Aveva denunciato di aver subito violenze e aveva paura di morire: lo aveva confidato ad una delegazione del Garante regionale dei detenuti del Lazio andata in visita nel carcere Mammagialla di Viterbo dove era recluso. Le sue dichiarazioni vennero poi riportate, insieme alle denunce di altri detenuti, in un esposto inviato dal Garante alla Procura viterbese il 5 giugno scorso.
Eppure Hassan Sharaf, un detenuto egiziano di 21 anni che avrebbe finito di scontare la pena il 9 settembre, il 23 luglio scorso è stato trovato impiccato nella cella di isolamento dove era stato trasferito da appena due ore. Entrato in coma, è morto il 30 luglio nell’ospedale locale di Belcolle. Suicida, secondo le autorità penitenziarie.
A darne notizia è stato lo stesso Garante, Stefano Anastasia, che di Hassan si era già occupato in passato: «Alla nostra delegazione che lo incontrò il 21 marzo scorso – ricorda Anastasia – Sharaf mostrò alcuni segni rossi su entrambe le gambe e dei tagli sul petto che, secondo il suo racconto, gli sarebbero stati provocati da alcuni agenti di polizia che lo avrebbero picchiato il giorno prima».
È il terzo detenuto morto dall’inizio dell’anno nella casa circondariale di Viterbo, il secondo suicida in cella d’isolamento, «segno – è il commento di Patrizio Gonnella – di un malessere diffuso le cui cause devono essere portate pienamente alla luce». Nel caso specifico, sul quale indaga la procura, il presidente di Antigone chiede anche di chiarire «se corrisponda a realtà quanto starebbe emergendo, ovvero che il 21enne fosse in carcere per un reato commesso da minorenne. Se così fosse avrebbe dovuto essere recluso presso un Istituto di pena per minorenni. Anche in questo caso – conclude Gonnella – andrebbe quindi accertato cosa è accaduto».
Secondo quanto riportato da Anastasia, infatti, Hassan Sharaf nell’aprile scorso aveva finito di scontare la pena per un reato commesso da adulto ma avrebbe dovuto trascorrere ancora 4 mesi in carcere per un fatto risalente a quando era minorenne. Per questo residuo di pena, avendo meno di 25 anni, la norma prevede che avrebbe potuto essere trasferito in un istituto per minorenni, a discrezione del magistrato di sorveglianza e del giudice dell’esecuzione minorile, che devono essere avvisati dalla direzione penitenziaria. Cosa che, in questo caso, rimane da accertare sia mai avvenuta.
da il manifesto