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Egitto: Amir l’obiettore che ha sfidato l’esercito

Amir Eid è un ragazzo di 25 anni che vive al Cairo. Il 15 ottobre 2016 ha dichiarato obiezione di coscienza al servizio militare. La sua è una scelta rara e pericolosa in un paese profondamente militarizzato

amir-obiettore-egittoAmir Eid vive al Cairo, ha 25 anni, una laurea in Architettura, e il sogno di proseguire gli studi con un master in Italia. La sua iscrizione era già stata accettata dal Politecnico di Milano, ma l’esercito non gli hanno concesso il permesso di espatrio. Motivo: non ha ancora assolto gli obblighi del servizio militare.

Appena laureato, nel maggio 2015 Amir ha presentato la domanda per effettuare gli accertamenti medici per l’arruolamento di leva, chiedendone contemporaneamente l’esenzione per motivi familiari. Da allora è rimasto un anno e mezzo in un limbo, in attesa di una decisione. Un anno e mezzo in cui gli è stato negato il permesso di andare all’estero. Un anno e mezzo in cui, per ottenere un permesso di lavoro, ha dovuto affrontare ogni quindici giorni interminabili attese negli uffici dell’autorità militare. Quando la chiamata è arrivata, con l’ordine tassativo “presentarsi il 16 ottobre”, Amir ha deciso di rifiutare, di non comparire davanti all’ufficiale per l’arruolamento e dichiarare pubblicamente la sua obiezione di coscienza.

Il servizio militare in Egitto è obbligatorio e varia da uno a tre anni. Si può essere esonerati solo in alcuni casi specifici, come l’essere figlio unico, avere la doppia nazionalità, o per motivi di salute. Avere buone conoscenze ai piani alti della gerarchia militare però può aiutare ad ottenere l’esenzione, oppure a trascorrere il periodo di leva tranquillamente a casa propria.

L’esperienza del servizio militare rappresenta un incubo per la maggior parte dei giovani. Per chi si è appena laureato, la leva significa dover interrompere forzatamente la propria formazione, e rimandare di uno, due o tre anni qualsiasi progetto di vita, sia professionale che privato (il matrimonio in Egitto è una questione socialmente molto pressante). I racconti di chi ha finito la leva insistono sempre molto sulla differenza tra la vita “dentro” e “fuori” l’esercito, quasi come fosse un periodo di prigionia. E per molti versi lo è.

Sono storie di vessazioni e umiliazioni, di lunghi mesi lontani da casa e dagli affetti, spesso a migliaia di chilometri dalla propria città, in zone desertiche, giornate di esercitazioni estenuanti, oppure di ore, giorni e settimane che non passano mai. Anche le distinzioni di classe vengono riprodotte pesantemente tra le reclute: per le persone di origini più umili e senza una qualifica universitaria, la leva si trasforma spesso in un periodo di lavoro forzato, o nella polizia (magari a dirigere il traffico per le strade del Cairo), o al servizio personale di qualche alto ufficiale in veste di cameriere, autista, galoppino tuttofare, oppure in una delle tante fabbriche di proprietà dell’esercito. Il tutto per una paga spesso irrisoria rispetto al costo della vita.

Eppure, quello dell’esercito resta un tabù in Egitto. Si possono criticare le politiche di al-Sisi (ex-generale e ministro della Difesa), o singole scelte e prese di posizione, ma criticare l’esercito in quanto istituzione è un’altra cosa. La società egiziana resta profondamente militarizzata, non solo nelle strutture politiche, sociali ed economiche, ma anche nell’immaginario culturale. La storia del paese è intimamente legata ai militari: dall’indipendenza ai decenni di guerra contro Israele, fino al ruolo giocato nella rivoluzione e nella deposizione di Mubarak prima e di Morsi poi, l’esercito rappresenta per molti il garante dell’unità e della stabilità dell’Egitto.

Anche per questo le storie di obiettori di coscienza sono rarissime, se ne contano solo sette prima di Amir. Cercare stratagemmi per evitare la leva è una cosa, dichiarare apertamente il proprio rifiuto per l’istituzione militare è un’altra. Significa essere un disertore e un traditore. Ma Amir non ha voluto restare nell’ombra, e ha scelto di portare avanti una lotta politica oltre che personale. “Penso che questa sia la migliore età per arricchire le proprie conoscenze e imparare. Ho sempre creduto che il vero servizio per lo stato fosse attraverso la scienza, la cultura e la coscienza civile, e non solo prendendo le armi o lavorando nella produzione di torte, biscotti, pasta e benzina”, ha dichiarato in un video postato su YouTube (sottotitolato in diverse lingue), attraverso cui ha scelto di rendere pubblica la propria decisione.

“Sono un pacifista e dichiaro la mia obiezione di coscienza al servizio militare perché sono contro l’utilizzo delle armi. Sono contro l’idea di instillare paura e di aumentare gli armamenti”. E continua: “Ritengo che gli eserciti e le armi non risolvano i problemi, anzi li peggiorino. Penso che i mezzi pacifici siano i migliori per risolvere i conflitti”.

Il suo intento è quello di raggiungere quante più persone possibili anche all’estero, perché la sua storia diventi un simbolo, e uno strumento con cui gettare luce su una realtà che pochi conoscono al di fuori dell’Egitto. Ora, come è successo nei casi precedenti di obiettori in Egitto, Amir ha già iniziato a ricevere richiami e velate minacce di ripercussioni dopo il suo atto di disobbedienza. Pur non essendo legalmente un disertore, l’aver reso pubblica la sua scelta lo espone ancora di più al rischio di ritorsioni. Nella ‘migliore’ delle ipotesi c’è il rischio che l’esercito continui a trascurare la sua situazione fino al compimento dei 30 anni, età in cui decade l’obbligo del servizio militare, il che significherebbe per lui altri 5 anni senza poter lavorare, viaggiare e studiare.

I suoi amici e solidali chiedono che la storia di Amir sia resa pubblica e diffusa in modo più ampio possibile, in modo da evitare che la sua battaglia cada nel silenzio. “Facciamo appello ad organizzazioni internazionali, ONG, giornalisti, blogger e a tutti i cittadini perché ci aiutino a diffondere le parole di Amir,” scrivono in un post di solidarietà alcuni amici, “non solo per garantire la sua incolumità, ma anche per sostenere una causa di pace”.

di FocusMiddleEast

da nenanews

Il link alla pagina della campagna contro il servizio militare obbligatorio in Egitto (lanciata dai primi obiettori nel 2010): No to Compulsory Military Service Movement. Nena News