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Del decreto Salvini e non solo….

Ecco, la degenerazione è accaduta. Quella che nell’impegno quotidiano avremmo voluto prima scongiurare e poi sconfiggere, far indietreggiare, relegare nello spazio angusto dei residuati, avvolgere nella ragnatela di un passato via via più remoto.

La degenerazione si è compiuta, ed ora la guardiamo accadere sconfortati e delusi, talvolta increduli, indignati dicono. Misuriamo le nostre aspettative col fallimento, l’incidenza delle nostre azioni con la nullità, e il potenziale dei nostri proclami con la sordità. Il ventennio Schengen ha realizzato tutto ciò che nelle nostre analisi più pessimiste abbiamo ipotizzato. Il contrasto che siamo stati in grado di esercitare come movimenti, società civile e come singoli è stato inefficace, improduttivo, sterile, autoreferenziale, e ultimamente, perfino tale da potersi tramutare in arma a doppio taglio rivolta contro noi stessi.

La degenerazione è stata lenta -se pur in fin dei conti neanche troppo-, progressiva e inarrestabile, alimentata da distorsioni operate intessendo falsificazioni e banalizzazioni, minuziosi interventi di occultamento e spettacolarizzazione, edificando vere e proprie fucine di post-produzione della verità e del reale.

La narrazione ha assunto una centralità nuova nell’era dell’informazione inflazionata. La sovrabbondanza di notizie rende impraticabile la verifica dell’attendibilità del racconto, e quella della rispettabilità della fonte. Si accolgono di buon grado le sintesi ma anche le allegorie favolistiche, e poco si bada a chi le abbia prodotte e come. L’importante è che nella pur scarna e lacunosa brevità, ogni dichiarazione sappia essere dirompente e apparire in qualche modo coerente nel suo insieme, di una coerenza semplice e bastevole come può essere quella pregiudizievole di un sillogismo. Mohamed è terrorista, Mohamed è musulmano, i musulmani sono terroristi. Oppure: i migranti sono clandestini, la clandestinità è un crimine, i migranti sono criminali. Il sillogismo si eleva a valore di scienza esatta, le sue sentenze sono inappellabili come il prodotto di un elementare e matematico 2+2, una certezza che nessuna argomentazione può confutare.

Dunque è reciso lo spazio del discorso e tutte le evidenze a sfavore del credo dominante finiscono col costituire l’enorme “sommerso” del nostro tentato antagonismo. Di quel sommerso poi si fa una particolare riedizione, probabilmente perché laddove non può completamente scomparire, necessita senza dubbio di essere inglobato in maniera coerente nella narrazione. Ad esempio, pertanto, la  modifica dei Trattati di Dublino diviene un’urgenza politica della Lega; la speculazione economica sulla disgrazia umana a mezzo “sistema accoglienza”, in modo analogo diventa scoperta rivoluzionaria dell’estrema destra; “l’aiuto a casa loro” nato come istanza di chi dopo i latrocini coloniali si riscattava nell’impegno per il sostegno allo sviluppo del così detto terzo mondo, diventa il galvanizzante grido di battaglia al quale si concentrano le adunate dei pronti all’arme, dei nazionalisti difensori della patria esasperata e vilipesa.

La sinistra assiste impotente all’appropriazione indebita e alla contraffazione delle sue rivendicazioni, all’apposizione sul dorso delle proprie proposte ormai chine a far da “groppa”, di una diversa e completamente opposta soluzione finale.

A fronte dell’oggettiva assurdità di cui è ormai intrisa e satura la dinamica migratoria, e della scontentezza che trasversalmente accomuna i migranti stessi sia con quelli che gli sono solidali che con chi gli è contro, accade perfino che il sistema SPRAR sotto la minaccia salviniana della cancellazione, venga ad essere difeso dalla fazione pro-migration come fiore all’occhiello del bel paese e modello in Europa, come l’unico sistema che funziona (!). Un vero successo nella gestione dei richiedenti asilo, caposaldo di un’accoglienza diffusa e di buona qualità (!).

Come se invece non avessimo per anni, dal 2002, denunciato a più livelli e in più occasioni gli effetti e i retroscena di questa particolare forma di governance delle persone. Come se queste ammirate dichiarazioni contro l’abrogazione non ci ponessero in grave contraddizione rispetto ai nostri stessi proclami e “desiderata”.

In linea di principio, rispetto alle lotte per la libertà di circolazione, dovremmo essere noi stessi per la chiusura degli SPRAR, e non credo di sbagliarmi laddove ricordo che in effetti, talvolta, lo siamo stati. Certo non per le stesse ragioni di Salvini, e certo non per sostituirli con i blocchi navali e le aggressioni razziste!

Continua però a reiterarsi questa situazione per cui in maniera anomala e paradossale, coincidendo alcuni “risultati” pur nella diversità di addendi e fattori posti in colonna per il calcolo, è evidentemente più facile allo scopo di rimarcare le differenze, modificare il risultato piuttosto che continuare ad argomentare i ragionamenti e le evidenze di 15 anni di lotte. Dunque ora che Salvini ne minaccia l’abolizione, lo SPRAR ci piace ed è perfino come detto sopra, fiore all’occhiello italiano e modello in Europa!

La sinistra si mantiene fedele al suo basso profilo di predilezione del meno peggio: lo SPRAR fa schifo, ma è meno peggio dell’abbandono a se stesse di queste anime illegalizzate dalle politiche di mobilità geografica e sociale, dunque lo difendiamo. Come difendiamo i soccorsi in mare che, si, fanno schifo anche loro perché dovremmo invece perseguire il rispetto del diritto sancito alla libertà di movimento, e in mare non dovrebbe esserci nessuno da salvare! Tendiamo a confondere le necessità prodotte dal dover porre rimedio alle situazioni di fatto -come appunto i soccorsi a fronte dei viaggi clandestini e pericolosissimi in mare-, con le istanze primarie della nostra proposta politica e visione del mondo -come appunto l’abolizione della politica dei visti-.

A pochi istanti di distanza dall’approvazione all’unanimità del decreto immigrazione, già abbondavano articoli e proclami d’ogni sorta. L’incredulità e il disprezzo fiancheggiavano dichiarazioni di rivincita alle porte, e l’approccio generale era il leitmotiv di chi ha perso una battaglia ma non la guerra.

Di battaglie invece ne abbiamo perse ormai moltissime.

Dovremmo a fronte di questo interrogarci sull’incidenza politica del nostro essere in ballo, e poi ancora, misurata l’incidenza, interrogarci forse sulla qualità del nostro essere in ballo. Io credo che questa abbia preso a venir meno quando abbiamo sposato, per necessità ovviamente e non virtù, la prassi di sostanziare le nostre presenze fisiche e intellettuali, nel “botta e risposta” con le fandonie di Stato. Fiumi di inchiostro, interviste, riunioni e flashmob per smentire tweet su tweet le frasi misere di chi taglia e cuce fatti veri e presunti con principi storpi o metà, i diritti con le pretese, le aspettative di pace e giustizia sociale con i principi cristiani da un lato e il simultaneo abbrutimento interventista dall’altro. Abbiamo perso tempo a rimarcare con manierismo l’evidente -come la natura pregiudizievole e mai storicamente fondata delle affermazioni del frontman di governo-, sottraendo voce e dignità agli argomenti che davvero ci sono propri.

Abbiamo preso anche noi, attivisti, giornalisti, ricercatori, a parlare la lingua squallida della propaganda fatta di slogan ripetitivi e banali, di frasi semplici e trafiletti brevi, rinnegando la complessità della forma, ed evidentemente non sospettando -pur avendo avuto gli strumenti per farlo- che prima o poi anche i contenuti che quelle forme contengono avrebbero subìto di riflesso la mutilazione delle articolazioni essenziali, fino a non poter più stare in piedi e in movimento. Siamo così alla stasi, e come l’acqua ferma che ristagna e imputridisce, le nostre elementari asserzioni sanno già di marcio, di decomposto!

L’opposizione alla degenerazione in atto, che è in prima istanza culturale e solo in seconda ha trovato riscontro e legittimazione politica, non può certo darsi ripetendo come lobotomizzati quei pochi mantra sull’integrazione che è risorsa, sull’uomo nero che non è il brutto e cattivo delle intimidazioni che sedavano i capricci infantili, sulla solidarietà che attesta ricchezza d’animo, sull’eroismo di chi salvando una vita salva il mondo intero, sul fatto che ognuno ha diritto di vivere una vita dignitosa, e dulcis in fundo sullo SPRAR buono e bello!

I nostri argomenti sono molto migliori di come ultimamente li veicoliamo, e l’errore di forma porta con sé difetto di contenuto. Entrambi poi, insieme, generano ineludibilmente il deperimento della sostanza, ed é proprio questo ciò che credo sia accaduto.

Se così fosse, sarebbe davvero rivoluzionario se non perfino efficace, ricominciare a dedicarci alle parole e ai discorsi, a restituire spazio, tempo e dignità alla pratica del riflettere e dell’argomentare, dell’indagare pazientemente la complessità e sottoporre a tentativi di confutazione le nostre ipotesi o deduzioni; alla pratica dell’osservare e studiare, dello strutturare percorsi di senso. Dovremmo riscoprire il valore della propedeuticità, riconoscere che non tutto inizia e finisce qui ed ora, e che per comprendere alcune cose è necessario averne già comprese altre che vengono prima, che introducono e spiegano, che forniscono gli strumenti per relazionarsi a ciò che come logica conseguenza verrà dopo. Il nostro “ora” é il “dopo” di qualcosa che é già accaduto e che in molti ignorano; al contempo é il prima di qualcos’altro che verrà poi e che in troppi ancora non sospettano. Non si può risolvere il quadrato di un binomio senza conoscere le quattro operazioni, le tabelline e il linguaggio delle parentesi, pur con tutta la buona volontà e buona fede.

Quindi, non potendomi rassegnare a credere che quello italiano è un popolo di odiatori seriali e brutali, e continuando a voler credere non solo nella buona fede ma perfino nella buona volontà, concludo che si è determinata l’impossibilità di comprendere il contemporaneo, e in effetti, evidentemente non a caso, non mi capita mai di imbattermi nel tentativo di chicchessia di esplicarne la genesi!

Monica Scafati