Nel fine settimana la protesta nella prigione di Gamassa si è trasformata in pestaggi e trasferimenti. A scatenarla il decesso per torture di due prigionieri
di Chiara Cruciati
Una rivolta in carcere dopo la morte di due detenuti e la dura repressione delle autorità carcerarie: la denuncia, martedì, è stata mossa da Enhr (Egyptian Network for Humanr Rights) e ha riacceso la luce sulla prigione di massima sicurezza di Gamassa, a ovest della città costiera di Damietta, tra Alessandria e Port Said.
Decine di prigionieri sarebbero stati picchiati e una ventina di loro trasferiti in un altro carcere dopo una rivolta scoppiata lo scorso fine settimane. Nelle celle sono stati accesi dei fuochi, la reazione delle guardie carcerarie è stata il pestaggio.
A PROVOCARE la protesta sarebbe stata la morte di due prigionieri. Enhr riporta l’identità di uno di loro, il 22enne Mohammed Saad al-Komi, condannato all’ergastolo per l’omicidio di un uomo in un resort di Sharm el-Sheikh. Non è dato sapere l’effettiva data della morte, la famiglia ne è venuta a conoscenza solo il 20 agosto scorso durante una visita alla prigione. In entrambi i casi, denuncia l’organizzazione egiziana, i due detenuti sarebbero morti per le torture subite.
Nega tutto il ministero degli interni: nessun decesso a Gamassa. E a conferma porta il rapporto dell’autopsia di al-Komi, redatto dall’ospedale di Mansoura, che però dice ben poco: grave diminuzione della circolazione sanguigna.
Le prigioni egiziane restano luogo infernale. I pochi dati a disposizione sono spaventosi, e molto probabilmente al ribasso. Gli ultimi sono stati forniti dal Nadeem Centre, storica associazione egiziana sottoposta a innumerevoli chiusure: nei primi undici mesi del 2021 sono stati documentati almeno 93 casi di torture in custodia e 54 decessi.
LA PRIGIONE di Gamassa non fa eccezione. Lo scorso dicembre l’Enhr aveva raccolto le segnalazioni di diverse famiglie di detenuti nel carcere di Damietta: ostacoli alle visite familiari (brevissime, appena dieci minuti, in sale affollate e divisi da filo spinato), carenza di cibo, medicinali, vestiti e prodotti per l’igiene. A subire le restrizioni maggiori, scriveva Enhr, sono soprattutto i prigionieri politici che non sono autorizzati a ricevere nulla dall’esterno.
In un articolo del 2020, l’Arabic Network for Human Rights, aveva “ricostruito” la prigione di massima sicurezza di Gamassa: costruzione iniziata nel 2010 sotto Mubarak, era stata conclusa nell’estate 2013, dopo il golpe di al-Sisi per “accogliere” i sostenitori islamisti arrestati durante il massacro di piazza Rabaa.
Con i suoi 42mila metri quadri di ampiezza, è destinata a prigionieri condannati all’ergastolo e detenuti politici, divisi in 384 celle maschili e 144 femminili (per una media di 25-30 persone per cella). Da anni le famiglie denunciano le pessime condizioni di vita: sovraffollamento; mescolanza di detenuti criminali, islamisti radicali e attivisti di sinistra; negligenza medica e torture.
da il manifesto