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Egitto: Ahmed Abdallah rilasciato, «In carcere per Giulio»

Parlano i due Abdallah. Ahmed racconta le pressioni della polizia per avere informazioni sul ricercatore, L’ex sindacalista degli ambulanti Mohammed nega (ma poi ammette) di averlo denunciato

Per celebrare la Festa del Sacrificio, Eid al-Adha, il Ministero degli Interni egiziano ha graziato 700 prigionieri. Nessuno di loro era in carcere per motivi politici. Attivisti e oppositori, veri e presunti, restano tutti dentro.

Chi è uscito, ma senza grazia, è Ahmed Abdallah, presidente della Commissione Egiziana per i diritti e le libertà e consulente della famiglia Regeni.

Dopo quattro mesi e mezzo di detenzione, isolamento e maltrattamenti, torna libero su decisione del tribunale che però non straccia le accuse contro di lui, atti sovversivi e proteste non autorizzate.

E parla, quasi in risposta all’altro Abdallah, l’ex capo del sindacato ambulanti (ora diventato rappresentante di un sindacato filo-governativo, da più parti tacciato di collaborare con i servizi) che avrebbe avuto un ruolo nel caso di Giulio.

Ahmed, da uomo – almeno per il momento – libero, indica proprio nel suo interessamento all’omicidio del giovane ricercatore la ragione della detenzione: «Non sono stato arrestato perché colpevole di qualcosa e non sono stato rilasciato perché trovato innocente – dice alla Stampa – La mia vicenda è interamente politica. Mi hanno preso per Regeni. I poliziotti dell’ultima prigione non sapevano neppure cosa facessi, menzionavano solo Regeni».

Dopo le prime ammissioni della Procura generale egiziana che al pm Pignatone ha detto che accertamenti della polizia erano stati condotti su Giulio per tre giorni dal 7 gennaio, ha parlato anche Mohammed Abdallah. Indicato dal procuratore Sadek come colui che presentò un esposto alla polizia di Giza (all’epoca sotto Khaled Shalabi, noto torturatore), Abdallah nega.

A metà: alla tv italiana dice di non aver mai mosso alcuna denuncia (andando contro le dichiarazioni delle autorità del Cairo), al quotidiano egiziano Aswat Masriya lo ammette. Lo avrebbe denunciato perché Giulio «faceva domande illogiche, non rilevanti per la sua ricerca, domande con un altro obiettivo». Non dice quali, lui che veniva definito da Giulio «miseria umana» per le pressioni che faceva per spillargli denaro.

I dubbi restano: nel materiale portato la scorsa settimana dal procuratore cairota alla Procura di Roma l’esposto in questione non c’è, come non ci sono i successivi rapporti della polizia.

Chiara Cruciati da il manifesto