Nuovo decreto sicurezza giallo-rosa, gli spettri di Salvini e Minniti
- ottobre 08, 2020
- in misure repressive, sicurezza
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Il Consiglio dei Ministri su proposta del presidente del consiglio Giuseppe Conte e del ministro dell’interno Luciana Lamorgese, il 5 ottobre 2020, ha approvato il decreto legge recante: “Disposizioni urgenti in materia di immigrazione, protezione internazionale e complementare, modifica agli articoli 131-bis e 588 del codice penale, nonché misure in materia di divieto di accesso agli esercizi pubblici ed ai locali di pubblico trattenimento e di contrasto all’utilizzo distorto del web”.
Il provvedimento, da quanto si apprende dal comunicato stampa del Cdm, apporta modifiche alla disciplina vigente sui requisiti per il rilascio del permesso di soggiorno per esigenze di protezione del cittadino straniero, di limiti all’ingresso e transito di unità navali in acque territoriali italiane e di inapplicabilità della causa di non punibilità per “particolare tenuità del fatto” ad alcune fattispecie di reato.
Immigrazione: permesso di soggiorno, aumentati i casi speciali e la possibilità di conversione
Sul fronte immigrazione, la legge Salvini n. 132 del 2018 eliminava i permessi di soggiorno per protezione umanitaria, sostituendola de facto con una tipizzazione di “casi speciali” di rilascio del permesso di soggiorno (nello specifico: per cure mediche, per contingenze di eccezionale calamità, per atti di particolare valore civile).
Il nuovo decreto aggiunge altre tipologie di protezioni speciali, aggiungendole al numerus clausus salviniano, in caso di rischio che lo straniero sia sottoposto a trattamenti inumani o degradanti ed in casi di rischio di violazione del diritto al rispetto della sua vita privata e familiare.
Su tali protezioni speciali, insieme al rischio di tortura già presente per la protezione internazionale degli stranieri, è fatto divieto di espulsione e respingimento.
Sempre in materia di condizione giuridica dello straniero, il provvedimento affronta il tema della conversione dei permessi di soggiorno rilasciati per altre ragioni in permessi di lavoro. Alle categorie di permessi convertibili già previste dalle leggi vigenti, si aggiungono quelle di protezione speciale, calamità, residenza elettiva, acquisto della cittadinanza o dello stato di apolide, attività sportiva, lavoro di tipo artistico, motivi religiosi e assistenza ai minori.
Dallo SPRAR al SIPROIMI sino al SAI
Lo SPRAR (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) era un modello di integrazione plurifasico e multilivello, smantellato dalla legge Salvini, fu sostituito da un sistema di accoglienza centralizzato e per status. Al SIPROIMI (Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per i minori stranieri non accompagnati), accedono infatti i soli titolari di protezione internazionale, i minori stranieri non accompagnati ed altre categorie di soggetti titolari di alcuni permessi di soggiorno (per vittime di violenza o grave sfruttamento, vittime di violenza domestica e vittime di sfruttamento lavorativo), nonché i titolari di categorie di permessi di breve durata e per ipotesi tipicamente determinate (per motivi di salute, per calamità e per atti di particolare valore civile).
Il provvedimento made in 2020 riforma il sistema di accoglienza destinato ai richiedenti protezione internazionale e ai titolari di protezione, con la creazione del nuovo Sistema di accoglienza e integrazione (SEI).
Da quanto letto sulle pagine del comunicato stampa, le attività di prima assistenza continueranno ad essere svolte nei centri governativi ordinari e straordinari. Successivamente, in linea meramente generica, il Sistema parrebbe articolarsi in due livelli di prestazioni: il primo dedicato ai richiedenti protezione internazionale, il secondo a coloro che ne sono già titolari, con servizi aggiuntivi finalizzati all’integrazione.
A riguardo, è bene attendere disposizioni più specifiche per comprendere al meglio l’intento del legislatore.
Il divieto di transito delle navi in mare territoriale: dalla sanzione amministrativa al reato
Il nuovo dispositivo prevede che, nel caso in cui ricorrano i motivi di ordine e sicurezza pubblica o di violazione delle norme sul traffico di migranti via mare, il provvedimento di divieto sia adottato, su proposta del Ministro dell’interno, di concerto col Ministro della difesa e col Ministro delle infrastrutture, previa informazione al Presidente del Consiglio. Tale modifica, però, poco si discosta dall’art.1 del decreto sicurezza Salvini-Bis (l. n.138/2019) in cui era previsto:
«Il Ministro dell’interno, Autorità nazionale di pubblica sicurezza ai sensi dell’articolo 1 della legge 1° aprile 1981, n. 121, nell’esercizio delle funzioni di coordinamento di cui al comma 1-bis e nel rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia, può limitare o vietare l’ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale, salvo che si tratti di naviglio militare o di navi in servizio governativo non commerciale, per motivi di ordine e sicurezza pubblica ovvero quando si concretizzano le condizioni di cui all’articolo 19, comma 2, lettera g), limitatamente alle violazioni delle leggi di immigrazione vigenti, della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, con allegati e atto finale, fatta a Montego Bay il 10 dicembre 1982, ratificata dalla legge 2 dicembre 1994, n. 689. Il provvedimento è adottato di concerto con il Ministro della difesa e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, secondo le rispettive competenze, informandone il Presidente del Consiglio dei ministri.».
La disciplina di divieto, secondo il nuovo dispositivo, non si applicherà nell’ipotesi in cui vi sia stata la previa comunicazione al centro di coordinamento ed allo Stato di bandiera e siano rispettate le indicazioni della competente autorità per la ricerca ed il soccorso in mare.
Il decreto Salvini bis introduceva, inoltre, con l’art.2, un nuovo illecito amministrativo, la violazione del divieto comportava l’irrogazione di una sanzione amministrativa:
«In caso di violazione del divieto di ingresso, transito o sosta in acque territoriali italiane, notificato al comandante e, ove possibile, all’armatore e al proprietario della nave, si applica a ciascuno di essi, salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato, la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 10.000 a euro 50.000. In caso di reiterazione commessa con l’utilizzo della medesima nave, si applica altresì la sanzione accessoria della confisca della nave, procedendo immediatamente a sequestro cautelare. All’irrogazione delle sanzioni, accertate dagli organi addetti al controllo, provvede il prefetto territorialmente competente […]».
Ad oggi, invece, in caso di violazione del divieto, si fa riferimento alla disciplina vigente del Codice della navigazione, che prevede il reato con pena della reclusione fino a due anni e multa da 10.000 a 50.000 euro.
Si elimina la sanzione amministrativa, si rispolvera – con un gioco di leve e specchi – il reato.
Sicurezza Pubblica
L’abuso dei decreti legge è un continuum da almeno dieci anni ed è ormai cosa nota, normalizzata nel e dal linguaggio politico. A questo, si aggrega la pratica invalsa di utilizzare lo strumento decretale come zibaldone dalle mille tematiche. Un espediente che da un lato nasce per evitare passaggi alle Camere, dall’altro, rivela sovente il parallelismo preoccupante – in voga da parte degli Esecutivi da plurime legislature – che associa l’immigrazione alla sicurezza.
Sul punto, ritorna in auge lo strumento introdotto dall’ex Ministro degli Interni (quota-Pd) Marco Minniti, “il daspo urbano” che, nato tra i sediolini di uno stadio, si arricchisce anno dopo anno di nuove “aree d’interesse”, tra l’altro, piuttosto eterogenee tra loro.
Tale strumento, repressivo-sanzionatorio nonostante la natura – di base – amministrativa, ha la ratio di tutelare il “decoro” delle città, chiedendo l’allontanamento a variegati attori pubblici che deturpino l’urbs ad esempio con fenomeni di accattonaggio (un vero e proprio tentativo di criminalizzare la povertà). Successivamente, in base agli allarmi sociali di volta in volta percepiti, si sono annoverati tra i destinatari del DASPO urbano parcheggiatori abusivi e spacciatori (potenziamento ad opera dei decreti Salvini).
Oggi, il nuovo provvedimento, potenzia ancor di più l’istituto, rendendo possibile per il Questore l’applicazione del divieto di accesso nei locali pubblici anche nei confronti dei soggetti che abbiano riportato una o più denunce o una condanna non definitiva, nel corso degli ultimi tre anni, relativamente alla vendita o cessione di sostanze stupefacenti o psicotrope. Inoltre, si interviene sul trattamento sanzionatorio conseguente alla violazione del divieto, prevedendo, in particolare, la pena della reclusione da sei mesi a due anni e la multa da 8.000 a 20.000 euro.
Quest’ultima è una previsione dall’ampio spettro a cui guardare con terrore: in primis perché vìola il principio di non colpevolezza, potendosi basare anche su “una o più denunce” o “condanna non definitiva” (tipico modus operandi – purtroppo – delle Misure di Prevenzione). Inoltre, si attiene ad un background temporale alquanto considerevole (3 anni!) tale da risultare un vero e proprio stigma per un ex-reo.
La politica penale del sospetto, con tale provvedimento, si arricchisce di un arsenale che – sebbene potenziale – potrebbe creare nuove tipologie di DASPO, ritagliabili a piacere su altre voci di allarme sociale, volte ad impedire magari la libera manifestazione del pensiero dei movimenti sociali, il diritto di sciopero di lavoratori in lotta, et similia.
L’aumento delle pene per il reato di rissa
I giornali l’hanno rinominata “norma Willie”, ed è una nomenclatura alquanto spiacevole oltre che erronea. Willie Monteiro Duarte, è stato assassinato da quattro energumeni violenti il 6 settembre 2020, con violenza inaudita ed immotivata. Non è morto in quanto partecipante di una rissa finita male.
Venendo al provvedimento: la norma cavalca l’onda consensuale ed ovviamente, dato che è l’unica risposta che i Governi sanno dare dinanzi a delitti efferati, inasprisce le pene per i soggetti coinvolti in risse, prevedendo inoltre che, qualora qualcuno resti ucciso o riporti lesioni personali, il solo fatto della partecipazione alla stessa sia punibile con la reclusione da sei mesi a sei anni.
Norme di ambito penitenziario
Sono previste disposizioni per rendere “più efficace” l’esercizio delle attività del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, che, effettivamente, ad oggi, è visibilmente depotenziato rispetto a quel che si potrebbe fare. Attenderemo specifiche a riguardo, sperando che vi siano dei provvedimenti che vadano oltre la figura nazionale, affinché si istituisca effettivamente in ogni Regione od in ogni istituto penitenziario!
Si stabilisce, infine, un rafforzamento delle sanzioni applicate in caso di comunicazioni dei detenuti sottoposti alle restrizioni di cui all’articolo 41-bisdella legge n. 354 del 1975 e si prevede una nuova fattispecie di reato che sanziona chi introduce o detiene all’interno di istituti penitenziari telefoni cellulari o dispositivi mobili di comunicazione.
Rossella Puca