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“Dovevo sparargli prima”, le parole del carabiniere che ha ucciso Matteo Tenni

La tragedia ad aprile a Pilcante di Ala, il carabiniere sparò al quarantenne Matteo Tenni. La mamma: Non è stato un incidente, Matteo mi diceva che quel carabiniere ce l’aveva con lui»

di Donatello Baldo

Sul tavolo al centro della cucina della casa della signora Annamaria — la madre di Matteo Tenni, 44 anni, ucciso da un colpo esploso da un carabiniere nell’aprile scorso a Pilcante di Ala — c’è appena lo spazio per apparecchiare un pasto in solitudine. Tutto il resto è occupato dai fascicoli delle indagini, dai diari di Matteo, dalle fotografie che ne ripercorrono la vita. Anche quella che ne ritrae la morte. Al centro del tavolo un biglietto con scritto «Mamma, sei sempre nel mio cuore». «Un biglietto con la lista della spesa — ricorda Annamaria — l’avevo scritto una sera prima di andare a dormire, e il giorno dopo l’avevo trovato così, con l’aggiunta di queste parole. A modo nostro ci volevamo bene, e ora Matteo mi manca, mi manca così tanto…». Sul tavolo anche i fascicoli da cui emerge la decisione della Procura di chiedere al gip l’archiviazione per quanto accaduto a Pilcante di Ala quel 9 aprile: «Un incidente — afferma con la voce incredula la madre — si chiude la faccenda come se non fosse successo nulla, Matteo sarebbe morto per una semplice fatalità. Anzi — aggiunge con la voce incrinata dal pianto — come se in fondo la colpa fosse sua perché era uno scarto della società, un matto come dice il carabiniere che l’ha ucciso». «Come dice il carabiniere che l’ha ucciso ».

Matteo Tenni

Matteo Tenni

L’accusa

Un’accusa forte, suffragata però dai contenuti delle trascrizioni dell’intero dialogo tra i militari durante l’inseguimento che si è concluso tragicamente. Trascrizioni contenute dentro i fascicoli chiusi, impilati sul tavolo della cucina, su cui la signora poggia la mano come per sottolinearne il peso della verità che contengono. Annamaria ha memorizzato ogni parola, un turpiloquio fatto di eccitazione e rabbia, di bestemmie e parolacce all’indirizzo di Matteo Tenni che in quei minuti era in fuga per non essersi fermato al posto di blocco allestito dai militari per contestargli la guida del veicolo senza assicurazione: «C…ne fermati», «Non si ferma sto b…do, b…do di merda», «Matto, sei un matto», «Schiantati, schiantati». Ma la frase che più colpisce la signora Annamaria è pronunciata durante l’inseguimento dal carabiniere che poi esploderà il colpo di pistola. L’auto di pattuglia riesce a fermare la corsa di Matteo, il carabiniere scende dal veicolo, raggiunge Matteo che però riesce a riprendere la sua fuga, e il carabiniere risale in macchina. È qui che la bodycam attivata dal suo collega registra una frase che per la mamma di Matteo suona come un drammatico presagio: «Dovevo sparargli, dovevo sparargli prima». Qualche minuto dopo, lo sparo che uccide. La mamma di Matteo a questo punto non ha bisogno delle registrazioni della bodycam per ricordare, quel momento è impresso nei suoi occhi. «Il colpo della pistola, Matteo che gira la testa verso di me, ci guardiamo per un attimo e poi cade».

Il rimorso

Annamaria era sul balcone, a quel punto scende nel cortile fin dove è entrata l’auto di pattuglia: «Ma mi lasciano fuori dal cancello, lo stesso carabiniere che ha sparato mi dice che non sono scene da vedere. Mio figlio, non potevo vedere mio figlio». La signora ricorda che si era qualificata come infermiera: «Ho il rimorso per non aver sgomitato per raggiungere Matteo. Avrei subito fatto pressione sulla vena femorale, all’altezza dell’inguine. Invece hanno messo solo una cintura sopra il ginocchio per fermare quell’emorragia». «Dovevo sparargli». Annamaria torna a quelle parole pronunciate durante l’inseguimento dal carabiniere che poi ha sparato. «Avrebbe voluto farlo prima, quando l’aveva fermato la prima volta. Allora questa è rabbia, è vendetta, perché Matteo me lo diceva sempre che quel carabiniere ce l’aveva con lui. Ma insomma — si chiede ancora la madre — cos’è successo? Perché tanta eccitazione nel rincorrerlo sapendo benissimo chi fosse e dove andasse. Matteo è tornato a casa sua, spaventato. Bastava fargli arrivare la multa per la macchina senza assicurazione, bastava che i carabinieri salissero a casa da me e non fin dentro il cortile con l’auto. Lo conoscevano, conoscevano la situazione. Ma sapevano anche che Matteo non era violento, che era lo stesso Matteo che a ogni compleanno del maresciallo della stazione di Ala gli portava i pasticcini ». La mamma di Matteo vuole il processo, non l’archiviazione. Deciderà il gip, che dovrà considerare anche l’opposizione presentata dal legale della famiglia. «Non voglio un processo per mandare in galera qualcuno, non è per vendetta. È per giustizia, perché emergano fino in fondo le responsabilità. Le persone come Matteo sono persone che soffrono, che vanno aiutate, capite, trattate con professionalità. Non uccise». Per lei è successo qualcosa quel giorno. «Nella mente di Matteo ma anche in quella di quel carabiniere. Perché ha sparato? Era inevitabile che finisse così? A questo servirebbe il processo, per capire, per non liquidare tutto come un semplice incidente. Lo si deve a Matteo — conclude la signora Annamaria — ma anche a tutte le altre mamme che hanno figli con patologie psichiatriche».

da Corriere del Veneto

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