Le tragedie davanti Lampedusa e alle coste calabresi. Tra le vittime anche 26 bambini. Altri migranti lasciati affogare davanti alle coste greche
Quasi 70 migranti dispersi tra i quali almeno 26 minori, undici corpi già recuperati e per dieci di questi i soccorritori sono dovuti intervenire con un’ascia nella stiva della nave di legno nella quale sono morti soffocati. E’ l’ultimo bilancio di due naufragi avvenuti tra domenica e la scorsa notte nel Mediterraneo, uno al largo delle coste della Calabria e l’altro davanti l’isola di Lampedusa.
Numeri che fanno salire a più di 800 le vittime dall’inizio dell’anno tra coloro che cercano di raggiungere l’Europa e a quasi 30 mila (più di 29.800) i dispersi nel Mediterraneo negli ultimi dieci anni. «Ogni naufragio rappresenta un fallimento collettivo, un segno tangibile dell’incapacità degli Stati di proteggere le persone più vulnerabili», denunciano l’Agenzia Onu per i Rifugiati (Unhcr), l’Organizzazione internazionale per i migranti (Oim) e l’Unicef che definiscono inaccettabile la continua strage di uomini, donne e bambini.
Dal primo gennaio a oggi si contano ormai cinque morti al giorno nel Mediterraneo centrale, che si conferma così come una delle rotte più pericolose al mondo.
L’incidente avvenuto al largo della Calabria ha riguardato un’imbarcazione con a bordo 76 persone originarie di Iran, Siria e Iraq partita otto giorni fa dalla Turchia e sarebbe stato causato dall’incendio del motore che ha provocato l’affondamento dello scafo a 120 miglia dalle coste italiane, al limite tra le acque Sar di Italia e Grecia. A dare l’allarme sono stati alcuni diportisti francesi che hanno avvertito la Guardia costiera italiana dopo aver recuperato 12 persone. Sul posto sono arrivati un aereo e due motovedette, una delle quali ha preso a bordo i superstiti e li ha portati a Roccella Ionica. Una donna è morta durante le operazioni. «Questa mattina eravamo al porto e abbiamo supportato le attività di prima assistenza per i sopravvissuti» ha raccontato Shakilla Mohammadi, mediatrice interculturale di Medici Senza Frontiere a Roccella Jonica. «La scena era straziante, davanti a noi persone traumatizzate, il dolore si toccava con mano. Vedere annegare un parente o un amico è sempre orribile. Ho parlato con un ragazzo che ha perso la sua fidanzata – ha proseguito – i superstiti hanno parlato di 66 persone disperse, tra cui almeno 26 bambini, anche di pochi mesi. Intere famiglie dell’Afghanistan sarebbero morte. Sono partiti dalla Turchia 8 giorni fa e da 3 o 4 giorni imbarcavano acqua. Ci hanno detto che viaggiavano senza salvagente e che alcune imbarcazioni non si sono fermate per aiutarli». Le ricerche in zona sono proseguite per tutta a giornata di ieri con assetti della Guardia costiera e di Frontex, mentre la procura di Locri sta coordinando l’attività investigativa.
Il secondo episodio ha riguardato un barchino di legno 8 metri partito dalla Libia e trovatosi in difficoltà in acque Sar maltesi dopo essersi allagato. La Nadir della ong ResQship è intervenuta in soccorso, ma 10 persone sono soffocate nel piano inferiore stipato. Per liberare due dei naufraghi, rimasti privi di sensi, i soccorritori hanno demolito parte del ponte a colpi di ascia. Alla fine in 54 sono stati recuperati dalla Nadir e portati poi a Lampedusa dalla Guardia costiera. I corpi sono rimasti sul barchino che la nave umanitaria ha trainato sull’isola Pelagia in tarda serata. I migranti – originari di Bangladesh, Pakistan, Egitto e Siria – hanno pagato circa 3.500 dollari per mettersi in viaggio.
Insieme a Unhcr, Oim e Unicef, anche Save the Children ha rinnovato ieri «l’invito alle istituzioni italiane ed europee ad un’assunzione di responsabilità affinché mettano al primo posto la vita delle persone in ogni decisione sulle politiche migratorie». Il presidente della Croce Rossa italiana, Rosario Valastro si è invece detto «attonito davanti a quanto accaduto». Per il Centro Astalli, infine, «serve un sussulto di umanità. Queste tragedie avvengono davanti ai nostri occhi. Eppure nulla si muove».
“Le istituzioni ripeteranno: mai più deve succedere, ma poi sentiamo la presidente Meloni dire che rafforzeremo gli accordi con la Tunisia, la Libia, la Turchia, l’Albania perchè i migranti non debbano più partire e per colpire i trafficanti. Queste azioni non funzionano e producono morti e ulteriore sfruttamento delle persone la cui esigenza di cercare una condizione di vita migliore non viene certo fermata dai memorandum – spiega Laura Marmorale, la presidente di Mediterranea Saving humans – ancora una volta si sceglie di non mettere queste persone nelle condizioni di migrare in sicurezza e legalmente, prendendo un visto, un passaporto e prendendo un volo di linea o facendo un viaggio come faremmo tutti.”
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L’interrogativo che pesa come un macigno sul corpo della guardia costiera e sul governo ellenico, lo pronuncia Dimitris Baltakos, ex capo del Reparto speciale, davanti alla telecamera della Bbc: «Ci sono centinaia di video che mostrano la Guardia costiera mentre salva le persone; perché salvarne alcune, e lasciarne morire altre?». Secondo Baltakos i suoi colleghi «non hanno nulla da nascondere», ma stando a un’inchiesta dell’emittente britannica, quegli uomini chiamati a garantire i soccorsi nei mari dove anche questa estate migliaia di turisti si bagneranno, hanno provocato la morte di 43 migranti, respingendoli a forza nelle acque territoriali turche.
Tra le vittime, nove persone sono state gettate «deliberatamente» tra le onde, senza neanche il giubbotto salvagente. La Bbc ha analizzato 15 episodi occorsi tra il maggio del 2022 e quello dell’anno scorso, grazie alle fonti dei giornalisti locali, delle ong e della guardia costiera turca. In quattro casi è riuscita a verificare i resoconti parlando con testimoni oculari. Un uomo camerunese, approdato nell’isola di Samos, ha raccontato di essere stato braccato a forza da «poliziotti con il volto coperto» e poi portato a largo su una motovedetta della Guardia costiera, assieme a altri due compagni, che per primi sono stati gettati in mare. «Uno ha gridato “Salvatemi, non voglio morire…”. Alla fine solo la sua mano era fuori dall’acqua. Lentamente il mare lo ha inghiottito» ha raccontato il camerunese.
Anche lui è stato gettato tra le onde, senza salvagente, stordito da una scarica di pugni sulla testa. Ma al contrario degli altri due, i cui corpi sono stati recuperati sulle coste turche, sapeva nuotare. Testimonianze che non rappresentano un caso isolato, ma sembrano delineare una strategia precisa per impedire ai richiedenti asilo di raggiungere la Grecia, come denunciano da anni gli operatori umanitari nelle isole. Un altro superstite ha raccontato di essere stato buttato in acqua con le mani legate, e di essere sopravvissuto solo perché si è messo a galleggiare sulla schiena. Alcune storie drammatiche coinvolgono persino minori: un migrante siriano, respinto su una zattera gonfiabile assieme a 80 persone, ha visto morire sette bambini mentre l’imbarcazione prendeva acqua e le loro richieste di aiuto rimanevano inascoltate.
Chiamato a commentare le testimonianze scioccanti, il portavoce del governo ellenico, Pavlos Marinakis, ha ripetuto la difesa di rito di fronte alle denunce di respingimenti: «Ciò che viene menzionato nell’inchiesta non è provato, le donne e gli uomini della guardia costiera salvano decine di vite umane ogni giorno». Anche la Guardia costiera ellenica ha respinto categoricamente le accuse. Nessuna osservazione invece dal premier Mitsotakis, incaricato ieri a Bruxelles, assieme a Donald Tusk, di condurre i negoziati sulla nomina del presidente della Commissione Ue per conto del Ppe. A proposito dell’inchiesta un portavoce della Commissione europea ha chiarito, durante un incontro con la stampa, che le autorità greche sono responsabili per le indagini sul caso e ha aggiunto: «Le decisioni sui finanziamenti europei non si basano sulle notizie dei giornali, ma sul quadro giuridico applicabile».
Anche l’ex capo della Guardia costiera Baltakos, chiamato dai reporter della Bbc a commentare il video di un respingimento nell’isola di Lesbo, ha negato che si trattasse di un’azione illegale. Poi, durante una pausa in cui avrebbe dimenticato di avere il microfono aperto, ha commentato in greco con un altro uomo, a proposito dei colleghi nel video: «Non so perché lo abbiano fatto in pieno giorno… È chiaramente un crimine». Una verità che trova posto soltanto fuori dall’inquadratura.
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