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Chi difende il 41bis tace su divieti assurdi e incivili

L’ingiustizia del regime carcerario subordinato all’imperio del 41bis va persino oltre l’inciviltà intrinseca della norma e riguarda il fatto che essa, oltretutto, non funziona in modo da garantire il minuscolo residuo di diritti che pur dovrebbe sopravvivere in quello stillicidio di restrizioni.

di Iuri Maria Prado

Siccome attribuisce all’amministrazione deputata ad applicarlo un potere discrezionale pressoché smisurato, infatti, quell’articoletto dell’ordinamento penitenziario si concede a forzature e a misure di concreta attuazione del tutto arbitrarie, ed è tenuto insieme da una giurisprudenza costretta a rimaneggiarlo, ritagliarlo, interpretarlo ogni volta per risolverne i palesi difetti e giustificarne gli indifendibili eccessi.

E poiché non si tratta di segnaletica stradale o della curvatura del guscio delle vongole, ma della vita delle persone, ogni buco, ogni asperità, ogni zona d’ombra, appunto ogni difetto di quella norma infierisce molto gravemente sui diritti di chi vi è sottoposto. In tutta la chiacchiera sul 41bis, perlopiù mono-orientata in senso forcaiolo, manca sempre il riferimento a come di fatto è gestita e attuata quella misura oppressiva, ed è la stessa Corte costituzionale a dover registrare i casi di abuso cui essa si presta salvo spiegare (eccoci al punto) che il problema non risiede nella norma ma nel modo di volta in volta adoperato per attuarla. Ciò che in termini di giustizia generale dovrebbe preoccupare chiunque: perché è come dire che la tortura non è un problema visto che non sta nella lettera della legge ma “soltanto” nella pratica di chi la applica (e dunque sulla pelle di chi la subisce).

Pare invece che la cosa non preoccupi nessuno se è vero che quotidianamente – ancora ieri ci si è messo Armando Spataro, sulla Stampa – si sprecano le requisitorie contro i pochissimi che sollevano dubbi sull’appropriatezza di una norma non soltanto più volte colpita, in una pluralità di sue parti, da dichiarazioni di illegittimità costituzionale (e quelli che la difendono oggi la difendevano anche per le parti poi dichiarate incostituzionali), ma che oltretutto è affidata a un dispositivo di esecuzione che sistematicamente oltrepassa i limiti, già molto avanzati, entro i quali un detenuto al 41bis può essere tormentato.

Qualche esempio può aiutare. È abbastanza facile riferirsi – come fa Spataro – alla neutra e dopotutto non impressionante freddezza di una disposizione che limita la possibilità del detenuto di ricevere corrispondenza e oggetti: meno facile è giustificare che in presunto omaggio a questo presidio securitario si impedisca al detenuto di leggere un libro determinato perché la censura carceraria lo giudica inopportuno o perché gli arriva da fuori, e magari è la raccolta di poesie che gli manda il figlio dodicenne. E a chi obiettasse che non cade il mondo se a qualcuno è impedito di leggere quel che vuole, si potrebbe rispondere che il destinatario del divieto non è chi può farsi una passeggiata, sedersi a un caffè o fare quattro chiacchiere con gli amici, ma chi sta in isolamento e mena un’esistenza che non va molto oltre il perimetro delle funzioni vitali.

Ma ancora: è facile non impensierirsi troppo se la norma prevede “la limitazione della permanenza all’aperto”. È meno facile se si precisa che non può trattarsi di più di due ore: ed è impossibile rimanere soprappensiero, salvo che per una sensibilità aguzzina, se di fatto il diritto ai minuti d’aria viene molto spesso esercitato in spazi che giudicheremmo insufficienti e oppressivi anche per un verro o per un cane. È una norma ingiusta di per sé, nonché per l’ingiustizia cui essa offre rifugio. E che si arrivi a discuterne grazie al detenuto che la denuncia, anziché per iniziativa della società libera, è il segno esemplare del degrado civile di questo Paese. Un Paese in cui non solo ha cittadinanza, ma onore di prima pagina e di telecamera, la finissima teoria secondo cui il 41bis va mantenuto perché è “efficace”. L’efficacia. Ma allora perché non gli diamo la corda? C’è caso che sia anche più efficace.

da il Riformista

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La legge 354\1975, a proposito dell’Ordinamento penitenziario, all’articolo 1, recita che “il trattamento deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona” riprendendo per altro i dettami costituzionali.

Ma il trattamento auspicato veniva al contempo smentito dall’art 90 dell’Ordinamento penitenziario.

Urge ricordare che il Pci si disse inizialmente contrario all’art 90 ma favorevole invece all’ impiego dell’esercito per la sorveglianza esterna delle carceri e in tale caso i soli ad opporsi furono i parlamentari radicali e di democrazia proletaria.

In pochi furono contrari alla nascita delle carceri speciali dove vennero rinchiusi i detenuti politici e da allora la legislazione ha trasformato provvedimenti provvisori in pratiche usuali e non legate ad eventi eccezionali che hanno di per sè una durata temporanea.

Sempre l’art 90, in barba alla Costituzione, prevedeva, nel clima del compromesso storico, la censura sulla posta, colloqui con il contagocce e possibili solo attraverso vetri divisori, la abolizione dei pacchi viveri, la drastica riduzione delle ore di aria e in presenza di ristretti numeri, oltre alla impossibilità di ricevere perfino libri se non scomposti in fascicoli separati.

Una volta terminata la stagione della lotta armata questi provvedimenti sono rimasti al loro posto e rafforzati con il 41 bis la cui durata, come l’art 90, si è protratta nel tempo fino ai nostri giorni.

Leggi eccezionali legate ad un determinato periodo storico sono invece divenute permanenti nel sistema penitenziario e la loro abrogazione non è avvenuta contravvenendo quel principio di umanità e di dignità della persona che dovrebbe invece caratterizzare la detenzione.

Per queste ragioni non siamo mai usciti dalle emergenze che motiverebbero provvedimenti eccezionali.

Ogni qual volta si parla di tutela e valorizzazione della Costituzione dimentichiamo come la Carta sia stata aggirata e stravolta da provvedimenti eccezionali poi trasformati, con una abile manipolazione della pubblica opinione, in decisioni permanenti e ordinarie.

Il 41 bis è stato costruito negli anni delle stragi di Mafia ma oggi è ancora in piedi e include , circa il 25% dei detenuti sottoposti a questo regime, anche quanti sono in carcere per reati politici . Oggi non esistono organizzazioni politiche fuori dal carcere che prendano ordini da detenuti in 41 bis, da lustri è finita la stagione della lotta armata, eppure decine di politici sono ancora sottoposti a questo disumano regime penitenziario.

Chiedere l’uscita dell’anarchico Cospito dal 41 bis, e insieme a lui di tutti i detenuti politici, è una scelta che non determina condivisione delle loro azioni.

I gravi motivi di ordine e sicurezza non sono certo collegabili a manifestazioni di piazza o a semplici scritte sui muri a meno che non sia in ballo anche il diritto al dissenso.

Il 41 bis annienta i detenuti tanto che molti giuristi ne hanno chiesto la abrogazione interpretando i dettami costituzionali e lo stesso art 1 dell’Ordinamento Penitenziario.

E questo vale per quanti sono sottoposti al 41 bis, una battaglia umana e di civiltà che dovrebbe indurre i difensori della Costituzione ad operare scelte conseguenti sottraendosi alla cultura dell’emergenza e alla canea mediatica montata ad arte per costruire una società basta sulla disumanità e sulle disuguaglianze

Federico Giusti

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