in quegli stessi discorsi, non è altro che mancanza di decoro e civiltà. Il decreto Minniti del 2017 ne fa un accessorio della “sicurezza”, ma si guarda bene dal definirlo; né lo facevano, negli anni zero, quelli firmati da Roberto Maroni (nella loro parte fondamentale dichiarati incostituzionali) e men che meno il decreto Salvini del 2018, che del Minniti è acuminato perfezionamento. Non sapremo mai, quindi, con la precisione che è giusto pretendere da una legge o da un’ordinanza del sindaco, perché sia indecoroso bere una birra e mangiare un panino in strada o sdraiarsi su una panchina.
Questa opacità, però, non è una debolezza. Al contrario: in essa risiede la forza del decoro. Nello stesso quartiere, nella stessa strada, sarà infatti possibile trovare chi, ingenuamente, lo interpreta come uno sforzo collettivo per prendersi cura del luogo in cui si vive, sistemando le aiuole e organizzando pranzi conviviali nei giorni di festa; ma anche chi usa il nome di decoro avendo chiarissimo in mente dove vuole arrivare, e cioè alla fascistizzazione della vita urbana.
Eppure, ciò premesso, reputo oziosa una discussione sul vero e ultimo significato del decoro. Un albero si riconosce dai frutti, diceva qualcuno molto tempo fa, e non sbagliava. I frutti del decoro sono: l’espulsione dei poveri dai quartieri “riqualificati”, il razzismo e il classismo razzista, il contrasto ai luoghi di aggregazione sottratti al profitto e ai movimenti “antagonisti” e persino la criminalizzazione di consumatori non abbastanza ricchi, come nelle ordinanze che colpiscono i cosiddetti “turisti cafoni”, ovvero turisti che non possono permettersi un pranzo al ristorante e mangiano un panino per strada. Con questo infallibile metodo di riconoscimento ogni dubbio è fugato: il decoro è di destra, allaccia neoliberisti e fascisti; e i politici che lo impongono, quale che sia la loro sigla, sono avvinti in quell’orrendo abbraccio.
Wolf Bukowski