La direttiva Salvini sul decoro e le zone rosse della città permette ai prefetti di scavalcare ed esautorare i sindaci. Il provvedimento è stato “preparato” dalla legge Minniti-Orlando che introduceva daspo urbani e zone rosse. A molti appare come un ritorno dei podestà di epoca fascista. Il commento di Italo Di Sabato dell’Osservatorio Repressione.
Zone rosse. Salvini scavalca il consiglio dei ministri emanando una ennesima direttiva per consentire ai prefetti di commissariare i sindaci
Zone rosse nelle città: per soffiare sul fuoco della guerra tra poveri, per spianare la strada ad abusi in divisa, per gettare benzina sul fuoco della campagna elettorale perpetua. L’uomo nero, Salvini, scavalca ancora i suoi alleati per parlare alla pancia di un paese smarrito a cui non può dare altro che repressione (ma non fa nulla che non avrebbe fatto anche il Pd, come si scoprirà leggendo fino in fondo).
Dopo quelle per il mare (ben 3 in meno di un mese), ecco la direttiva per le città. E se le prime hanno come obiettivo i migranti che tentano la traversata, nel mirino dell’ultima ci sono i «balordi», che vanno allontanati creando zone rosse.
La firma è del ministro dell’Interno, Matteo Salvini, che continua a ricorrere ad uno strumento – quello della direttiva appunto – che non richiede l’ok del Consiglio dei ministri e, dunque, mediazioni con gli alleati di governo. «Dove non arrivano i sindaci arriviamo noi», annuncia il titolare del Viminale, sollecitando i prefetti ad emanare ordinanze anti-degrado. Ma l’altro vicepremier, Luigi Di Maio, non ci sta: «chi governa lo scelgono i cittadini. E’ l’abc della democrazia». Ed insorge anche il presidente dell’Anci, Antonio Decaro: «noi sindaci amministriamo ogni giorno e non abbiamo bisogno di essere commissariati da nessuno». Nelle grandi città, nota la direttiva, «si registrano, di frequente, fenomeni antisociali e di inciviltà lesivi del buon vivere, particolarmente in determinati luoghi caratterizzati dal persistente afflusso di un notevole numero di persone, sovente in condizioni di disagio sociale».
Ai sindaci sono stati forniti nuovi strumenti per contrastare il degrado, come il daspo urbano (l’ordine di allontanamento da alcune zone della città), la limitazione alla vendita di alcolici, il reato di accattonaggio, la nuova disciplina sui parcheggiatori abusivi. Ma l’esperienza nei territori, sostiene Salvini, «ha evidenziato l’esigenza di intervenire con mezzi ulteriori», ad esempio contro le cosiddette «piazze di spaccio», il cui «effettivo smantellamento presuppone l’inibizione alle aree maggiormente interessate dalla perpetrazione di tali illeciti». Dunque, dove i sindaci, che magari sono «distratti» – è la frecciata del titolare del Viminale – non intervengono, tocca ai prefetti, «custodi della sicurezza», ricorrere ai poteri d’ordinanza, «funzionali a potenziare l’azione di contrasto al radicamento di fenomenologie di illegalità e di degrado che attentano alla piena e civile fruibilità di specifici contesti cittadini». Questi strumenti, puntualizza, sono «di natura straordinaria, contingibile ed urgente».
Le ordinanze modello per il ministro sono quelle del 2017 dell’allora prefetto di Bologna Matteo Piantedosi (ora è il suo capo di Gabinetto) e di quest’anno del prefetto di Firenze, Laura Lega. Misure che vietano «lo stazionamento a persone dedite ad attività illegali, disponendone l’allontanamento» in alcune aree. I prefetti vengono dunque invitati a convocare specifiche riunioni del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica per esaminare «eventuali esigenze di tutela rafforzata di taluni luoghi del contesto urbano». «Se Salvini ci avesse chiamati – osserva Decaro (Anci) – per affrontare seriamente il problema del degrado urbano nelle città, gli avremmo detto che varare zone rosse è un po’ come mettere la polvere sotto il tappeto, non risolve il problema, lo sposta altrove. Quello distratto sembra piuttosto il ministro, visto che sembra aver dimenticato che i prefetti hanno competenza esclusiva su ordine pubblico e sicurezza, e per occuparsi di questi temi non hanno bisogno di nessuna circolare ministeriale né di commissariare nessuno».
«La circolare sulle zone rosse richiama il potere di ordinanza del prefetto già previsto dal Tulps (testo unico legge di pubblica sicurezza). L’esercizio di tale potere si affianca a quelli riconosciuti al sindaco in tema di contrasto al degrado urbano e alla illegalità diffusa. In tale direzione costituisce uno strumento operativo da adottare in via straordinaria per un immediato impatto su specifiche aree cittadine, fatte salve tutte le iniziative che intendano assumere i primi cittadini», chiariscono fonti del Viminale in serata. «Sorprende che alcuni sindaci di centrosinistra fingano di non saperlo, sfruttando l’occasione per alimentare una polemica col ministro dell’Interno – si apprende ancora da fonti del Viminale – non solo. Ordinanze di questo tipo erano già state ufficializzate a Bologna e Firenze: i sindaci interessati le avevano condivise, compreso Nardella che aveva espresso soddisfazione nei Comitati provinciali per l’ordine e la sicurezza».
Checchino Antonini
da Popoff
DIRETTIVA MINISTRO SALVINI ZONE ROSSE
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Decoro, il ritorno dei podestà
La direttiva Salvini che esautora i sindaci in favore dei prefetti.
Più potere ai prefetti, i rappresentanti del governo nelle città, per istituire “zone rosse” da cui escludere persone giudicate indecorose, scavalcando i sindaci, che di fatto vengono esautorati e commissariati.
La direttiva Salvini sul tema della sicurezza e del decoro urbano segna, simbolicamente e concretamente, il ritorno dei podestà, l’organo monocratico che, durante il ventennio fascista, era a capo del governo di un Comune.
Sta sollevando molte polemiche e anche l’opposizione di alcuni sindaci, come quello di Palermo Leoluca Orlando, il provvedimento che porta la firma del ministro degli Interni.
“Un provvedimento – sottolinea ai nostri microfoni Italo Di Sabato dell’Osservatorio Repressione – che non è un decreto, per cui servirebbe l’approvazione del Consiglio dei Ministri, ma una direttiva firmata dal capo del Viminale”.
Come l’uomo forte al potere, quindi, Salvini decide in autonomia, passando sopra ai colleghi di governo e ai sindaci, eletti dai cittadini, per decidere la gestione in chiave repressiva dei territori, delle città.
“È una direttiva in contrasto con norme costituzionali – continua Di Sabato – in particolare con l’articolo 13 della Costituzione sulla libertà personale, oppure con l’articolo 16 sulla libertà di circolazione, o ancora con l’articolo 24 sul diritto di difesa”.
Purtroppo Salvini ha trovato un terreno fertile, opportunamente preparato dal governo precedente, in particolare dalla legge Minniti-Orlando che ha introdotto i daspo urbani (gli allontanamenti di persone considerate indecorose da alcune zone della città), fino alla costruzione di vere e proprie zone rosse, per interesse turistico, culturale o commerciale.
“In questi anni, con ordinanze bipartisan – sottolinea il responsabile dell’Osservatorio Repressione – si è continuata una guerra ai poveri. Questo ulteriore provvedimento di Salvini serve a soffiare sul fuoco della guerra tra poveri e spianare ulteriormente la strada ad abusi in divisa”.
Messi insieme, tutti questi provvedimenti costituiscono una sorta di Diritto Penale del nemico, in cui le persone vengono punite non per le proprie condotte, ma per l’appartenenza a determinate classi sociali.
“Un ulteriore elemento che vale la pena sottolineare – conclude Di Sabato – è che di fatto sono state ufficializzate le zone rosse che sono state inaugurate nelle tragiche giornate di Genova nel 2001 e continuate a sperimentare in Val di Susa in questi anni”.
ASCOLTA L’INTERVISTA A ITALO DI SABATO: