Vietato parlare di rivoluzione: il regime di al-Sisi è impegnato da anni in una vera e propria crociata contro piazza Tahrir, detenendo con pene carcerarie pesantissime i suoi attivisti, estromettendola nel giugno 2017 dai libri scolastici e impedendo celebrazioni. L’ottavo anniversario è caduto solo pochi giorni fa, il 25 gennaio, e il regime lo ha «festeggiato» arrestando cinque leader della sinistra egiziana «colpevoli» di commemorazione.
Dopo la cerimonia organizzata dal partito Karama a Dokki (e interrotta dagli agenti che hanno identificato tutti i partecipanti), la polizia ha fatto irruzione nelle case di Ali Abdul-Aziz Fadali, Gamal Abdel Fattah, Khalid Bassiouni, Khaled Mahmoud e Muhab Al-Ibrashi, tutti membri di partiti progressisti. Dove siano stati portati non è dato sapere.
Sia la polizia che la Sicurezza Nazionale dicono di non averli in custodia. Una «procedura» nota, negare l’arresto per poi far riapparire, settimane dopo, i fermati in tribunale. Gamal Abdel Fattah ha subito identica sorte meno di un anno fa, arrestato con l’accusa di finanziamento di organizzazione illegale. Era stato rilasciato a settembre con l’obbligo di presentarsi un’ora a settimana nella stazione di polizia di Haram, cosa che ora non potrà fare rischiando un nuovo arresto.
La scure governativa contro la sinistra egiziana non conosce tregua: gli ultimi mesi hanno visto l’arresto di almeno sette membri di partiti di sinistra, tra cui – il 24 gennaio – Yehia Hussein Abdel-Hadi, fondatore del Civil democratic movement (Cdm), federazione di sette partiti laici e progressisti di cui Karama e i socialisti sono membri. Le ultime ondate di detenzioni arrivano a poca distanza dall’appello del Cdm contro la modifica della costituzione che al-Sisi intende apportare per allungare il proprio mandato presidenziale.
E arriva in concomitanza con la visita del presidente francese Macron al Cairo. In un incontro con al-Sisi, Macron ha chiesto maggior rispetto dei diritti umani e criticato l’elevato numero di prigionieri politici (60mila stimati), giustificati dal Cairo con la scusa della «stabilità».
Chiara Cruciati
da il manifesto