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Dopo trent’anni di carcere, un uomo può tornare a vivere??

Mi chiamo Pasquale Zagari. Ho trascorso in carcere gran parte della mia vita, 29 anni e 7 mesi di reclusione ininterotta. Da nove mesi sono stato scarcerato. Ho vissuto il mio tempo da recluso come ergastolano ostativo, senza prospettive né speranze.

La mia condanna, però, era illegittima perché all’epoca del processo, la scelta di essere giudicato con il rito abbreviato, da me operata, comportava la riduzione della pena a trent’anni di reclusione.

La Corte Europea, con la sentenza “Scoppola” ha sancito il principio e comportato la riduzione anche della mia pena ad anni trenta. Ho scontato la mia condanna fino all’ultimo giorno, anzi, calcolando anche i giorni di liberazione anticipata concessimi per la buona condotta, ho espiato 34 anni.

Oggi mi trovo sottoposto a sorveglianza speciale, una misura comminata con la sentenza, molti anni addietro che esprime un giudizio di pericolosità ormai lontanissimo nel tempo e certamente non più attuale dopo tanti anni di detenzione.

Anche la Corte Costituzionale ha sancito la necessità di un nuovo esame che, dopo tanto tempo trascorso, verifichi la persistenza di ragioni di pericolosità soggettiva che legittimino la limitazione della libertà personale. Questo non è valso per me.

Purtroppo la scarcerazione non ha significato per me restituzione alla libertà. Il pregiudizio rimane a precludermi un vero ritorno alla vita, quella restituzione alla società cui ogni uomo che ha patito la sua pena dovrebbe ambire.

Sono soggetto al permesso dell’Autorità Giudiziaria per qualunque attività che comporti uno spostamento dal mio luogo di residenza, anche per la cura delle mie tante patologie. Ho scelto di restare al nord per non incorrere nel sospetto di perdurante contiguità con il mio ambiente di origine ma su di me è sempre vivo il sospetto e il pregiudizio.

Dopo trent’anni un uomo non è cambiato? Non ha diritto di tornare alla società? Non ha la speranza che i suoi torti siano cancellati? Esce dal carcere macchiato per sempre e trova solo porte chiuse. Ogni passo è estremamente difficile, perfino il ripristino dei propri documenti, l’affitto di una piccola casa.

La società non ha il dovere di accoglierlo se ha pagato tutto il prezzo che gli è stato richiesto? Il 18 e il 19 dicembre a Milano, dentro al carcere di Opera, dove ho trascorso gran parte della mia lunghissima carcerazione, l’associazione Nessuno Tocchi Caino ha organizzato un grande congresso: “Spes contra Spem”, contro l’ergastolo ostativo, contro il 41 bis, per una pena che sia concreta speranza di cambiamento e di restituzione alla vita. Sono stato invitato dagli organizzatori e perfino il Direttore del carcere, Dott. Siciliano, su parere favorevole anche del D.A.P., ha riconosciuto l’importanza della mia presenza, scrivendo personalmente al Tribunale di Reggio Calabria, Sezione Misure di Prevenzione, perché portassi al congresso la mia esperienza, raccontassi il mio percorso, le mie vicissitudini interiori, il mio cambiamento.

La richiesta veniva respinta. A sostegno del rigetto la motivazione che non si trattava di ragioni di studio e che, comunque, altri mezzi di comunicazione potevano consentirmi l’esternazione del mio pensiero. In sostanza, semplicemente un rifiuto alla mia possibilità di partecipare, di fare, di essere uomo, di essere vivo. Anche Sergio D’Elia, nel corso della importante manifestazione, ha stigmatizzato il provvedimento del Tribunale di Reggio Calabria che si traduceva in una ingiustificata esclusione. Ma un altro rifiuto, successivo, mi ha turbato ancora di più. Ho chiesto di trascorrere il Natale con mia madre, una donna anziana e molto malata, colpita da una grave ischemia. Non può viaggiare, non può venire da me. Da oltre trent’anni non ha il figlio accanto a sé per Natale.

La legge favorisce gli affetti, l’unione familiare, l’avvicinamento dei propri congiunti, anche se detenuti. Le ragioni di salute dei familiari sono espressamente contemplate tra i motivi che consentono lo spostamento. Ma tutto questo non vale per me. Non potrò più vederla da viva? E quale legge lo ammette? Quale legge lo vuole? Quale Costituzione? Un uomo che ha espiato la sua pena deve portare con sé una stimmate indelebile che lo esclude dalla vita, dalla società, dall’amore?
In nome del popolo italiano.

Pasquale Zagari da il Garantista

Comments ( 1 )

  • Caro Pasquale, ho letto con attenzione la tua lettera e ti confesso che condivido in toto il tuo ragionamento: dal reato alla condanna ma,soprattutto, al tuo percorso riabilitativo che ti ha accompagnato per i lunghi 30 anni della tua detenzione.Non so quali siano state le ragioni che ti hanno impedito di vedere tua madre,in grave situazione ischemica.Le posso immaginare e le biasimo soprattutto perchè da ciò che ho letto non ti sei sottratto alle tappe che ogni detenuto deve affrontare per conquistare l’agognata libertà e… non tutti sanno che il cammino è durissimo! Il mio è un forte abbraccio di solidarietà e di conforto perchè credo che ce la farai a dimostrare l’assenza di motivi inbitori per una libertà TOTALE.
    Antonio