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Due pescherecci salvarono 44 immigrati al largo di Lampedusa. Condannati per resistenza a pubblico ufficiale !

Gli avvocati dell’Asgi e gli antirazzisti di “Border Line” hanno atteso per ore davanti al tribunale di Agrigento. L’udienza finale dopo che gli imputati avevano rifiutato il rito abbreviato perché volevano poter dimostrare la propria innocenza, dopo che tanti testimoni a difesa erano stati esclusi dal dibattimento, dopo che il Pm aveva chiesto 3 anni di carcere per ognuno degli accusati e una ammenda di 440 mila euro. La sentenza è arrivata ed ha lasciato attoniti i presenti: assolti i marinai, condannati i comandanti.I fatti risalgono all’8 agosto del 2007. Due pescherecci tunisini incrociano una imbarcazione con a bordo 44 immigrati che chiedeva soccorso. La barca si trovava più vicina alle coste italiane e la scelta dei pescatori fu quella di portare a Lampedusa i migranti. Avvisarono ovviamente le autorità marittime italiane, ma all’arrivo i 7 membri degli equipaggi furono arrestati per il reato di “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”. Ne nacque un caso internazionale perché a Roma, Parigi e Tunisi settori di società civile e politica che si mobilitarono in difesa dei marinai. La detenzione durò comunque un mese, fino a quando il Tribunale del riesame non accolse la richiesta di scarcerazione. 106 parlamentari europei, appartenenti a diversi schieramenti, si erano schierati a favore dell’innocenza dei 7 imputati. I comandanti sono stati condannati a due anni e sei mesi per Resistenza a pubblico ufficiale. Questo perché, date le cattive condizioni del mare e la situazione sanitaria dei naufraghi, i due vascelli hanno fatto pressioni per attraccare a Lampedusa, non certo con l’uso della forza, peraltro impari. Il mare cattivo li costringeva a virate continue e questa è stata considerata prova della volontarietà di non obbedire agli ordini della marina militare. Ma la contraddizione è all’origine ed è oggi appesantita dalle norme del Pacchetto sicurezza e dalla pratica costante dei respingimenti in mare. La convenzione SAR, che suddivide le acque internazionali in zone di competenza in cui i paesi limitrofi hanno l’obbligo di intervenire in caso di emergenza, non solo non viene spesso rispettata ma confligge con l’idea che si possa accompagnare in territorio italiano persone ritenute a priori “clandestine”. Iperboliche le affermazioni del Pm, prima che si riunisse la camera di consiglio: una analisi nominalistica degli eventi intercorsi per cui i migranti rimasti in mare, prima di essere soccorsi non potevano essere catalogati come persone a rischio, ergo, risultava non pertinente l’applicazione della convenzione SAR. Come a dire solo a naufragio avvenuto i pescherecci avevano l’obbligo di intervenire.Il “Morthada” e l’ “El Hedi”, che hanno operato il soccorso, sono ancora ancorati nel vecchio porto di Lampedusa, ormai inutilizzabili. Per l’accusa non si trattava di pescherecci ma di barche utilizzate appositamente per il trasporto di migranti, peccato che il materiale trovato a bordo dimostri che quello che hanno fatto i marinai è stato solo rispettare le leggi del mare. Pensavano di aver fatto solo il proprio dovere quando hanno tratto in salvo uomini e donne, vulnerabili, pensavano allo sguardo di due bambini, uno di 5 anni affetto da paralisi spastica. Pensavano alle storie che c’erano dietro quel mancato naufragio: una coppia che aveva passato 6 anni a lavorare in Libia per pagarsi il viaggio, 1500 euro, nel continuo terrore di essere scoperti. Hanno fatto ciò che tanti altri non osano più fare.
Stefano Galieni

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