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Il diktat Minniti è l’ultimo muro

La legge approvata dal Parlamento nega le garanzie giuridiche agli immigrati e trasforma il diritto all’asilo in uno slalom burocratico. Ma in questo modo rendiamo solo più fragile lo Stato. E ne pagheremo tutti il prezzo

In Ungheria alzano muri di mattoni; 
in Italia costruiamo muri con le norme. Cambiano gli strumenti, non gli effetti, non i bersagli di questa fobia securitaria. A farne le spese sono sempre loro, il popolo degli immigrati. Ma ne riceviamo un danno anche noialtri, italiani a 24 carati. Perché i diritti sono di tutti 
o di nessuno. E perché, negando agli immigrati le loro garanzie giuridiche, violando l’autorità della Costituzione, rendiamo più fragile il nostro Stato 
di diritto. Con la paradossale conseguenza di diventare più deboli 
e insicuri, non più forti, non più sicuri.

L’ultima pietra deposta su questo muro normativo consiste nel decreto Minniti, approvato in Parlamento – con il ricatto del voto di fiducia – lo scorso 12 aprile. Ma il muro c’era già, con la sua base 
di cemento armato: la legge Bossi-Fini, timbrata nel 2002 dal secondo governo Berlusconi. Quella legge cancellò il sistema dello sponsor per la chiamata diretta degli extracomunitari, previsto dalla legge preesistente (la Turco-Napolitano). Comminò l’arresto per chi offrisse lavoro a un immigrato irregolare. Pose limiti drastici ai ricongiungimenti familiari. Ridusse la durata del permesso di soggiorno (da 5 a 2 anni). Infine rafforzò i poteri della Marina militare.

La Bossi-Fini è figlia d’una stagione politica ormai sommersa dalla polvere del tempo. Eppure resta lì, immarcescibile, inossidabile. Da qualche settimana un arco d’associazioni e di personalità istituzionali sta raccogliendo firme per abrogarla con legge popolare; auguri, ma le speranze di successo sono quasi zero. Si tratterebbe infatti di picconare un muro che viceversa cresce a dismisura. Con il reato di clandestinità, benché nel 2014 sia stato trasformato in illecito amministrativo. Con le vessazioni burocratiche: a un cittadino bastano 30 giorni per rinnovare il passaporto, a uno straniero ne servono 291 per rinnovare il permesso di soggiorno.

Con i diritti negati, dalla cittadinanza alla legge sul diritto d’asilo, promessa (invano) dall’articolo 10 della Costituzione. Nel frattempo gli italiani residenti all’estero votano ma non pagano le tasse; gli immigrati regolari sono 6 milioni, con le loro tasse pagano le nostre pensioni (640 mila l’anno scorso), però sono condannati all’astensione dal voto.

Ecco, è su questa costruzione normativa che s’innesta il decreto Minniti, aggiungendovi altri tre mattoni. Nell’ordine: via i Cie (Centri di identificazione ed espulsione), arrivano 
i Cpr (Centri permanenti per il rimpatrio), più numerosi, più sorvegliati, più capienti. Via l’udienza davanti a un magistrato per chi impugni il diniego d’asilo (il giudice si limiterà a guardare un video registrato, senza contaminarsi con un contatto fisico). Via l’appello contro la sentenza di rifiuto, all’immigrato rimarrà soltanto 
il ricorso in Cassazione.

Diciamolo: sono scelte subdole, in contrasto con i principi della nostra civiltà giuridica. Non negano – almeno formalmente – il diritto d’asilo, però lo rendono più arduo, lo trasformano in uno slalom burocratico e in una giostra giudiziaria. Violano perciò al contempo 
il giusto processo (articolo 111 della Costituzione), il diritto al contraddittorio (articolo 6 della Convenzione europea sui diritti umani), il diritto di difesa (articolo 24 della Costituzione). È grave l’annullamento dell’udienza, anche se 
il ministro Orlando ha obiettato che 
il migrante può pur sempre richiederla; peccato tuttavia che così il diritto soggettivo si converta in una supplica 
al sovrano. È altrettanto grave la cancellazione del doppio grado di giudizio, benché il suo fondamento costituzionale resti incerto (fra i costituzionalisti lo sosteneva però, già nel 1993, un saggio di Giovanni Serges). Ed è gravissima la discriminazione fra noi e loro, fra gli italiani e gli stranieri. Col risultato che su una causa di sfratto puoi proporre appello, sull’esercizio 
d’un diritto fondamentale (l’asilo) invece no. Più che un decreto, questo di Minniti è un diktat.

Michele Ainis

da L’Espresso